La testimonianza del minore abusato è valida, anche laddove gli siano state poste domande suggestive.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE III PENALE
Sentenza 28 ottobre 2009 – 8 marzo 2010, n. 9157 (Presidente Onorato – Relatore Sensini)
Leggi la Sentenza
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE III PENALE Sentenza 28 ottobre 2009 – 8 marzo 2010, n. 9157 (Presidente Onorato – Relatore Sensini)
Svolgimento del processo 1 – Con sentenza in data 11/6/2008, la Corte di Appello di Roma confermava la pronuncia del Tribunale di Rieti del 20/11/2007, con la quale C. S. era stato condannato alla pena di anni sei di reclusione, oltre che alle pene accessorie ed al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, in quanto riconosciuto colpevole: a) del reato di cui agli artt. 81 cpv., 609 quater comma 1° n. 1 e comma 4° c.p. per aver compiuto, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso ed in tempi diversi, atti sessuali con la minore di anni **** J. N., consistiti nel toccarla nelle parti intime, nell’invitarla ad avere con lui rapporti sessuali di tipo orale e, in una occasione, nell’avere con la stessa un rapporto di tipo anale; b) del reato di cui agli artt. 81 cpv., 609 quinquies perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso ed in tempi diversi, compiva atti sessuali in presenza della minore J. N., consistiti nel masturbarsi, al fine di farla assistere; c) del reato di cui agli artt. 81 cpv., 56/610 c.p. per aver compiuto atti idonei, diretti in modo non equivoco a costringere J. N. ad omettere la denuncia nei suoi confronti. Fatti commessi in **** a partire dall’estate dell’anno ****, sino a data antecedente al ****. 2 – Avverso la sentenza della Corte territoriale ha proposto ricorso per Cassazione il C., a mezzo dei difensori, deducendo: 2.1) difetto di motivazione rispetto alle doglianze difensive mosse con l’atto di appello; illogicità e vizio della motivazione in ordine alla valutazione di attendibilità del dichiarato della minore ed al rigetto della richiesta di rinnovazione della perizia sulle dichiarazioni della bambina. In particolare, la sentenza del Tribunale aveva ritenuto l’attendibilità della parte offesa analizzando i contenuti delle dichiarazioni dalla stessa rese in sede di incidente probatorio e ritenendo ulteriormente che la valutazione di attendibilità fosse confermata dall’esame testimoniale delle psicologhe che avevano avuto in cura J., le quali avevano riferito come la stessa denotasse indicatori di abuso. Con l’atto di appello, tuttavia, si era evidenziata la scorrettezza del metodo prescelto, per la conduzione dell’esame, dalla dottoressa P., la quale, ponendo domande in modo marcatamente suggestivo, aveva apertamente violato le linee guida della “Carta di Noto”. In proposito, la sentenza impugnata, ignorando le obiezioni difensive, e pur non negando che quelle violazioni vi fossero state, aveva richiamato per relationem la pronuncia di primo grado, senza apprezzare l’incidenza delle suddette violazioni sulla formazione della prova e non fornendo alcuna risposta ai motivi di gravame. Sotto altro aspetto, la conferma del giudizio di attendibilità della minore risultava basato su di un ragionamento del tutto illogico: infatti, sostenere che, in presenza di domande suggestive, le risposte dimostravano comunque la loro genuinità, era un assunto recante in sé profili di illogicità. Anche la cosiddetta autonomia del racconto, ritenuto dai giudici di merito elemento di riscontro alla genuinità ed attendibilità della minore, avendo la stessa fornito risposte svincolate dalle domande suggestive postele, non era stata correttamente apprezzata, in quanto le risposte fornite erano, in realtà, frutto del fatto che la bambina aveva narrato i fatti di causa in altre occasioni, a diversi psicologi oltre che ai genitori, limitandosi, pertanto, a ripeterne il contenuto in sede di incidente probatorio. Per tali motivi sarebbe stata necessaria la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, al fine di procedere all’espletamento di una nuova perizia sulle dichiarazioni della minore; 2.2) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale avuto riguardo al disposto di cui all’art. 499 comma 3° c.p.p., in considerazione del non corretto approccio con la minore da parte della dottoressa P., la quale, attraverso domande suggestive, aveva interferito sulla genuinità della prova. Si chiedeva l’annullamento della sentenza.
Motivi della decisione
