Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 6 febbraio – 7 ottobre 2014, n. 21101
Presidente Luccioli –Relatore Campanile
Svolgimento del processo
1 – Con sentenza in data 10 luglio 2012 il Tribunale per i Minorenni di Brescia autorizzava il signor M.M. a procedere al riconoscimento come figlia, al quale si era opposta la madre signora G.F. , della minore G.L. , nata, il (omissis) , in costanza di matrimonio fra la predetta sig.ra G. e tale B.C. , il quale – essendo stato per altro il matrimonio dichiarato nullo con sentenza del tribunale ecclesiastico regionale di Modena del 12 1.2007, oggetto di delibazione da parte della Corte di appello di Bologna con sentenza in data 20 giugno 2008 – aveva esperito con successo l’azione di disconoscimento della paternità.
1.1 – Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Brescia, Sezione per i Minorenni, ha confermato, nel contradditorio della madre appellante, del M. , della curatrice speciale della minore e del Procuratore generale della Corte di appello di Brescia, la decisione di primo grado, rilevando, in primo luogo, che non potevano condividersi le contestazioni della G. circa la paternità biologica del M. , avuto riguardo sia alla decisione che escludeva quella del marito dell’appellante, sia alla mancata contestazione della legittimazione del M. a promuovere la domanda ai sensi dell’art. 250 c.c., sia agli iniziali rapporti dello stesso con la bambina nei suoi primi tempi di vita, sia, infine, alle risultanze del giudizio di disconoscimento, in cui si dava atto della stabile relazione fra il M. e la G. all’epoca del concepimento.
Per tali ragioni la dichiarazione della madre di aver avuto all’epoca relazioni sessuali anche con altri uomini veniva giudicata tardiva e priva di riscontri.
1.2 – Quanto ai rilievi della madre circa l’insussistenza in concreto dell’interesse della minore al riconoscimento, dedotta in relazione ai legami affettivi formatisi fra la stessa e il marito della madre, tale B. , che, avendo per altro intrapreso un procedimento di adozione nei suoi riguardi, veniva trattato e considerato come padre, si osservava che non sussistevano ragioni di pregiudizio gravi ed irreparabili ostative al riconoscimento.
1.3 – Da un lato si poneva in evidenza la seria intenzione del padre naturale di porsi in relazione con la figlia, dall’altro si rilevava che costei avrebbe dovuto già essere resa consapevole della sua situazione, costituendo un proprio diritto conoscere la verità circa il proprio padre biologico. In proposito si rappresentavano i maggiori traumi derivanti da una tardiva futura rivelazione, demandandosi alla saggezza degli adulti l’individuazione delle modalità tali da rendere la minore consapevole della verità in maniera adeguata.
1.4 – Per la cassazione di tale decisione la G. ha proposto ricorso, affidato a cinque motivi, illustrati da memoria, cui la curatrice della minore, avv. A.S. , resiste con controricorso.
Motivi della decisione
2 – Con il primo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione del principio dispositivo, nonché dell’art. 115 c.p.c., la ricorrente si duole del mancato accertamento, anche attraverso la richiesta consulenza ematologica, della compatibilità biologica fra il M. e la minore: vengono richiamate le risultanze probatorie inerenti a tale profilo e si contesta, altresì, che nel corso del giudizio di primo grado, come affermato dal Tribunale per i Minorenni, la G. non avrebbe “mai eccepito la carenza di legittimazione attiva del ricorrente sul presupposto che questi non fosse il padre”.
2.1 – Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 269 c.p.c, nonché incerta e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia: viene invocata l’applicazione nel presente giudizio del principio secondo cui la sola dichiarazione della madre e la sola esistenza di rapporti fra la madre e il preteso padre all’epoca del concepimento non costituiscono prova della paternità naturale.
2.2 – Con la terza censura si denuncia violazione dei principi affermati dalle convenzioni internazionali e dalla Costituzione in tema di tutela dell’interesse del minore. Si sostiene che il privilegio accordato dalla corte territoriale al “favor veritatis” rispetto al “favor legitimitatis” non troverebbe riscontro nelle disposizioni poste a tutela dell’interesse del minore, come interpretate dalla giurisprudenza comunitaria e di legittimità; inoltre la decisione si fonderebbe sull’attribuzione al M. di una paternità biologica del tutto incerta, in quanto non accertata attraverso esami di natura ematologica e genetica. Si aggiunge che non sarebbe stato valutato il fondamentale elemento costituito dall’interesse della minore.
2.3 – Con il quarto motivo si denuncia violazione del principio dispositivo in ordine alle prove riguardanti l’interesse della minore, nonché omessa e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.
2.4 – La quinta censura attiene alla violazione e alla falsa applicazione dell’art. 250 c.c., in relazione alla mancata audizione della figlia L. .
3 – I primi due motivi e taluni profili del terzo, attinenti all’accertamento del rapporto di filiazione e ai relativi aspetti probatori, sono inammissibili.
