Di seguito un breve commento alla recente ordinanza del Tribunale di Milano in tema di alienazione parentale.
Non entrerò nel merito degli interventi psicosociali adottati nell’ordinanza, ad esclusione di quello relativo alla prescrizione dell’intervento psicologico sui genitori.
Punti di forza dell’ordinanza
#1 – L’alienazione parentale non è una patologia

Come noto, il termine alienazione genitoriale – se non altro per la prevalente e più accreditata dottrina scientifica e per la migliore giurisprudenza – non integra una nozione di patologia clinicamente accertabile, bensì un insieme di comportamenti posti in essere dal genitore collocatario per emarginare e neutralizzare l’altra figura genitoriale; condotte che non abbisognano dell’elemento psicologico del dolo essendo sufficiente la colpa o la radice anche patologia delle condotte medesime.

Non è necessario commentare ulteriormente. L’ordinanza giustamente afferma che l’alienazione parentale non è una patologia, ma un comportamento. Nello specifico un processo psicologico che coinvolge la triade padre-madre-figlio.
#2 – Sanzionare il genitore alienante

In caso di azione infondata posta in essere dal genitore che abbia attuato comportamenti alienanti, si impone una pronuncia di condanna ex art. 96 comma II c.p.c., registrandosi un grave abuso dello strumento processuale. In particolare, l’azione promossa dalla madre, la quale proponga ricorso contro il padre, per questioni relative ai figli, e risulti poi essere l’autrice di comportamenti alienanti, è da ritenere processualmente viziata da colpa grave e come tale meritevole di sanzione ex art. 96 comma III c.p.c.

Credo sia la prima pronuncia in Italia che sanzioni un genitore alienante ex art. 96/3 c.p.c.
Punti di debolezza dell’ordinanza
#1 – Intervento sanitario sulla coppia genitoriale

incarica
l’Ente Affidatario, per il tramite dei suoi Servizi Sociali e in collaborazione con i Servizi Specialistici della Asl, ciascuno per la parte di sua competenza, di avviare interventi di supporto alla genitorialità e interventi di supporto psicologico/psichiatrico per la madre e per il padre per il tempo ritenuto necessario nel solo interesse del minore. I Servizi stenderanno apposita relazione al fine di accertare se la madre abbia o non seguito i suggerimenti dati per l’interesse di FIGLIA e nell’interesse di FIGLIA: in caso di persistente omissione della madre, configurando questa condotta un rischio per la bambina, ne sia data immediata segnalazione alla Procura della Repubblica presso il TM di Milano, nonché al giudice tutelare per la vigilanza ex art. 337 c.c.

Questo è, probabilmente, il punto più dolente dell’ordinanza nella quale si supera il #2 – Cambia altrimenti perdi tua figlia

Se la situazione, nonostante gli interventi attuati sarà in stallo e non mostrerà una evoluzione positiva, ovvero: visite libere del padre, lettura realistica di FIGLIA della figura paterna, progressiva presa di coscienza della madre rispetto alle proprie personali difficoltà ed ai propri distorti convincimenti sul padre di FIGLIA, l’Ente a questo punto prenda in considerazione un diverso collocamento della bambina, depositando apposita relazione al PM Minorile e, nel frattempo, proceda a valutare il prevalente collocamento presso il padre o in regime di affido etero familiare (famiglia affidataria professionale).

L’imposizione dell’intervento psicologico sembra palesare una minaccia: cambia il “distorto convincimento” che hai del tuo ex marito, altrimenti perdi il collocamento di tua figlia.
Riprendendo il punto 2: può essere questa la premessa di un efficace intervento psicologico? Mettiamoci, per un attimo, non nei panni del Giudice o del genitore, ma dello psicologo. Con quali strumenti potrebbe riuscirci? “La prego signora, cambi opinione sul suo ex marito altrimenti perde sua figlia” oppure “Leggo dall’ordinanza che lei ha alienato il suo ex marito e di conseguenza suo figlio. Deve cambiare idea su di lui, capito?”. Una delle difficoltà che potrebbe riscontrare lo psicologo è iniziare l’intervento psicologico con un pregiudizio (legato alla relativa minaccia) soprattutto nei confronti della madre, non lasciando allo psicologo possibilità di effettuare una valutazione differente rispetto al profilo psicologico emerso nell’ordinanza. Banalmente, potrebbe lo psicologo dopo alcuni incontri convincersi che la madre non abbia alcun “distorto convincimento” nei confronti dell’ex marito e che, invece, paradossalmente, la madre sia valutata come amorevole e tutelante nei confronti del figlio?
A tal proposito, mi vengono in mente giusto due articoli del
Codice Deontologico degli Psicologi:
art. 6 C.D.: “lo psicologo accetta unicamente condizioni di lavoro che non compromettano la sua autonomia professionale ed il rispetto delle norme del presente codice, e, in assenza di tali condizioni, informa il proprio Ordine. Lo psicologo salvaguarda la propria autonomia nella scelta dei metodi, delle tecniche e degli strumenti psicologici […];
art. 4 C.D.: “nell’esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza, all’autodeterminazione ed all’autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall’imporre il suo sistema di valori […]”: in questo caso il sistema di valori (quello generico dell’ “interesse del minore”) è imposto dal Tribunale allo psicologo che a sua volta dovrebbe inculcarlo al genitore.
Non mi torna qualcosa.
 

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