La recente Ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, del 5 agosto 2024, n. 21969, riaccende i riflettori su un principio cardine nel diritto di famiglia: la centralità della volontà del minore nelle decisioni che lo riguardano.

La sentenza in questione, pronunciata in un caso di affidamento familiare a seguito di separazione dei genitori, ribadisce con forza come il desiderio espresso dal minore, soprattutto se adolescente e pienamente consapevole, debba essere attentamente considerato dal giudice.

La volontà del minore: non un capriccio, ma un diritto

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: il minore non è un oggetto passivo delle decisioni dei genitori o del giudice, ma un soggetto titolare di diritti, tra cui quello di esprimere la propria volontà sulle questioni che lo riguardano.

Questo principio trova fondamento non solo nella Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, ma anche nella Costituzione italiana e nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

Ecco lo stralcio dell’ordinanza:

Sulla base anche della relazione della curatrice – che l’interruzione di ogni contatto con il padre corrisponde alle «accorate richieste del minore», rimaste fino ad allora inascoltate. Ritiene, infatti, il Collegio di dover dare continuità all’orientamento secondo cui, anche in base ai principi sanciti dalla Convenzione di New York del 20 novembre 1989, ratificata con legge n. 176 del 1991, la circostanza che un figlio minore, divenuto ormai adolescente e perfettamente consapevole dei propri sentimenti e delle loro motivazioni, provi nei confronti del genitore non affidatario sentimenti di avversione o, addirittura, di ripulsa – a tal punto radicati da doversi escludere che possano essere rapidamente e facilmente rimossi, nonostante il supporto di strutture sociali e psiccopedagogiche – costituisce fatto idoneo a giustificare anche la totale sospensione degli incontri tra il minore stesso ed il coniuge non affidatario (crf. Cass. 317/98).
Tale sospensione può essere disposta indipendentemente dalle eventuali responsabilità di ciascuno dei genitori rispetto all’atteggiamento del figlio, ed indipendentemente anche dalla fondatezza delle motivazioni addotte da quest’ultimo per giustificare detti sentimenti, dei quali vanno solo valutate la profondità e l’intensità, al fine di prevedere se disporre il prosieguo degli incontri con il genitore avversato potrebbe portare ad un superamento senza gravi traumi psichici della sua animosità iniziale ovvero ad una dannosa radicalizzazione della stessa (Cass. 317/98; Cass. 6312/99).

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