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Il documento “Protocollo di Cosenza – Linee guida nei casi di presunti abusi sessuali sui minori” redatto dalla Società Italiana Scienze Forensi, con sede legale a Cosenza, si pone come obiettivo l’individuazione e la diffusione delle best practices scientifiche in tema di presunti abusi sessuali sui minori. Un tema tra i più complessi in Psicologia Giuridica per tutte le figure professionali coinvolte: Giudici, Pubblici Ministeri, Avvocati, Psicologi, Neuropsichiatri Infantili.
Argomento che merita una specifica formazione in materia di psicologia della testimonianza minorile e, in generale, in Psicologia Giuridica. E’ sufficiente pensare che l’impianto accusatorio si regge (spesso) sulla sola accusa del minore, allo stesso tempo vittima ed unico testimone.
L’art 2.1 delle Linee Guida Nazionali – L’ascolto del minore testimone cita:
Una riproduzione “fotografica” di un evento non è possibile, tanto nell’adulto quanto nel bambino. Ogni testimonianza, anche quando origina dalla percezione diretta dei fatti, è sempre il risultato di un processo – prevalentemente inconsapevole – di elaborazione soggettiva di un’esperienza. Quella che chiamiamo comunemente memoria è un processo dinamico che si articola in più fasi (percezione, codifica, immagazzinamento, recupero) ciascuna delle quali può essere modulata da elementi cognitivi, emotivi, affettivi, culturali ed ambientali.
Se la riproduzione di un ricordo non è di tipo riproduttivo, ma ricostruttivo, possiamo immaginare quanto fattori come la confusione interna, le pressioni familiari e sociali, processi di induzione possano contaminare un ricordo, in particolar modo di un bambino/adolescente. Addirittura è possibile il verificarsi della creazione di un vero e proprio “falso ricordo” di un evento non realmente vissuto.
Per quanto riguarda i bambini, esistono specifiche differenze in relazione all’età che riguardano la valutazione della rilevanza degli stimoli, più sono piccoli i bambini, e più possono riscontrare questo genere di difficoltà.
Fattori cognitivi e fattori sociali influiscono sull’attività di recupero delle informazioni. I ricordi dei bambini “dipendono in maniera determinante dalle modalità, dalla qualità della comunicazione e dal tipo di domande di coloro che li interrogano” (Forza, 2010, p. 226).
Questa brevissima premessa per comprendere la delicatezza e la complessità della materia che stiamo trattando che, considerato anche il vulnus normativo presente nel Codice di Procedura Penale italiano, necessita di costanti aggiornamenti scientifici e di chiarimenti normativi effettuati dalla Suprema Corte di Cassazione.
Pubblicato, nella prima versione nel mese di Marzo 2014, il Protocollo di Cosenza è suddiviso in tre sezioni:
Notitia Criminis
Indagini Preliminari
Incidente Probatorio
Notitia Criminis
La fase descritta in questa sezione è probabilmente la più delicata e, paradossalmente, spesso maggiormente sottovalutata. E’ il momento in cui avviene la rivelazione del presunto abuso sessuale attraverso, ad esempio, una denuncia presso gli Uffici di una Questura o una Caserma dei Carabinieri. Il minore viene solitamente accompagnato da un genitore o da un adulto di riferimento per raccontare i presunti fatti.
Sono necessarie determinate accortezze metodologiche per raccogliere la testimonianza sia del minore, sia dell’adulto. Come precisato dalle Linee Guida della Questura di Roma (2010)2, si suggerisce di ascoltare minore e adulto separatamente, in due momenti differenti. Per primo l’adulto, in un secondo momento, non temporalmente troppo distante dal precedente, il minore.
Per entrambi è necessario che gli incontri vengano videoregistrati, così come suggerito dall’art. 10 della Carta di Noto (2011 – terza versione)3 e dall’art. 3.10 e) delle Linee Guida Nazionali (2010)4. Non solo, ma anche la Cassazione si è pronunciata spesso e anche recentemente auspicando il ricorso alla videoregistrazione dei colloqui (Cass. Pen. Sez. IV 12/04/13 n. 16981, Foti).
