Protocollo di Milano
17 Marzo 2012
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A conclusione del Convegno Verso un protocollo per l’affidamento dei figli. Contributi psico-forensi – tenutosi a Milano il 16 e il 17 marzo 2012, organizzato dalla Fondazione Guglielmo Gulotta, dall’Ordine degli Avvocati di Milano e dall’AIAF Lombardia, con il patrocinio del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi, dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia, del Centro per la Riforma del Diritto di Famiglia e della Camera Minorile di Milano – si è proceduto, con l’apporto interdisciplinare di psicologi, psichiatri, neuropsichiatri infantili, avvocati, e magistrati, alla stesura delle Linee guida per la consulenza tecnica in materia di affidamento dei figli a seguito di separazione dei genitori: contributi psico-forensi.
Protocollo di Milano
Il protocollo recepisce le disposizioni contemplate dalla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (Convention on the Rigths of the Child), approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, dalla Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, redatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996 e dal Regolamento n.2201/2003 Bruxelles II bis. Parte integrante del presente protocollo è l’allegata Guida metodologica che andrà nel tempo aggiornata sulla base dell’evoluzione delle conoscenze in materia.
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Lo scopo del presente protocollo è quello di offrire agli operatori ed esperti chiamati a valutare le condizioni per l’affidamento dei figli in caso di frattura della convivenza dei genitori, linee guida di carattere concettuale e metodologico, perché sia garantita la tutela psicofisica dei minori coinvolti e il loro benessere. Tali riferimenti hanno altresì lo scopo di agevolare il lavoro di valutazione e di scelta di provvedimenti idonei da parte degli avvocati e dei magistrati, sempre nell’ottica di tutelare i diritti dei minori riconosciuti dalla legge. Consente infatti di vagliare la correttezza metodologica utilizzata ed il fondamento delle risultanze.


Protocollo di Milano 17 Marzo 2012
Premessa
I dati sulla tipologia di affidamento dei figli minori, a seguito di separazione genitoriale, evidenziano una netta inversione di tendenza rispetto al passato per effetto dei diversi interventi normativi succedutisi nel tempo, tra i quali si menzionano: la legge sul divorzio, la riforma del diritto di famiglia, la legge sull’adozione e sull’affidamento dei minori, fino alla disciplina inerente l’affidamento condiviso dei figli sancita dall’entrata in vigore della Legge n. 54 dell’8 febbraio del 2006. La riforma sull’affidamento condiviso ha sostituito il regime ordinario previgente di affidamento monogenitoriale dei figli ponendo l’attenzione sul diritto del minore, anche in situazioni di crisi familiare, a mantenere un rapporto continuativo con entrambi i genitori, esercitando il diritto alla bigenitorialità sancito sia dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo (1989) sia dall’art. 24 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea di Nizza (2000). Tale diritto, che si esprime nella scelta dell’affidamento condiviso, evidenzia la necessità che il minore dopo la separazione genitoriale possa continuare a ricevere da entrambi i genitori cura, educazione e istruzione, conservando altresì i rapporti significativi con gli ascendenti ed i parenti di ciascun ramo genitoriale. Si tratta di un principio talmente consolidato nel nostro Ordinamento che la sua deroga avviene solamente nei casi in cui è comprovato che tale regime di affidamento può nuocere in maniera seria al minore. Ne discende che il “pregiudizio” e l’inidoneità genitoriale dovranno essere rigorosamente comprovati. Ogni considerazione concernente il miglior affidamento e luogo di abitazione del minore deve essere fondata e sostenuta sulla base dalle ricerche scientifiche più aggiornate, che indicano che il minore sviluppa un legame di attaccamento verso entrambe le figure genitoriali e trae vantaggio, in termini evolutivi, dal mantenimento di una relazione continuativa ed equilibrata in termini di tempo e suddivisione degli impegni educativi con entrambi i genitori.
RUOLO E LIMITI DELL’ESPERTO
1. Accettare l’incarico consulenziale solo se si ha una specifica e comprovata competenza.
L’esperto è consapevole della responsabilità che deriva dal fatto che l’esercizio della sua professione può incidere significativamente sull’esistenza delle persone esaminate e dei loro familiari. Gli esperti che accettano gli incarichi consulenziali devono essere professionisti (psicologi, psichiatri o neuropsichiatri infantili) specificamente competenti nella materia oggetto della consulenza. Gli esperti sono altresì tenuti ad un costante aggiornamento scientifico e non accettano di offrire prestazioni su argomenti in materia in cui non siano preparati. L’esperto si adopera affinché i quesiti gli siano formulati in modo che egli possa in modo esauriente e correttamente rispondere, nel limite del proprio ruolo.
