Nell’ambito della Psicologia Forense ormai il tema dell’Alienazione Parentale è diventato uno tra i più dibattuti.
Non essendo presente una definizione condivisa di Alienazione Parentale può capitare che il concetto venga utilizzato per rappresentare condizioni molto differenti tra loro che di “alienazione parentale” hanno ben poco.
Frequentemente vengono etichettate come “alienazione parentale” situazioni giudiziarie come queste:
#1 – Resistenza da parte di un figlio nei confronti di un genitore: sarebbe necessario comprendere cosa si intenda per “resistenza” che non significa necessariamente rifiuto.
#2 – Oppositività da parte di un figlio nei confronti di un genitore: stesso discorso della resistenza. Comportamento oppositivo o provocatorio non significa rifiutare.
#3 – Violenza familiare: dipende dall’età del figlio, ma se questi subisce o ha subito violenza fisica e/o sessuale da parte di un genitore non è automatico il rifiuto. In ogni caso, non si può parlare di alienazione parentale in presenza di violenza fisica e/o sessuale nei confronti di un figlio da parte di un genitore.
4# – Legame di attaccamento debole: non necessariamente provoca il rifiuto di un figlio nei confronti di un genitore
5# – Scarse competenze genitoriali: sarebbe necessario, prima di tutto, intendersi sulla definizione di “capacità genitoriale”. In ogni caso, le “scarse” (?) competenze non provocano necessariamente e automaticamente reazioni di rifiuto.
Ciò che è necessario chiarire è il seguente concetto: si può parlare di alienazione parentale solo in presenza di un rifiuto netto e categorico del figlio nei confronti di uno dei due genitori.
Per rifiuto intendo: perdita di ogni contatto tra figlio e genitore.
Resistenza, oppositività, accesi conflitti, provocazioni, insulti, contatti telefonici ridotti et similia dovrebbero essere intesi come fattori aspecifici che possono sfociare in un rifiuto nei confronti del genitore (condizione di AP). Potrebbero, ma non necessariamente e automaticamente. Se si intervenisse tempestivamente potrebbero anche regredire, riportando la relazione figlio-genitore ad una condizione meno disfunzionale.
In ogni caso, è fondamentale valutare il caso giudiziario soprattutto considerando l’età del figlio e nelle situazioni rappresentate (#1, 2, 4 e 5) il genitore “favorito” dovrebbe comunque adoperarsi praticamente per favorire la relazione tra figlio e genitore in difficoltà.
In sintesi, ritengo sia necessaria una definizione condivisa di alienazione parentale. In assenza di ciò, nelle CTU occorrerebbe che, nel paragrafo “metodologia peritale”, il Consulente indicasse a quale definizione di “alienazione parentale” si ispira per le sue valutazioni e conclusioni.
L’alienazione parentale non deve e non può rappresentare un salvagente giudiziario, utilizzandola come un escamotage per nascondere le difficoltà relazionali del genitore oppure, peggio, violenze fisiche e/o sessuali.
Se in un contenzioso civile di affidamento venisse rilevata l’alienazione parentale i provvedimenti giudiziari dovrebbero essere X, mentre se non venisse rilevata, i provvedimenti giudiziari dovrebbero essere Y, decisamente meno forti ed energici rispetto ai precedenti.
La questione relativa alla definizione dell’AP, dunque, appare fondamentale.
Di seguito la definizione di alienazione parentale che propongo:
L’alienazione parentale è possibile rilevarla solo nei contenziosi legali di separazione, divorzio e affidamento. Essa rappresenta l’impossibilità di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo tra genitore e figlio principalmente a causa dei comportamenti devianti dell’altro genitore incube. Tali comportamenti tendono a svalorizzare le capacità di comprensione e decisione del figlio fino a provocare un vero e proprio rifiuto di quest’ultimo nei confronti del genitore succube il quale rivestirà un ruolo sempre più passivo e marginale. Il processo psicologico dell’alienazione parentale determina nel figlio vittima, in relazione alla sua età e alla sua capacità di discernimento, una coartazione della sua volontà. L’alienazione parentale rappresenta la negazione del diritto del figlio alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione.
Questi e altri concetti sono proposti nel libro “Nodi e snodi nell’alienazione parentale” (marzo 2019):

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