3 – Il ricorso va rigettato, essendo infondate le censure che lo sorreggono. 3.1) In particolare, destituita di fondamento è la prima doglianza (cfr. 2.1). Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di valutazione probatoria: – la deposizione della persona offesa dal reato, anche se quest’ultima non è equiparabile a quella del testimone estraneo, può, tuttavia, essere da sola assunta come fonte di prova, ove venga sottoposta ad un’indagine positiva sulla credibilità soggettiva ed oggettiva di chi l’ha resa (cfr., ex multis, Cass. 7/11/2006 n. 2007; Cass. Sez. 3, 10/8/2005 n. 30422; Sez. 3, 29/1/2004 n. 3348); – la valutazione del contenuto delle dichiarazioni del minore – parte offesa in materia di reati sessuali, in considerazione delle complesse implicazioni che la materia stessa comporta, deve contenere un esame sia dell’attitudine psico-fisica del teste ad esporre le vicende in modo esatto, sia della sua posizione psicologica rispetto al contesto delle situazioni interne ed esterne; – nel caso di dichiarazioni accusatorie formulate da minori, il Giudice ha l’obbligo, al fine di escludere ogni possibilità di dubbio o di sospetto che esse siano conseguenti ad un processo di auto o eterosuggestione, di sottoporre le accuse medesime ad attenta verifica, onde accertare se le stesse trovino obiettivo riscontro tra loro o con altri elementi di convalida già acquisiti, sì da poter escludere che esse possano derivare dalla immaturità psichica o dalla facile suggestionabilità del soggetto. I Giudici di merito, nella fattispecie in esame, risultano essersi attenuti correttamente agli anzidetti principi, poiché hanno: – valorizzato, in primo luogo, la genesi della notizia di reato, emersa in modo del tutto spontaneo ed imprevedibile. In particolare, i genitori della bambina, N. G. e D. V. L., riferivano che la sera del **** la figlia J., che all’epoca aveva **** anni, aveva lasciato una lettera per il padre, nella quale diceva che l’indomani doveva raccontargli una cosa molto importante, per la quale stava soffrendo tantissimo. Il giorno successivo, la bambina raccontava che lo zio la toccava, indicando le proprie parti intime ed, inoltre, che, in un’occasione, lo zio si era masturbato davanti a lei. La minore raccontava anche che il C. le faceva vedere delle videocassette a contenuto pornografico, tra le quali anche alcuni video amatoriali in cui erano filmati rapporti sessuali tra l’imputato e la moglie, e che la rassicurava dicendo che queste erano cose “normali”, che potevano essere fatte anche dallo zio con la nipote. Gli incontri erano avvenuti, per lo più, nel garage del C., che le aveva anche offerto del denaro per convincerla ad avere rapporti con lui. Dopo il racconto ai genitori, la bimba era stata colta da uno stato di intensa agitazione ed aveva accusato una crisi di nervi. I genitori riferivano anche che, in precedenza, nell’estate del ****, J. aveva detto alla madre – che poi lo aveva riferito al marito – che lo zio la “toccava”, ma nessuno dei due aveva dato importanza alla cosa, pensando che la bambina scherzasse ed anche perché enorme era la fiducia riposta nel prevenuto, “zio” acquisito della minore, avendo sposato la sorella del N.. 2) hanno adeguatamente valutato l’esame della minore nel corso dell’incidente probatorio, esame condotto con l’ausilio della dottoressa L. P., esperto di psicologia infantile nominato dal giudice per le indagini preliminari. Alla dottoressa P., la minore raccontava anche di un rapporto anale avvenuto in campagna, a casa della nonna, all’interno di un magazzino. J. narrava anche che il C. le mostrava dei fogli presi da internet tramite un computer che aveva nell’ufficio del campo di calcio, gestendo – l’imputato – una squadra di calcio a ****; 3) hanno congruamente considerato le risultanze della relazione della dottoressa P., la quale aveva affermato che J. non presentava alcuna patologia di rilievo, essendo scomparsi i disturbi attentivi ed ipercinetici – manifestati a scuola – e per i quali la minore era stata seguita, nell’autunno del ****, dalla dottoressa T., neuropsichiatra infantile presso il **** di ****. Identico giudizio di attendibilità era stato formulato, oltreché dalla dottoressa T., dalla dottoressa L., anch’essa neuropsichiatra infantile, la quale aveva riferito che i tests somministrati alla bambina denotavano un livello intellettivo nella norma ed un’adeguata aderenza alla realtà. Tutte avevano riferito che J. era una bambina assolutamente normale sotto il profilo della maturità e delle cognizioni intellettive, come pure buono era il contatto con la situazione reale; 4) si sono soffermati sulla intrinseca coerenza e sulla reiterazione del narrato di J., ritenendo significativi degli abusi subiti alcuni sintomi (diarrea, pavor nocturnus, insonnia, depressione, tosse stizzosa), manifestati dalla bambina proprio a partire dall’estate del ****. La Corte di Appello, pur dando atto di talune domande suggestive poste dalla dottoressa P. alla minore nel corso dell’incidente probatorio, ha ritenuto, tuttavia, di condividere l’impostazione del Tribunale, secondo cui il pur non sempre corretto approccio con la bambina da parte del consulente tecnico, era comunque superato dall’autonomia e dalla spontaneità dimostrate dalla parte offesa nel rispondere alle domande: segno evidente che la stessa non era stata per nulla suggestionata dalle domande, non adagiandosi sulle stesse ed, anzi, negando che taluni fatti fossero accaduti. Lamenta la difesa ricorrente che la psicologa, ponendo domande marcatamente suggestive, aveva apertamente violato le linee guida della “Carta di Noto”, con conseguente vizio motivazionale della sentenza che su quelle dichiarazioni aveva fondato il proprio convincimento di colpevolezza. L’assunto