Nell’ultimo libro Nodi e snodi nell’alienazione parentale sosteniamo un modello teorico e d’intervento circoscritto.
Ad esempio:
– l’alienazione parentale è possibile rilevarla solo all’interno di contenziosi giudiziari di separazione. Non è possibile rilevarla all’interno di contesti di famiglie unite. Per alienazione parentale intendiamo il rifiuto categorico e netto del figlio di avere contatti con uno dei due genitori. All’interno di famiglie unite ciò non può evidentemente accadere. Nei casi fuori dall’AP si potrebbe parlare di rapporti conflittuali tra figlio e genitore.
– se il figlio ha 15 anni non si può parlare di alienazione parentale poiché è difficile sostenere che un ragazzo a quell’età possa essere condizionato psicologicamente. Il suo presunto rifiuto o il suo rapporto conflittuale con un genitore può spiegarsi (per fortuna) altrimenti. Naturalmente, a 15 si può parlare di alienazione parentale se il condizionamento psicologico è iniziato ben prima di quell’età.
– ogni intervento giudiziario su figli dai 12 anni in su diventa problematico. Non è possibile pretendere di intervenire con un’inversione di collocamento o un trasferimento, seppur temporaneo, in una struttura protetta di un ragazzo di 14/15 anni. Qualcuno potrebbe obiettare: “Negli USA si interviene anche su ragazzi di 17 anni“. Può darsi, ma praticando l’inaccettabile “terapia della minaccia“.
L’Alienazione Parentale non può essere un coacervo di condizioni e situazioni in cui riconoscersi e, in alcuni casi, trovare un’identità.
Qualche genitore mi scrive in privato lamentandosi che a causa di questi paletti verrebbe tagliato fuori “Io sono una mamma alienata, secondo la sua impostazione metodologica non lo sarei più“. Rispondo “per fortuna, vuol dire che, a differenza degli altri genitori rifiutati, lei ha molte più possibilità di recuperare il rapporto con suo figlio“.
Questo e altro nel libro uscito in marzo 2019:
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