10 domande, con relative risposte, sugli interventi psicosociali da adottare nei casi di Alienazione Parentale.
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Aggiornato al: 13/05/17
#1 – Accertata l’Alienazione Parentale, il figlio va trasferito presso il genitore rifiutato (inversione di collocamento)
Potrebbe essere una soluzione, ma non sempre praticabile. Specialmente se:
– vi è parallelamente un procedimento penale di ipotesi di violenza sessuale da parte del genitore (rifiutato) nei confronti del figlio;
– si è concluso da poco (o ancora in corso di CTU) il procedimento penale di cui sopra con archiviazione/assoluzione, ma il figlio continua a “credere” di essere stato abusato dal genitore. Naturalmente, al contrario, se l’abuso sessuale fosse accertato (terzo grado di giudizio) non reggerebbe alcuna ipotesi di alienazione parentale;
– il figlio ha un età intorno ai 12/13 anni (in su): se rifiuta il trasferimento presso l’altro genitore, che si fa? Si va a prenderlo con Assistenti Sociali e Carabinieri? Già immagino il genitore dominante: io sono d’accordo, ma è lui che non vuole andare. Che fate, venite a prenderlo voi?
#2 – A proposito di età: qual è la relazione tra capacità di discernimento e Alienazione Parentale?
Se il CTU rilevasse un’alienazione parentale, va da sé che dovrebbe essere valutata come compromessa la capacità di discernimento del bambino (soprattutto se dai 12 anni in su). Coerentemente con le dinamiche di alienazione, il bambino non potrebbe possedere la facoltà di discernimento, il contrario sarebbe un controsenso.
#3 – Se l’inversione di collocamento non può essere effettuata, il bambino va trasferito temporaneamente in una struttura protetta per minori
Andiamoci cauti. Sarebbe l’extrema ratio. Questa soluzione, ad esempio, adottata nel 2015 dal Tribunale di Cosenza su due bambini di 8 e 6 anni si è resa necessaria perché i bambini avevano accusato il padre di abusi sessuali. Archiviato, in corso di CTU, il procedimento penale in capo al padre, è venuta meno l’ipotesi del rifiuto (abuso sessuale) portato avanti dalla madre. A quel punto i bambini non potevano ritornare ex abrupto a casa del padre perché continuavano ad insistere sulle violenze sessuali. Il Collegio giudicante ha inteso trasferire i bambini, per un periodo di 6 mesi, presso una struttura protetta affidandoli in via (super) esclusiva al padre, nonostante le indicazioni del CTU che suggerivano un affidamento ai Servizi Sociali. In questo caso, il primo in Italia, i bambini hanno avuto la possibilità di riallacciare il legame, fortemente compromesso, con il padre, ma non funziona sempre così. L’ipotesi della casa famiglia non è sempre praticabile, soprattutto per l’età del minore: chi se la sente di trasferire un minore di 13/14 anni in una casa famiglia? Sintetizzando, i limiti di questa opzione sono:
– età del figlio: più grande è, meno è praticabile questa soluzione;
– fase dell’alienazione parentale: ne individuo 3;
– risorse del genitore rifiutato, elemento troppo spesso sottovalutato: che risorse possiede il genitore rifiutato, in termini di capacità genitoriali, tali da affrontare con assertività e determinazione tutte le conseguenze che porta la soluzione temporanea del figlio in casa famiglia? Il passo successivo sarebbe quello di trasferirlo presso di lui, ma se il genitore rifiutato venisse valutato come inadeguato per il suo comportamento arrendevole e passivo, risulterebbe tutto più difficile. Immaginiamo gli incontri protetti tra genitore rifiutato e figlio: sono in collegio per te! sei tu la causa di tutti i miei mali! aveva ragione mamma (o papà)! mi hai distrutto la vita! E’ in grado di reggere e affrontare tutto questo il genitore passivo?
A proposito di incontri protetti. Andrebbero effettuati in spazio neutro alla presenza di personale specializzato (psicologi e/o neuropsichiatri infantili). Incontri protetti non vuol dire “li faccio incontrare in una stanza”, ma redigere un progetto di intervento strutturato con obiettivi a breve, medio e lungo termine. Nello specifico: prevedere, oltre agli incontri protetti, anche colloqui individuali e/o congiunti con tutti i membri della famiglia divisa.
Mentre il trasferimento temporaneo presso parenti potrebbe sembrare una soluzione fattibile, ma con significative criticità: il parente riuscirebbe a gestire delle dinamiche relazionali così complesse? Ma l’elemento più critico consisterebbe nella possibilità da parte del genitore dominante di avere un contatto diretto e senza filtro con il parente presso cui dimora il figlio, per cui questo soggetto si troverebbe triangolato, senza alcuna tutela, in dinamiche collusive da parte di entrambi i genitori, gli avvocati e lo stesso figlio.
#4 – Serve la psicoterapia sui genitori o il sostegno alla genitorialità?