è infondato. Questa Corte ha più volte osservato, in tema di esame testimoniale dei minorenni – parti offese nei reati di natura sessuale, che le prescrizioni contenute nella c.d. “Carta di Noto”, pur essendo tale atto di autorevolissima rilevanza nella interpretazione delle norme che disciplinano l’audizione dei minori, rappresentano delle mere indicazioni metodologiche non tassative, con la conseguenza che l’eventuale inosservanza di dette prescrizioni non comporta la nullità dell’esame, sia perché, in virtù del principio di tassatività delle nullità vigente nel codice di rito, l’inosservanza di tali prescrizioni non è riconducibile ad alcuna delle previsioni delineate dall’art. 178 c.p.p., sia perché, come si è detto, ai principi posti dalla “Carta di Noto” non può riconoscersi alcun valore normativo, trattandosi di “suggerimenti diretti a garantire l’attendibilità… delle dichiarazioni” del minore e la “protezione psicologica” dello stesso, come si legge nella premessa della Carta stessa (cfr. Cass. Sez. 3, 14/12/2007 n. 6464, Granilio; Sez. 3, 10/4/2008 n. 20568, Gruden ed altro). Nel caso di specie, il motivo è comunque destituito di fondamento, in quanto già oggetto di specifica e puntuale valutazione da parte della Corte di merito, che ha diffusamente elencato le ragioni che militavano per la genuinità ed attendibilità della minore, al di là del metodo di ascolto, non sempre appropriato e corretto. 3.2) Lamenta ancora la difesa che, anche a voler ammettere che la violazione delle prescrizioni contenute nella “Carta di Noto” non comporti alcuna nullità dell’esame testimoniale, si pone, in ogni caso, il problema della sua utilizzabilità, trattandosi di atto assunto in violazione dell’art. 499 comma 3° c.p.p.(cfr. 2.2). Ritiene il Collegio che il motivo sia infondato. L’art. 499 comma terzo c.p.p. prevede che “nell’esame condotto dalla parte che ha chiesto la citazione del testimone e da quella che ha un interesse comune sono vietate le domande che tendono a suggerire le risposte”. A tale riguardo, vanno svolti due ordini di considerazioni: 1) la violazione del disposto di cui all’art. 499 c.p.p., con riferimento alle caratteristiche delle domande che devono essere poste ai testimoni, non è sanzionata da nullità, con la conseguenza che, per il principio di tassatività vigente in mate
ria di esame del teste condotto mediante la formulazione di domande non pertinenti o suggestive, la suddetta violazione non determina la nullità dell’esame e, tanto meno, la inutilizzabilità, riferendosi, tale sanzione, alle prove vietate dal codice e non certamente alla regolarità della assunzione di quelle consentite; 2) l’inutilizzabilità della testimonianza si verifica solo allorché essa venga assunta in presenza di un divieto legislativo. Ora, il legislatore, mentre ha vietato in modo assoluto la formulazione di domande nocive, ossia quelle che tendono a condizionare con ogni mezzo la libera determinazione del teste, anche se poste dal giudice, ha circoscritto il divieto delle domande suggestive a quelle formulate dalla parte che ha chiesto l’esame e da quella che ha un interesse comune. Il divieto non vale, dunque, per il giudice, tenuto alla ricerca della verità sostanziale, e neppure per l’ausiliario. In tale ultimo caso, l’eventuale vizio di acquisizione delle dichiarazioni effettuate dal minore non integra un problema di utilizzabilità, ma potrà formare oggetto di gravame sotto il profilo della attendibilità del risultato della prova a causa delle modalità della sua assunzione. Nella specie, peraltro, anche tale profilo di censura è destituito di fondamento, avendo, la sentenza impugnata, offerto corretta ed esaustiva motivazione in punto di ritenuta attendibilità della parte offesa, tenendo adeguatamente conto dei rilievi difensivi, che già nella sede di merito avevano censurato le ritenute illegittime modalità di ascolto della minore. Ciò posto, destituita di fondamento è anche la doglianza relativa al difetto di motivazione in punto di mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale al fine di procedere a nuova perizia sulla parte offesa. Secondo le costanti pronunce di questa Corte, la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello è consentita, ai sensi dell’art. 603, comma 1°, c.p.p. solo quando il giudice di quel grado non sia in grado di decidere allo stato degli atti. Si palesa, quindi, evidente, che la motivazione della gravata sentenza implica la assoluta esaustività del materiale probatorio acquisito ai fini del decidere. 4 – Il ricorso va, conclusivamente, rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Il C. va, inoltre, condannato alla rifusione delle spese di parte civile, liquidate in euro 2.500,00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese di parte civile, che liquida in euro 2.500,00, oltre accessori di legge.

Iscriviti alla Newsletter via WhatsApp

Condividi questo post

By Published On: 30 Dicembre 2013Categories: Sentenze Cassazione0 Comments on Sentenza 28/10/09 – 8/03/10 n. 9157Tags: Last Updated: 30 Dicembre 2013

Leave A Comment

Post correlati

Total Views: 332Daily Views: 2