1. Non esistono indicatori/segnali specifici di violenza/abusi sessuali
Qualsiasi segnale di violenza psicologica/fisica/sessuale va letta in chiave aspecifica e non specifica. In letteratura scientifica e per la giurisprudenza non esistono indicatori/segnali specifici di violenza. Per cui una persona che racconta di violenze e presenta dei tratti depressivi, questi non sono automaticamente segnali specifici della violenza. Più in generale, costituisce un ragionamento circolare e non corretto ritenere che i sintomi siano la prova dell’abuso e che l’abuso sia la spiegazione dei sintomi.
2. Non esiste il “referto psicologico”
Esiste solo un tipo di referto che è quello ai sensi dell’Art. 334 c.p.p. con i precetti indicati nell’Articolo 13 del nostro Codice Deontologico. Non esiste alcun obbligo di redigere un c.d. “referto psicologico” come strumento, ad esempio, orientato a rappresentare in modo più accurato e puntuale ciò che sarebbe avvenuto.
3. Esiste, invece, un obbligo di referto o denuncia
Non esiste il “referto psicologico”, ma esiste solo l’obbligo di referto per i professionisti sanitari o la denuncia per coloro che ricoprono la funzione di Pubblico Ufficiale (anche i professionisti sanitari). L’Articolo del Codice Deontologico è sempre il 13.
4. La violenza si contrasta con la prevenzione e la denuncia/il referto
Quando arriva una donna che racconta (presunti) episodi di violenza, lo psicologo ha l’obbligo di referto/denuncia. Referto: se lo psicologo NON è Pubblico Ufficiale. Denuncia: se lo psicologo È Pubblico Ufficiale. Questa è la sola tutela che lo psicologo deve mettere in atto. Guarda video.
5. Il CTU non deve accertare le violenze
Nella CTU, anche in seguito alla riforma Cartabia, non vi è alcun obbligo del CTU di accertare riferiti episodi di violenza intrafamiliare. Anche perché non ne ha le competenze. L’accertamento dei fatti è prerogativa del Tribunale, non del CTU psicologo.
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