2. Mantenere l’autonomia professionale.
Nei rapporti con i magistrati, gli avvocati e le parti, il CTU mantiene la propria autonomia scientifica e professionale, soprattutto nella scelta di metodi, tecniche, strumenti psicologici, nonché nella loro utilizzazione. Anche i consulenti di parte mantengono la propria autonomia avuto riguardo all’interesse preminente del minore, rispetto a quello del proprio cliente. Il loro operato consiste nel contribuire criticamente alle ipotesi formulate nell’ambito della CTU e nell’adoperarsi affinché i CTU mantengano una reale equidistanza e neutralità tra le parti, utilizzino una metodologia corretta e svolgano il loro compito con strumenti adeguati e motivino le loro affermazioni e conclusioni. Il consulente di parte si adopera per aiutare il cliente (e l’avvocato) a meglio comprendere da un punto di vista psicologico i dati emersi durante la consulenza; inoltre, nel rapporto con il proprio cliente cerca di aiutarlo ad uscire dalla spirale del conflitto per favorire un livello più evoluto di collaborazione e di comunicazione tra le parti in causa. L’esperto dovrà sempre avere una funzione di filtro e di rielaborazione dei contenuti e dei significati di ciò che avviene durante gli incontri di consulenza, svolti alla presenza dell’altro coniuge/partner e/o del minore. Questo per evitare di amplificare il conflitto e per la tutela privacy delle parti coinvolte.
3. L’esperto non accetta incarichi se è ravvisabile un conflitto di interesse.
In particolare, il ruolo del consulente è incompatibile con quello del terapeuta del minore. Il CTU rifiuta di assumere il ruolo di consulente nella valutazione laddove svolga o abbia svolto un ruolo di sostegno psicologico o di terapia nei confronti del minore o di una delle parti o della coppia. Durante il corso dell’accertamento, egli non può accettare di incontrare come cliente per una terapia nessuno di coloro che sono coinvolti nelle procedure giudiziarie.
3. bis L’esperto non può assumere l’incarico come CTP se ha avuto precedenti contatti di tipo professionale con il minore o con uno o entrambi i genitori.
E’ vietato ascoltare il minore al di fuori del contesto della consulenza. In considerazione della delicatezza del suo operato gli esperti devono attenersi scrupolosamente alle norme previste dal proprio codice deontologico.
4. Pur non avendo finalità terapeutiche il consulente, sia esso il CTU ovvero il CTP, ha l’obiettivo di salvaguardare il benessere psicofisico del minore.
L’esperto tende a concentrare i colloqui con il minore, al fine di ridurre al minimo lo stress subito dal minore, ponendo attenzione alle eventuali influenze esercitate dall’uno o dall’altro genitore ed alle informazioni da questi veicolate. In particolare l’esperto presta attenzione al rischio di manipolazione dei bisogni/necessità della persona più debole, cioè del minore, e al possibile uso distorto/strumentale della consultazione, soprattutto in situazioni di elevata conflittualità. E’ preferibile che l’esperto ricorra alla videoregistrazione o almeno all’audioregistrazione degli incontri consulenziali. Ancor più quando si condivida con consulenti di parte che il colloquio con il minore avvenga senza la loro presenza.
5. Possibile estensione della consulenza in forma collegiale.
Se l’accertamento consulenziale richiesto è di particolare complessità è necessario che l’esperto segnali al Giudice l’esigenza di svolgere la consulenza in forma collegiale. Altrettanto potranno fare le parti.
6. Informazione alle parti
L’esperto deve fornire preliminarmente alle parti informazioni circa le finalità degli incontri, la metodologia, le procedure che verranno adottate e i limiti del segreto professionale che gli derivano dallo svolgimento della consulenza tecnica.  Quando effettua colloqui con il minore, l’esperto deve chiarirgli le finalità della valutazione utilizzando modalità adeguate all’età ed alla capacità di comprensione.
7. L’esperto dovrà fornire un parere solo dopo aver condotto una valutazione adeguata a supportare le conclusioni.
L’esperto evita di esprimere pareri e/o valutazioni su persone che non ha direttamente esaminato.
8. L’esperto ricorre ad una metodologia affidabile e pertinente.
Nella sua valutazione l’esperto impiega più strumenti al fine di garantire accuratezza e obiettività. Utilizza pertanto metodi integrati e strumenti di osservazione che permettono di formulare ed esplorare più ipotesi alternative, cercando di evitare fallacie logiche o bias cognitivi (errori inferenziali sistematici). Egli rende nota la propria impostazione teorica di riferimento ed esplicita altresì i processi inferenziali attraverso i quali arriva alle sue conclusioni. L’esperto impiega pertanto una metodologia, criteri di valutazione e strumenti pertinenti rispetto all’oggetto di indagine e accettati dalla comunità scientifica.
Guida Metodologica per la consulenza tecnica in materia di affidamento dei figli a seguito di separazione genitoriale Le presenti indicazioni individuano gli obiettivi, le metodologie e gli strumenti di intervento da utilizzare dagli esperti nella consulenza tecnica in tema di affidamento dei figli a seguito di separazione genitoriale.