Secondo Tribisonna (2014, p. 77), “sarebbe auspicabile poter disporre della videoregistrazione completa non solo delle audizioni operate in sede di incidente probatorio ma anche di quelle realizzate nelle indagini preliminari e perfino privatamente in una fase ancora pre-procedimentale, tra le mura domestiche”.
Lo scopo della videoregistrazione è “congelare” le dichiarazioni così come sono state pronunciate, oltre a salvare tutti gli aspetti del setting e comunicativi non verbali, di intervistato ed intervistatore, per un utilizzo successivo.
Tuttavia non è soltanto necessario videoregistrare gli incontri, ma svolgerli seguendo procedure note e modalità scientificamente valide al fine di ridurre al minimo il rischio di errore.
Nella fase della raccolta delle dichiarazioni del denunciante si suggerisce di muoversi all’interno della cornice del c.d. Memorandum di Ney che costituisce un valido strumento di supporto per gli argomenti da approfondire, mentre per la raccolta della testimonianza del minore è necessario ottenere delle dichiarazioni quanto più genuine e spontanee possibili, con la minima presenza di suggestioni e contaminazioni, permettendo la loro utilizzabilità nelle fasi successive alla notitia criminis, ad ausilio per l’attività di indagini preliminari del Pubblico Ministero ed in quelle di valutazione del G.I.P. e del suo Perito.
Al fine di ridurre al minimo i fenomeni di rielaborazione e contaminazione, è necessario ascoltare il minore contestualmente alla fase di denuncia oppure immediatamente dopo.
Chi intervista il minore è tenuto ad osservare scrupolosamente una metodologia di escussione i cui criteri siano approvati e condivisi dalla comunità scientifica. Nello specifico, è necessario non porre domande o pronunciare frasi suggestive, preferire domande aperte anziché chiuse, cercare di evitare le domande a risposta dicotomica (sì/no) e domande/frasi in forma negativa (“Non hai pensato di raccontarlo a qualcuno?”).
La Cassazione ha anche chiarito che l’”assunto secondo il quale i bambini piccoli non mentono consapevolmente e la loro fantasia attinge pur sempre ad un patrimonio conoscitivo deve essere contemperato con la consapevolezza che gli stessi possono essere dichiaranti attendibili, se lasciati liberi di raccontare, ma diventano altamente malleabili in presenza di suggestioni eteroindotte; interrogati con domande inducenti, tendono a conformarsi alle aspettative dell’interlocutore (Sez. 3, n. 37147 del 18/9/2007, Scancarello).
E’ pacifico affermare che la migliore prassi della raccolta della testimonianza minorile è l’utilizzo dei c.d. protocolli di intervista. Il Protocollo di Cosenza ne individua quattro, da utilizzare soprattutto in base all’età del minore.
I protocolli di intervista sono connotati da una sequenza di domande ad “imbuto”: si parte dal generale per confluire sempre di più nel particolare (presunto abuso).
Come indicato nel Protocollo, durante l’intervista, è preferibile non utilizzare strumenti di ausilio, quali bambole, pupazzi, giocattoli per facilitare la narrazione dei presunti fatti, poiché si correrebbe il rischio che “se si inizia con una fase di gioco fantastico, tutta l’intervista sia poi ‘giocata’ su quel piano, con grave danno per l’accuratezza di quello che il bambino dirà” (Mazzoni, 2011, p. 118).
L’ascolto del minore, in questa fase, dovrebbe essere condotto da un “esperto in psicologia o psichiatria infantile” così come introdotto dalla Convenzione di Lanzarote. Tuttavia la Suprema Corte di Cassazione Penale (Cass. Pen. Sez. IV 12/04/13 n. 16981, Foti) si è espressa recentemente sulla non obbligatorietà dell’esperto nell’esame del minore. Dunque, “la presenza dell’esperto è piuttosto cautela, rimessa alla valutazione del pubblico ministero, ai fini del giudizio di attendibilità e genuinità della deposizione del minore”.
