A cura dell’Avv. Margherita Corriere, Presidente AMI Sez. distr. CZ, Foro di Cosenza
Se il figlio è in età adolescenziale , tra i 12 e i 15 anni, o ha addirittura un’età maggiore, compresa tra i 16 e i 17 anni, il giudice tende a rispettarne la volontà, quando il suo rifiuto di frequentare il padre viene manifestato con una capacità di giudizio, non inficiata da interferenze altrui.  Secondo la Suprema Corte infatti in questi casi è fondamentale rispettare la sua volontà e il suo interesse, senza imporgli degli obblighi.
È quanto deciso infatti dalla Cassazione già con la sentenza n.20107/2016, ritenendo che la figlia quindicenne non potesse essere obbligata a frequentare il padre separato, che negli anni si era disinteressato della ragazzina, inviandole solo raramente qualche messaggio e telefonandola saltuariamente . La Suprema Corte ha pertanto confermato la decisione della Corte di Appello che ha incentrato la propria valutazione sulla decisione da prendere all’attualità “relativamente ad una ragazza ormai nel suo quindicesimo anno di età e che aveva espresso una posizione decisamente chiara e argomentata circa la sua indisponibilità attuale alla partecipazione ad un progetto di riavvicinamento con il padre”.
Nel caso di specie gli Ermellini, pur dichiarando che certamente Il padre non avesse sbagliato agendo in giudizio per vedersi riconosciuto il suo compito di genitore nei confronti della figlia, tuttavia ritengono congruo quanto disposto dalla Corte di Appello, che altresì aveva previsto che venisse fornito sia al padre un  supporto psicologico al fine di individuare “la migliore strategia per recuperare la relazione con la figlia”e sia alla madre, “per poter adottare condotte che favoriscano tale recupero”.
Pertanto la Suprema Corte ha condiviso la sentenza della Corte di seconda istanza, in quanto, nel superiore interesse della minore, non sarebbe stato opportuno obbligare la ragazzina ad incontrare il padre, disponendo che i Servizi Sociali continuassero a monitorare la situazione, concedendo il loro valido supporto per agevolare i rapporti padre-figlia.
Ancora una volta recentemente la Suprema Corte si è pronunciata in una vicenda analoga, con l’ordinanza n. 11170/2019, facendo rilevare che è deleterio per la figlia adolescente imporle rapporti affettivi che , per la loro stessa natura, non possono essere coercibili, mentre è importante favorire attraverso il monitoraggio dei servizi sociali la “normalizzazione” dei rapporti padre-figlia.
Ed infatti la Cassazione ha aderito alla decisione della Corte territoriale che confermava la sospensione delle visite tra il padre e la figlia , la quale , sedicenne, nel corso di una CTU aveva manifestato in maniera reiterata il fermo rifiuto di intrattenere un rapporto continuativo con il proprio padre; pertanto attesa la ferma volontà della sedicenne di rifiutare di vedere il padre, non veniva disposto nessun diritto di visita.
Ma , comunque, contestualmente, si demandava ai servizi sociali competenti territorialmente di monitorare la situazione e adoperarsi per favorire la ripresa dei rapporti tra il genitore e la figlia.
La Suprema Corte, condividendo la decisione della Corte di Appello, afferma che “l’orientamento non coercitivo della Corte di Appello appare correttamente motivato dall’esigenza di non imporre rapporti affettivi per loro natura incoercibili ma di favorire attraverso i servizi sociali una normalizzazione dei rapporti padre-figlia”.
Quello che deve prevalere pertanto è sempre il preminente interesse dei minori: la stella Polare del processo della famiglia, dopo la riforma del 2006, successivamente confermata con il Decreto Legislativo nr. 154 del 28 dicembre 2013 (revisione delle disposizioni in materia di filiazione) è il superiore interesse del Minore, che deve costituire l’elemento fondamentale su cui si basa il Giudicante, nell’emettere il provvedimento che andrà a regolare la vita familiare, una volta che questa sia giunta ad un suo preciso mutamento, quello della separazione personale.
Pertanto, nel disporsi le modalità di visita e di frequentazione con i genitori il disposto dell’art. 337-ter del codice civile prevede di conseguenza che il giudice adotti i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale dei minori , che finalmente da oggetto di tutela diventano realmente veri e propri soggetti di diritto.

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