Invero la ricorrente, affastellando temi propriamente riconducibili alla problematica del riconoscimento e del disconoscimento della paternità in sede giudiziaria, e coniugandoli con la specifica procedura di cui all’art. 250 cod. civ. comma 4, sembra collocare tale specifico procedimento, azionato dal M. e tendente ad ottenere una pronuncia che tenga luogo del rifiuto dell’altro genitore, autore del primo riconoscimento, in una prospettiva – dalla quale non sembra dissociarsi neppure la corte territoriale – di tale ampiezza da includere anche la veridicità del secondo riconoscimento. In realtà tale accertamento, che nella disciplina delle azioni in materia di filiazione è tuttora disciplinato dall’art. 263 cod. civ., presuppone il riconoscimento, e, pertanto, costituisce un posterius rispetto al procedimento disciplinato dall’art. 250, comma 4, cod. civ., tanto più che si è affermato che anche il riconoscimento, che si realizza – in assenza di consenso dell’altro genitore – a seguito dell’intervento del giudice, non si sottrae all’eventuale impugnazione per difetto di veridicità previsto dal richiamato art. 263 cod. civ. (Cass., 9 agosto 1985, n. 4407).
3.1 – Non mancano, per altro, pronunce nelle quali, pur ribadendosi che l’accertamento in ordine alla veridicità del riconoscimento esula dal procedimento previsto dall’art. 250 cod. civ., comma 4, si precisa che un’indagine in tal senso possa essere svolta, in tale giudizio, incidenter tantum, al limitato fine di verificare la legittimazione attiva del richiedente (Cass., 28 aprile 1999, n. 4325). Trattasi, tuttavia, di un accertamento di natura sommaria, nella specie correttamente eseguito dal giudice del merito, che al riguardo ha fornito una motivazione congrua ed esauriente.
4 – Ragioni di ordine logico impongono di esaminare preliminarmente la quinta censura, con la quale si denuncia la nullità derivante dall’omessa audizione della minore. Il motivo è fondato.
4.1 – Questa Corte ha già affermato, anche a Sezioni unite, il valore fondamentale del principio dell’ascolto del minore, sancito nella Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo, art. 12, riferito ad “ogni procedura giudiziaria o amministrativa” in quella di Strasburgo del 1996, art. 6, nell’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, e recepito, quindi, nell’art. 155 sexies c.c., introdotto con la L. 8 febbraio 2006, n. 54. In particolare, è stato rilevato che “l’audizione dei minori nelle procedure giudiziarie che li riguardano e in ordine al loro affidamento ai genitori è divenuta comunque obbligatoria con l’art. 6 della Convenzione di Strasburgo sull’esercizio dei diritti del fanciullo del 1996, ratificata con la L. n. 77 del 2003 (Cass. 16 aprile 2007 n. 9094 e 18 marzo 2006 n. 6081), per cui ad essa deve procedersi, salvo che possa arrecare danno al minore stesso, come risulta dal testo della norma sovranazionale e dalla giurisprudenza di questa Corte (la citata Cass. n. 16753 del 2007)” (Cass. Sez. un., 21 ottobre 2009, n. 22238).
4.2 – L’operatività, in linea generale, del principio comporta l’insussistenza della necessità di motivare specificamente le ragioni della disposta audizione del minore; per converso, si ritiene che il giudice, nelle ipotesi in cui ravvisi di escludere l’ascolto, vale a dire solo quando esso sia manifestamente in contrasto con gli interessi superiori del fanciullo stesso (Cass., 26 aprile 2007, n. 9094; Cass., 11 agosto 2011, n. 17201), sia tenuto a fornire adeguata giustificazione.
4.3 – L’imprescindibilità dell’audizione, nei termini sopra delineati, non solo consente di realizzare la presenza nel giudizio dei figli, in quanto parti “sostanziali” del procedimento (cfr. la citata Cass., n. 22238 del 2009), ma impone certamente che degli esiti di tale ascolto si tenga conto. Naturalmente le valutazioni del giudice, in quanto doverosamente orientate a realizzare l’interesse del minore, che può non coincidere con le opinioni dallo stesso manifestate, potranno in tal caso essere difformi (v. anche Cedu 9 agosto 2006, in ric. n. 18249/02): al riguardo si ritiene sussistente un onere di motivazione direttamente proporzionale al grado di discernimento attribuito al minore (Cass., 17 maggio 2012, n. 7773).
4.4 – Per completezza di esposizione mette conto di precisare che con la l. n. 219 del 2012, mediante l’introduzione dell’art. 315-bis c.c., applicabile “ratione temporis”, il diritto del minore di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano è stato ribadito in via generale, e che, con il decreto legislativo n. 154 del 2013, il principio in esame ha trovato ulteriori esplicazioni ed articolazioni nelle specifiche procedure riguardanti i minori (art. 336, comma 2, c.c.; art. 336-bis c.c.; art. 337- octies c.c.).
5 – Per quanto riguarda, poi, il procedimento di cui all’art. 250 c.c., comma 4, sussistono specifiche ed ancora più pregnanti ragioni che impongono l’ascolto del minore.