Sulle competenze di chi intervista il minore, torneremo più avanti.
L’ultimo punto della sezione Notitia Criminis del Protocollo di Cosenza è dedicato all’importanza di trascrivere fedelmente (verbatim) sui verbali quanto riferito dal denunciante e, soprattutto, dal minore.
Spesso, in qualità di Periti del Giudice, riscontriamo verbali trascritti con frasi ricostruite, anziché riprodotte fedelmente, magari anche nella forma A.D.R. (A Domanda Risponde) senza che le domande poste vengano effettivamente riportate e senza trascrivere le parole e frasi effettivamente pronunciate. Per non parlare della comunicazione “non verbale”, evidentemente omessa nei verbali, ma addirittura prevista dall’art. 136 co. 1 c.p.p.
Questa è una prassi sbagliata, poiché sono infatti le domande e le dichiarazioni trascritte verbatim ad essere importanti per valutare l’attendibilità del minore e comprendere se siano presenti contaminazioni suggestive in seguito alla ricezione di informazioni inducenti.
Dunque, l’obbligo di documentazione integrale delle dichiarazioni rese dal minore “sembrerebbe riguardare solo l’incidente probatorio mentre sarebbe assolutamente fondamentale il rispetto di questa regola soprattutto nella fase precedente dove si raccolgono proprio quelle ‘primissime narrazioni’ che vengono ritenute le più attendibili perché non ancora contaminate da errate tecniche di ascolto o da altri fattori inquinanti il ricordo” (De Cataldo, 2010, p. 161).
Indagini Preliminari
La seconda sezione del Protocollo di Cosenza è costituita da due articoli. Si ribadisce ancora una volta l’importanza della videoregistrazione, in questo caso di tutti gli incontri delle S.I.T. (Sommarie Informazioni Testimoniali) e di quelli effettuati dal Consulente nominato dal Pubblico Ministero, anche con le figure di riferimento del minore coinvolte nelle indagini preliminari.
L’ultimo articolo della sezione è dedicato all’attività del Consulente Tecnico che dovrebbe utilizzare sempre strumenti evidence-based ai fini dell’accertamento sull’idoneità a testimoniare senza mai pronunciarsi (prerogativa esclusiva del Giudice) sull’attendibilità/veridicità delle affermazioni del minore. Come sostengono anche Carponi Schittar e Rossi (2012, p. 36), “l’appurare se il minore dica il ‘vero’ o il ‘falso’ (il che non implica necessariamente la presenza di una menzogna), non è di pertinenza del tecnico-psicologo nemmeno quando rivesta il ruolo di consulente tecnico o di perito, tuttavia, in quest’ultimi casi, ha l’opportunità di approfondire la presenza di certe dinamiche psichiche interne o esterne al bambino, che evidenzierà al magistrato nell’intento di rappresentargli come, esse, possano portare distorsioni nel narrato”.
L’elaborato scritto del Consulente Tecnico dovrebbe essere affidabile da un punto di vista scientifico, garantendo almeno l’esplicitazione del modello teorico di riferimento, la metodologia utilizzata, una bibliografia “reale” e, in allegato, i protocolli dei tests in originale, oltre al supporto digitale contenenti i video degli incontri.
Una metodologia chiara, ispirata alla sentenza Daubert (Suprema Corte degli S.U. 1993) in cui viene sancito che devono accompagnarsi alla competenza decisionale del Giudice alcuni elementari canoni di verifica epistemologica relativi al contributo dell’esperto e ai suoi standard minimi di qualità (Pingitore, Camerini, 2012, p. 42 ):
la verificabilità e la falsificabilità della teoria;
il controllo della comunità scientifica;
la generale accettazione della teoria stessa.
