Quando si parla di Alienazione Parentale si fa (troppo) spesso riferimento al genitore alienante e al figlio, al loro stretto rapporto, alla loro complicità. Si tende a tralasciare il ruolo del genitore rifiutato, a tutti gli effetti anello della catena padre-madre-figlio. Lo farò intenzionalmente anche io in questo articolo, concentrando l’attenzione sulla diade genitore alienante-figlio.
Entrambi nella fase di separazione coniugale iniziano a sviluppare un attaccamento morboso in cui fondersi e confondersi. Il genitore ha bisogno del supporto del figlio per distruggere l’ex partner, il figlio ha bisogno del genitore per paura di essere abbandonato. Il bambino, infatti, nella fase di separazione coniugale si trova ad un bivio: da che parte devo stare? E’ il genitore solitamente “collocatario” che facilita la scelta del figlio poiché è colui/colei che vive quotidianamente il figlio con maggiore possibilità di condizionare il suo pensiero.
Si pensi ad un bambino di 7 anni che vive con il genitore collocatario, mentre l’altro è relegato ad un ruolo marginale anche per via della frequentazione regolamentata dal Tribunale che non è del tutto paritaria. Per il bambino, già trovarsi a fianco del genitore collocatario è una scelta, etero-determinata, ma in ogni caso, da un punto di vista simbolico, il genitore non collocatario è colui/colei che non c’è, che è andato via, che ha lasciato il bambino. Più precisamente, lo ha “abbandonato”. Infatti, è questa la ridefinizione della situazione familiare che viene effettuata dal genitore alienante al bambino: tuo padre/tua madre ci ha abbandonati.
E così via: non abbiamo soldi per l’affitto, non ho soldi per comprarti il giocattolo, non ho soldi per mandarti a danza. Tutta colpa di tuo padre/tua madre.
Un bambino di 7 anni ha la capacità di comprendere che si tratta di pressioni volte a condizionare il suo pensiero?
Unitamente a queste tecniche, il genitore dominante ha il coltello dalla parte del manico e lo utilizza per ferire l’altro genitore attraverso la negazione dell’accesso fisico al figlio: è influenzato, non può venire con te. Ancora più sottile è il comportamento del genitore alienante in talune circostanze: sta per arrivare lui/lei (magari senza dire tuo padre/tua madre), se vuoi andare vai, ma sappi che rimango qui da solo/a in ansia per te.
Cosa farà il bambino? Magari rinuncerà all’appuntamento con l’altro genitore per rimanere a fianco del “collocatario”: siamo una cosa sola, tu ti prendi cura di me, io di te.
Esempi del genere ne potrei fare a decine: per me puoi andare, ma sappi che non sono d’accordo; vai con lui/lei, mentre rimango qui da solo/a…
Naturalmente, in sede di CTU il genitore alienante ritrasformerà il tutto in: è mio figlio che non vuole vedere il padre/la madre, per me non c’è nessun problema.
Potrebbe capitare che il bambino innanzi a tale comunicazione a doppio legame (vai, ma sappi che non sono d’accordo) rimanga fermo perché spiazzato e confuso. Semplicemente, non sa che fare.
Il genitore dominante re-interpreta quella confusione a proprio vantaggio: non devi preoccuparti, se rimani qui non c’è nessun problema, lo dico io a lui/lei (padre/madre) che non te la senti di andare.
Quindi, il bambino ha imparato finora due cose:
a) i messaggi ambigui lo spiazzano e lo confondono, non sa cosa fare;
b) se rimane fermo, perché non sa cosa fare/rispondere, viene in suo soccorso il genitore dominante che interpreta il suo pensiero condizionandolo (non te la senti di andare, rimani qui, lo dico io a tuo padre/tua madre):
– non te la senti di andare: il genitore re-interpreta il pensiero del figlio;
– rimani qui: è la conseguenza del pensiero re-interpretato;
– lo dio io a tuo padre/tua madre: vengo in tua difesa
In pratica è come se il genitore alienante “stordisse” il figlio con un messaggio a doppio legame (ambiguo) e poi decidesse implicitamente per lui, ma attribuendogli la responsabilità della decisione.
In questo modo si forma il meccanismo di polarizzazione attraverso cui il bambino inizia a “scegliere” sempre e solo ciò che il genitore alienante decide implicitamente per lui.
Infatti, quando qualcuno chiede al figlio ormai condizionato: papà/mamma cosa ti dice quando devi vedere tuo padre/tua madre? Lui risponde solitamente: niente, anzi lei/lui mi dice di andare, ma sono io che non voglio vederlo/a:
– niente: rappresenta il messaggio ambiguo (se vuoi andare vai, ma sappi che non sono d’accordo) che spiazza e blocca il bambino;
– mamma/papà mi dice di andare: il bambino difende il genitore alienante così come ha fatto quest’ultimo con lui;
– sono io che non voglio vederlo: assunzione di responsabilità
In CTU si può intravedere il rifiuto immotivato:
– perché non vuoi vederlo/a?
– non lo so, non me la sento
Questa è una piccolissima fase del processo di Alienazione Parentale: nessuna sindrome, ma fini meccanismi psicologici che coinvolgono la triade padre-madre-figlio.
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