Sentenza Cassazione Penale Sez. VI, n. 38558/2015
Integra il reato di sottrazione di persone incapaci di cui all’art.574 cp. la condotta del genitore che, in assenza di specifici provvedimenti di affidamento del giudice civile, sottragga il figlio minore alla vigilanza e all’educazione dell’altro genitore. La sesta sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 38558/2015, aderisce così all’orientamento giurisprudenziale, per la verità assolutamente maggioritario, secondo il quale, in assenza di uno specifico provvedimento del giudice civile che affidi in via esclusiva il figlio minore ad un solo genitore, sussiste il reato di cui all’art. 574 cp. qualora un genitore ponga in essere delle condotte volte ad impedire di fatto all’altro genitore di esercitare la propria potestà genitoriale.
Svolgimento del processo
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d’appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di condanna alla pena di otto mesi di reclusione emessa il 24.5.2011 nei confronti di C.S. dal Tribunale di Voghera per il reato di sottrazione di persona incapace (nella specie la figlia minore sottratta alla vigilanza e alla potestà genitoriale del coniuge separato, in assenza di provvedimenti di affidamento della minore), ha revocato la statuizione della subordinazione della sospensione condizionale della pena al pagamento del risarcimento del danno e confermato nel resto la sentenza di primo grado.
C.S. ricorre personalmente per cassazione deducendo violazione di legge in riferimento all’art. 574 c.p. e conseguenti vizi di motivazione per avere la sentenza impugnata ritenuto la sussistenza del reato contestato in mancanza di una globale sottrazione del minore alla vigilanza e alla funzione educativa dell’altro coniuge, sostanzialmente disinteressatosi della figlia per lunghi periodi di tempo, salvo sporadici incontri, e addirittura tenendo condotte inconciliabili con l’armonico sviluppo della minore, sicchè nel caso concreto mancherebbe uno specifico interesse della minore ad intrattenere rapporti con il padre. Non avrebbe poi rilevanza ai fini dell’integrazione del reato de quo il fatto che la ricorrente abbia iscritto la figlia in una scuola in un paese limitrofo a quello di residenza all’insaputa del padre. Mancherebbero dunque nel caso di specie sia l’elemento oggettivo che quello soggettivo del reato contestato.
Anche la parte civile L.S. ricorre, per mezzo del suo difensore-procuratore speciale, avverso la sentenza in epigrafe, deducendo violazione di legge e vizi di motivazione in ordine alla esclusione, operata dalla Corte territoriale, della subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena in favore della C. al pagamento della somma liquidata in favore della stessa parte civile a titolo di risarcimento del danno.
Motivi della decisione
Il ricorso proposto da C.S. è inammissibile. Esso si sostanzia infatti nella mera riproposizione di doglianze di merito alle quali la Corte territoriale ha fornito risposta del tutto adeguata e immune da vizi logici e giuridici (pp. 4/7). La Corte d’Appello di Milano ha in particolare evidenziato plurimi elementi di prova dai quali ricava con motivazione completa e congrua che con ripetute condotte e scelte unilaterali, protrattesi per un rilevante periodo di tempo, la ricorrente ha, in una situazione caratterizzata dall’assenza di provvedimenti di affidamento da parte del giudice civile e dalla compresenza dei soggetti titolari della potestà dei genitori, travalicato la linea di demarcazione tra una normale manifestazione dell’esercizio della propria potestà e il comportamento diretto a contrastare il diritto dell’altro coniuge, sempre peraltro nella considerazione che nella specie si tratta di condizioni potestative e cioè non dettate nell’interesse esclusivo del loro titolare, ma per il soddisfacimento di quello della persona incapace, sicchè il comportamento della ricorrente ha portato ad una globale sottrazione della figlia minore alla vigilanza e all’esercizio della funzione educativa dell’altro genitore.
Il ricorso proposto nell’interesse della parte civile è pure inammissibile. La parte civile non è infatti legittimata a proporre impugnazione ex art. 576 cod. proc. pen. avverso il capo della sentenza di condanna che non abbia subordinato la concessione della sospensione condizionale della pena al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno, in quanto tale statuizione non riguarda l’azione civile e gli interessi civili, ma gli obblighi imposti al condannato circa l’eliminazione delle conseguenze dannose del reato; infatti, le disposizioni contenute nell’art. 165 cod. pen., che consentono al giudice di subordinare la concessione del beneficio alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, non riguardano il danno civilistico patrimonialmente inteso, bensì il danno criminale, cioè quelle conseguenze, diverse dal pregiudizio economicamente apprezzabile e risarcibile, che strettamente ineriscono alla lesione o alla messa in pericolo del bene giuridico tutelato dalla norma penale violata (Sez. 6, n. 43188 del 22.9.2004, P.C. in proc. Riti, Rv. 230506).
All’inammissibilità dei ricorsi conseguono le pronunce di cui all’art. 616 c.p.p. nei confronti di entrambi i ricorrenti e la compensazione tra le parti delle spese processuali del grado ai fini civili.
PQM
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende. Dichiara compensate tra le parti le spese processuali del grado ai fini civili.
Così deciso in Roma, il 8 settembre 2015. Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2015

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