Biscione (2012, p. 67) suggerisce il seguente schema utilizzabile per la stesura dell’elaborato peritale, adattabile anche per l’elaborato consulenziale per il Pubblico Ministero:
esplicitazione dell’incarico;
esplicitazione dei quesiti richiesti al perito;
ricostruzione degli atti processuali in possesso;
raccolta anamnestica personale e familiare del minore;
spiegazione della metodologia utilizzata;
valutazione psicodiagnostica del minore;
discussione peritale;
risposte ai quesiti.
Incidente Probatorio
La terza ed ultima sezione corrisponde alla fase più importante dell’intero procedimento. Durante l’incidente probatorio viene ascoltato nuovamente il minore, ma alla presenza di un Giudice, Pubblico Ministero, Avvocati, Consulenti e dell’indagato.
Durante le indagini preliminari, l’incidente probatorio può essere richiesto al GIP dal Pubblico Ministero o dall’indagato. E’ una vera e propria udienza che “si svolge davanti al GIP e segue le forme previste per il dibattimento con la partecipazione obbligatoria delle parti” (Cirio, Francomano, Pagano, 2012, p. 27).
L’audizione protetta del minore dovrebbe svolgersi in un ambiente neutro che non sia una stanza (seppur “protetta”) del Tribunale o l’abitazione del minore. Preferibilmente, appunto, uno spazio neutrale appositamente adibito per lo svolgimento di questa tipologia particolare di audizione, in cui in una stanza presenziano il minore con l’esperto, nella stanza adiacente, collegata a quella del minore con impianto di videoregistrazione a circuito chiuso, vengono collocate tutte le altre figure (Giudice, P.M., Avvocati ecc.) che possono seguire live ciò che il minore dice e fa insieme all’esperto.
Si ritorna per un breve momento, come accennato, al profilo professionale dell’esperto. Egli, come introdotto dalla Convenzione di Lanzarote, dovrebbe corrispondere ad un “esperto in psicologia o psichiatria infantile”, riferendosi alla fase dell’attività investigativa. Tuttavia l’art. 498 co 2. c.p.p. prevede l’ ”esperto in psicologia infantile”, dimenticandosi dello “psichiatra infantile” (rectius, “neuropsichiatra infantile”).
Il GIP ha dunque facoltà di nominare, sostanzialmente, l’esperto di sua fiducia nelle materie di cui sopra. Ma è sufficiente essere esperti o possedere una specializzazione in tali ambiti? Probabilmente no. E’ necessaria, invece, una formazione specifica nel campo della Psicologia Giuridica o Neuropsichitria Infantile Forense (Psichiatria Forense), in grado di fornire all’esperto incaricato dal GIP un’adeguata formazione nei seguenti ambiti:
cornice normativa dell’incidente probatorio;
basi del funzionamento della memoria, soprattutto di quella dei bambini/adolescenti;
conoscenza approfondita dei protocolli di intervista investigativi appositamente utilizzati in questo genere di casi;
conoscenza approfondita della psicologia della testimonianza minorile;
basi della psicologia e psicopatologia dei bambini/adolescenti.
Così cita l’art. 1.3 delle Linee Guida Nazionali:
L’esperto coinvolto in un accertamento tecnico deve essere in grado di dimostrare la specifica competenza in tema, da intendersi sia come conoscenza delle fondamenta scientifiche delle diverse discipline coinvolte sia dei criteri di riferimento giuridici. Deve essere inoltre in grado di produrre notizia documentata sulla sua specifica esperienza in ambito forense, sul suo curriculum formativo nel settore e su quello scientifico, incluse le eventuali pubblicazioni sull’argomento.
Il ruolo dell’esperto all’interno dell’incidente probatorio svolge la funzione di “facilitare” la raccolta della testimonianza del minore vittima/testimone di un presunto abuso sessuale.
Secondo Cavedon (2001, p. 475) “non è sufficiente, né indispensabile una laurea in psicologia per interrogare correttamente un bambino, ci vuole una specifica formazione a farlo”.
L’esperto non ha alcuna funzione “clinica” o “psicoterapica”, il minore non deve essere valutato clinicamente, ma “aiutato” a raccontare i fatti.