5.1 – L’obbligatorietà dell’audizione del minore infrasedicenne (ora infraquattordicenne) nel procedimento di cui all’art. 250 c.c., comma 4, è sempre stata riconosciuta da questa Corte sul rilievo che, pur non assumendo il minore la qualità di parte del procedimento, la legge impone che sia sentito – sempre che non ne sia incapace per ragioni di età o per altre cause, da indicare nella motivazione del provvedimento – a fini istruttori, in vista dell’accertamento della rispondenza al suo interesse dell’opposizione al riconoscimento dell’altro genitore (ex multis Cass. 6660/1981, 2654/1987, 6093/1990, 6470/2001, 21359/2004, 395/2006).
5.2 – Più recentemente, tuttavia, la Corte costituzionale, nell’escludere l’incostituzionalità dell’art. 250 c.c., comma 4, per la omessa previsione della necessità della nomina di un curatore speciale del minore – necessità normalmente negata da questa Corte sul fondamento della mancanza della qualità di parte in capo a quest’ultimo (cfr. Cass. 6660/1981, 2654/1987, 6093/1990, 6470/2001) – ha affermato, al contrario, che al minore “va riconosciuta la qualità di parte nel giudizio di opposizione di cui all’art. 250 c.c.”, di regola rappresentata dal genitore che per primo ha effettuato il riconoscimento, ma per la quale può essere nominato un curatore speciale, ai sensi della norma generale di cui all’art. 78 c.p.c., tutte le volte in cui si profili in concreto un conflitto d’interesse con il genitore rappresentante (sent. n. 83 del 2011, nonché ord. n. 301 dello stesso anno).
5.3 – Tale interpretazione, posta dal giudice delle leggi a fondamento dall’esclusione dell’illegittimità costituzionale della norma in questione, è già stata recepita da questa Corte con recenti pronunce (Cass., 13 aprile 2012, n. 5884; Cass., 24 dicembre 2013,n. 28645), che hanno espresso un orientamento che il Collegio condivide ed al quale intende dare continuità. Deve invero ritenersi che la diversa giustificazione della già ritenuta obbligatorietà dell’audizione del minore degli anni sedici nel giudizio di cui all’art. 250 c.c., comma 4, non più radicata in mere esigenze istruttorie, bensì nella qualità di parte riconosciuta al minore stesso, renda il precetto in esame maggiormente ineludibile.
Del resto, questa Corte aveva già affermato che l’audizione del minore infrasedicenne, nella previsione dell’art. 250 c.c., è considerata “la prima fonte del convincimento del giudice”; di conseguenza “deve essere disposta d’ufficio e la sua omissione determina un vizio del procedimento” (Cass., 9 novembre 2004, n. 21359).
La giustificazione della disposizione in esame sulla base della richiamata pronuncia del giudice delle leggi costituisce altresì il portato, come avvertito da autorevole dottrina e dalla giurisprudenza di questa Corte, della priorità, nell’ambito della sempre più affermata esigenza dell’audizione del minore in tutti i procedimenti che lo riguardano (art. 315-bis c.c.), dell’interesse del figlio minore che non abbia compiuto i sedici anni (ora quattordici), nel procedimento previsto dall’art. 250 c.c., comma 4, al riconoscimento della paternità naturale, come complesso dei diritti che a lui derivano dal riconoscimento stesso, ed in particolare, del diritto all’identità personale nella sua precisa ed integrale dimensione psico-fisica (Cass., 5 giugno 2009, n. 12984).
Non può omettersi di rilevare, d’altra parte, come le Sezioni unite di questa Corte, in una nota pronuncia (Cass., 21 ottobre 2009, n. 22238), abbiano posto in evidenza, in materia di affidamento, come costituisca violazione del principio del contrad-dittorio e dei principi del giusto processo il mancato ascolto del minore, che non sia sorretto da espressa motivazione sull’assenza di discernimento che ne può giustificare l’omissione, in quanto lo stesso è portatore d’interessi contrapposti e diversi da quelli del genitore, e, per tale profilo, è qualificabile come parte in senso sostanziale.
6 – Ha dunque errato la Corte d’appello di Brescia nell’omettere di procedere all’audizione senza indicare alcuna ragione di incapacità della minore a renderla.
7 – Le superiori considerazioni impongono di rilevare come l’omessa audizione della minore G.L. , nata nel maggio dell’anno 2002, e quindi certamente in grado di esprimere la propria volontà in merito alla questione sottoposta all’esame del giudice del merito, abbia inficiato il procedimento, ragion per cui si impone – rimanendo assorbita la quarta censura – la cassazione del provvedimento impugnato, con rinvio alla Corte di appello di Brescia che, in diversa composizione, deciderà sul reclamo all’esito dell’audizione della predetta minore, provvedendo altresì in ordine al regolamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibili i primi tre motivi, accoglie il quinto, assorbito il quarto; cassa il provvedimento impugnato e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Brescia, in diversa composizione.
Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati significativi.

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