Spesso e volentieri, i Tribunali italiani impongono improbabili interventi psicologici di natura sanitaria ai genitori, magari camuffandoli da invito o da suggerimento, ma con la minaccia che se dovessero rifiutarsi, potrebbero esserci gravi conseguenze in termini di responsabilità genitoriale. Mi chiedo e vi chiedo: a parte l’illegittimità di tali interventi, sia dal punto di vista costituzionale, sia da quello deontologico e metodologico, nei casi di alienazione parentale potrebbero essere utili? Probabilmente no, poiché potrebbe risultare controproducente delegare la risoluzione di casi così complicati ad un lavoro psicologico che richiede motivazione, convinzione e, soprattutto, un valido consenso informato. Inoltre, il distorto convincimento di un genitore nei confronti dell’altro, non esclude, a priori, l’idoneità genitoriale: si può essere liberi di pensare male dell’altro genitore, senza però ostacolare la frequentazione con il figlio? Dei trattamenti sanitari sui genitori ne parlo abbondantemente qui e nel Documento redatto dall’Ordine Psicologi Calabria.
#5 – Potrebbe essere utile un intervento psicologico sul figlio?
Probabilmente, ma non con l’obiettivo di “fargli cambiare idea” sul genitore rifiutato poiché sarebbe un paradosso: allontanarlo dal genitore dominante perché lo influenza e lo condiziona per inviarlo da uno psicologo con l’intento di fargli cambiare idea. A parte le criticità deontologiche, una psicoterapia sul minore con lo scopo di “ripristinare” una nuova visione (diciamo così) del genitore rifiutato non darebbe alcuna certezza sull’efficacia del trattamento e del raggiungimento degli obiettivi: dopo 1 anno di psicoterapia, il figlio potrebbe continuare a non voler vedere il genitore, anzi il rifiuto potrebbe aver trovato con il tempo una motivazione più radicata. L’intervento psicologico sul minore dovrebbe prevedere obiettivi meramente clinici e non psicoforensi (cfr. punto 8).
#6 – Sanzioni!
Potrebbe essere la soluzione maggiormente praticabile nei casi di alienazione parentale: se non ti comporti come ti dico, ti sanziono. Andrebbero comminate unitamente a delle prescrizioni per il genitore dominante (cfr punto 8).
#7 – Il fattore tempo
E’ determinante. Rappresenta la premessa di ogni tipo di intervento. Più il tempo passa, più difficoltà si troverebbero nella risoluzione del caso.
#8 – Assunzione di responsabilità
Nei casi più compromessi di alienazione parentale, in cui ogni intervento è risultato vano, occorrerebbe puntare i riflettori sul genitore dominante: se maggiormente sua è stata la responsabilità dell’alienazione, dovrà essere altrettanto sua la responsabilità di ripristinare il rapporto del figlio con l’altro genitore. Non può rimanere fermo a godersi lo “spettacolo”. Ad esempio, innanzi ad un figlio quindicenne che non vuole trasferirsi a casa del genitore rifiutato (inversione di collocamento), la soluzione di un trasferimento in una casa famiglia sarebbe critica e inattuabile. In linea con l’orientamento di alcuni Tribunali si potrebbe decidere di lasciare invariata la sua permanenza presso l’abitazione del genitore dominante, ma è quest’ultimo che dovrà fare di tutto per convincerlo a frequentare il padre/la madre. Dovrà essere il genitore dominante che lo accompagnerà a casa dell’altro genitore (o in altro luogo); è sempre lui che dovrà andare a prenderlo presso il genitore rifiutato per riportarlo a casa. Cambio di prospettiva: da posizione “up”, il genitore dominante passa a “down”. Unitamente a questo, il genitore dominante dovrebbe subire la limitazione della responsabilità genitoriale, tanto da non poter esercitare alcun potere sul figlio che inizierà ad assistere ad una graduale perdita di potere e credibilità a suoi occhi. Il comportamento subdolo e ambiguo del genitore dominante dovrà uscire allo scoperto: ma come, prima eri contento/a che non lo/la vedevo e poi mi porti a casa sua? Non capisco, che ti sta succedendo? Non mi stai più proteggendo! Mi stai confondendo! E’ qui che potrebbe risultare molto opportuno ed efficace un sostegno psicologico sul minore e sul genitore rifiutato (previo libero consenso informato). Mentre per il genitore dominante inadempiente, potrebbe intervenire l’Autorità Giudiziaria. Questo punto lo approfondirò in altri spazi.
#9 – Coordinatore genitoriale, educatore, curatore del minore
Tutte figure, a mio avviso, poco efficaci nei casi di alienazione parentale: premesso che la loro presenza, comporterebbe una valutazione di inidoneità genitoriale, che ruolo dovrebbero avere nell’intervento? Con quali poteri? Chi pagherebbe il loro onorario? Per quanto tempo? Con quali competenze? L’alienazione parentale prevede un genitore dominante: quali tutele per queste figure di fronte alle capacità manipolative del genitore dominante?
#10 – Pari opportunità per entrambi i genitori
Da prevedere sin dall’udienza presidenziale di separazione. Diamo la definizione che vogliamo: tempi paritetici, mediamente paritetici, affidamento materialmente condiviso, ma la sostanza non cambia. Entrambi i genitori, sin dall’inizio del loro iter di separazione, dovrebbero avere pari opportunità di esercizio di responsabilità nei confronti del figlio. La figura del genitore “collocatario” dovrebbe lasciare spazio ad una nuova cultura della effettiva bigenitorialità.
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