Al termine dell’audizione protetta, l’esperto non deve rilasciare alcuna relazione su quanto svolto, né dovrebbe essere nominato per testimoniare successivamente.
Così uno stralcio dell’art. 2.2 delle linee guida Unicef – Consiglio Superiore della Magistratura “L’ascolto dei minorenni in ambito giudiziario”5:
È opinione condivisa che il minore deve essere ascoltato da persone specializzate: chi ascolta deve avere competenze forensi, che gli consentano di indirizzare l’intervista su temi rilevanti per la verifica dell’attendibilità, nonchè competenze tecniche che consentano di “entrare in relazione” con il minore.
Non avendo, dunque, l’ascolto del minore alcuna finalità clinica, l’esperto non dovrebbe utilizzare strumenti “clinici” ed interpretativi per svolgere il proprio ruolo. A conferma di ciò il Protocollo di Cosenza sconsiglia l’utilizzo di giochi, pupazzi e bambole quali strumenti di ausilio per facilitare il ricordo del minore. Se il minore tende a rimanere in silenzio, l’esperto potrebbe optare per l’utilizzo di disegni o di bambole/pupazzi per aiutare il teste a ricordare. Il minore, tuttavia, potrebbe disegnare scene apparentemente decontestualizzate dai presunti fatti (siamo sicuri che siano decontestualizzate?) o disegni a connotazione sessuale (siamo sicuri che si riferiscano ai presunti fatti?). Sartori (2010, p. 158) sostiene che “elementi che, se anche possono essere utili in campo clinico, in ambito forense possono rivelarsi poco obiettivi e troppo ambigui”.
In una recente sentenza del GIP del Tribunale di Salerno (Reg. Sentenze n. 78/14):
“Sono stati impropriamente utilizzati bambolotti ed altri oggetti simbolici, con l’obiettivo di impegnare il minore in un gioco di ruoli fittizio, caratterizzato dal continuo scambio tra soggetti ed oggetti, senza considerare che, a quell’età, il piccolo F. non era assolutamente in grado di gestire i ripetuti passaggi dal piano simbolico a quello reale, né era capace di discriminare e interpretare le reazioni emotive attribuite al personaggio, non avendo alcuna padronanza della funzione riflessiva della teoria della mente (ossia della capacità di discriminare ed interpretare stati d’animo propri e altrui).
La legge n. 172 del 2012 (Convenzione di Lanzarote) ha riscritto il ruolo dell’esperto in psicologia nel processo penale, “il ruolo dell’esperto dovrebbe essere quello di mediare l’audizione, con l’obiettivo di attutire, se non eliminare, gli eventuali effetti traumatici che possono derivarne […] si riconosce al tecnico la funzione di garantire la corretta acquisizione delle dichiarazioni, evidentemente con l’obiettivo di evitare interventi manipolativi, suggestivi e comunque lesivi della personalità del teste, ritenuto naturalmente fragile e particolarmente esposto a suggestioni” (Recchione, 2013, p. 15).
Come anche esposto anche da Yuille, Cooper e Hervé (2009, p. 126), “bisogna operare una netta distinzione tra colloqui terapeutici e interviste investigative. A colui che svolge un’intervista investigativa viene richiesto di essere obiettivo, di mantenere una posizione neutrale rispetto alle accuse sottoposte ad inchiesta. Al contrario, il terapeuta si occupa non della realtà storica delle accuse quanto della loro realtà soggettiva. Il terapeuta deve sentirsi libero di essere direttivo ed evocativo, l’intervistatore no”.
L’esperto incaricato dal GIP per svolgere l’audizione protetta dovrebbe garantire il più possibile imparzialità ed obiettività, acquisendo minime informazioni sui presunti fatti, nello specifico: nome, età del minore, in che contesto sarebbe avvenuto il presunto abuso e da chi sarebbe stato perpetrato.
Come riferiscono anche Gulotta e Cutica (2009, p. 163), “l’obiettività personale è un elemento fondamentale, e l’essere obiettivi, in sé, non preclude l’essere supportivi verso il bambino durante l’investigazione”.
E’ bene sempre e comunque, procedere rispettando alcune fasi quali: costruzione del rapporto, favorire la narrazione libera, narrazione guidata e conclusioni. Il rispetto di queste quattro fasi permette di minimizzare possibili suggestioni e massimizzare la qualità dei dettagli ricordati” (Scali, 2012, p. 73).
E’ facoltà del Giudice presenziare all’interno della stanza con il minore e con l’esperto, anzi potrebbe lui stesso condurre l’escussione. Su questa ultima opzione, esiste un abbondante dibattito scientifico, soprattutto sull’effettivo ruolo dell’esperto che non è normato dal legislatore. A riguardo, citiamo l’ultima relazione del Dipartimento di Giustizia Minorile6 sui minori vittime di reato “così come concepita dal legislatore, la presenza dell’esperto non risolve alla radice i problemi derivanti al minore sia dall’impatto con il sistema giudiziario, ossia la c.d. vittimizzazione secondaria o da processo, rientrando il minore nella categoria delle persone vulnerabili, sia dal ripetersi degli ascolti che sottopongono la vittima ad uno stress ulteriore e spesso ultroneo”.
La Società Italiana Scienze Forensi si impegna di effettuare una revisione annuale del Protocollo di Cosenza sotto il profilo scientifico e normativo, garantendo un aggiornamento costante sulle migliori prassi in tema di presunti abusi sessuali sui minori.
Bibliografia
Tribisonna F., Non è obbligatorio l’ausilio dell’esperto in psicologia infantile nell’esame del minore, in «Diritto penale e processo», 2014, 1-14, pp. 65-79
Mazzoni G., Psicologia della testimonianza, Carocci, Milano, 2014
De Cataldo Neuburger L., L’ascolto del minore. Norma, giurisprudenza e prassi, in Gulotta G., Curci A. (Ed.), Mente, società e diritto, Giuffré, Milano, 2010
Carponi Schittar D., Rossi R., Perizia e consulenza in caso di abuso sessuale sui minori, Giuffré, Milano, 2012
Pingitore M., Camerini G. B., Nomina del perito, in Biscione M. C., Pingitore M. (Ed), La perizia nei casi di abusi sessuali sui minori. Guida pratica, FrancoAngeli, Milano, 2012
Biscione M.C., La stesura dell’elaborato peritale, in Biscione M. C., Pingitore M. (Ed), La perizia nei casi di abusi sessuali sui minori. Guida pratica, FrancoAngeli, Milano, 2012
Sartori G., Idoneità del minore a rendere testimonianza, in Stracciari G., Bianchi A., Sartori G., Neuropsicologia forense, il Mulino, Bologna, 2010
Recchione S., La prova dichiarativa del minore nei processi per abuso sessuale: l’intreccio (non districabile) con la prova scientifica e l’utilizzo come prova decisiva delle dichiarazioni “de relato”, in «Diritto penale contemporaneo», 2013
Yiulle J., C., Cooper B. S., Herv H. H. F., La nuova generazione delle linee guida Stepwise per l’intervista dei minori, in Casonato M. Pfafflin F. (Ed), Pedoparafilie: prospettive psicologiche, forensi, psichiatriche, FrancoAngeli, Milano, 2009
Gulotta G., Cutica I., Guida alla perizia in tema di abuso sessuale e alla sua critica, Giuffré, 2009
Scali M., L’audizione protetta: come si svolge, in Biscione M. C., Pingitore M. (Ed), La perizia nei casi di abusi sessuali sui minori. Guida pratica, FrancoAngeli, Milano, 2012
Cirio G. M., Francomano E., Pagano G., Premessa normativa, in Biscione M. C., Pingitore M. (Ed), La perizia nei casi di abusi sessuali sui minori. Guida pratica, FrancoAngeli, Milano, 2012
Cavedon A., Tecniche di intervista, in Forza A., Michielin P., Sergio G. (Ed), Difendere, valutare e giudicare il minore, Giuffré, Milano, 2001

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