1. Compito dell’esperto: obiettivi della valutazione
1.1. Obiettivo della consulenza è riportare al giudice la condizione psicologica e relazionale che connota gli individui che compongono la famiglia, la coppia e il sistema nel suo complesso, evidenziando punti di debolezza, punti di forza, aree di criticità e risorse utili per attuare cambiamenti evolutivi di segno positivo. Particolare attenzione dovrà essere posta agli aspetti “prognostici” della situazione famigliare (le risorse disponibili, le eventuali potenzialità al cambiamento dell’intero nucleo familiare, etc.) al fine di programmare e prevedere degli interventi opportuni. La consulenza mira idealmente a una restituzione di responsabilità genitoriale in cui le parti –anche con l’aiuto dei propri CCTTPP – possano ricomporre la comunicazione tra loro, con e sui figli, al fine di rispondere alle esigenze di questi. L’esperto è consapevole che la valutazione della genitorialità si basa su modelli, costrutti, caratteristiche psicologiche e attitudinali declinati e verificati nella concretezza delle singole situazioni.
1.2. Nella valutazione delle capacità genitoriali, per regolare la frequentazione del minore con entrambi i genitori o eventualmente per escludere dall’affidamento uno o entrambi i genitori, l’esperto dovrà tener conto dei criteri minimi relativi alle capacità genitoriali, che riguardano essenzialmente la funzione di cura e protezione, la funzione riflessiva, la funzione empatica/affettiva, la funzione organizzativa (scolastica, sociale e culturale), e il criterio dell’accesso all’altro genitore. In particolare, l’esperto chiamato dal giudice a compiere l’accertamento dovrà valutare le competenze del genitore nel: a) comprendere e rispondere adeguatamente alle esigenze primarie del figlio (cure igieniche, alimentari, sanitarie, etc.); b) preparare, organizzare e strutturare adeguatamente il mondo fisico del minore (aspetti ambientali) in modo da offrirgli un contesto di vita sufficientemente stimolante e protettivo; c) comprendere le necessità e gli stati emotivi del minore, rispondere opportunamente ai suoi bisogni e coinvolgerlo emotivamente negli scambi interpersonali adeguatamente alla sua età e al suo livello di maturazione psico-affettiva; d) favorire le opportunità educative e di socializzazione; e) interpretare il proprio comportamento e quello altrui in termini di ipotetici stati mentali, cioè in relazione a pensieri, affetti, desideri, bisogni e intenzioni; f) offrire regole e norme di comportamento congrue alla fase evolutiva del figlio, creando le premesse per la sua autonomia; g) promuovere l’evoluzione della relazione genitoriale in virtù delle tappe di sviluppo del figlio adeguandosi alle competenze acquisite e favorendo la crescita del minore; h) affrontare e gestire il conflitto con l’altro genitore – tenendo conto delle rispettive e peculiari strutture personologiche – valutando anche la loro capacità di negoziazione; i) promuovere il ruolo dell’altro genitore favorendo la sua partecipazione alla vita del figlio, (cogenitorialità/criterio cooperando dell’accesso) attivamente e nella salvaguardando genitorialità i legami generazionali anche con la famiglia allargata; j) qualora ritenuto necessario, l’esperto valuta la disponibilità del genitore e/o dei genitori a sottoporsi a un percorso di sostegno alla genitorialità.
1.3 Altri compiti dell’esperto riguardano: a) la valutazione qualitativa della relazione tra il minore ed entrambi i genitori; b) la valutazione delle principali cause del conflitto parentale e dei possibili effetti sullo sviluppo psico-sociale sui figli, tenendo conto che l’accesa conflittualità tra i genitori, di per se’, non e’ ragione sufficiente a giustificare l’indicazione al giudice per un affidamento esclusivo ad uno solo dei genitori; c) l’individuazione delle aree disfunzionali – siano esse di natura relazionale (conflitti genitori-figli, tentativi di esclusione di uno dei genitori da parte dell’altro genitore, etc.) oppure di origine individuale (psicopatologia di un genitore, alcolismo, tossicodipendenza, criminalità, instabilità comportamentale ed affettiva) – e dei possibili riverberi negativi sullo sviluppo psico-sociale dei figli, tenendo presente che così come la salute mentale di per sé non coincide con l’adeguatezza genitoriale, allo stesso modo la presenza di disturbi psicologici o di altri problemi di natura psico-sociale non necessariamente compromette la competenza genitoriale; d) identificare le risorse potenziali e residuali, del sistema familiare di cui tenere conto nella pianificazione degli interventi che dovranno essere disposti a sostegno della genitorialità; e) identificare le risorse pubbliche e private presenti sul territorio al fine di meglio pianificare gli eventuali interventi a sostegno della famiglia.
2. Metodologia della valutazione: strumenti e metodi
2.1. Discutere la metodologia della consulenza tecnica con i consulenti delle parti. Il CTU, all’inizio delle operazioni di consulenza, prima di incontrare le parti, presenta e discute la metodologia con i CCTTPP. Le relazioni tra esperti devono essere improntate ai principi di lealtà e correttezza.
2.2. Ricorrere a molteplici fonti di informazione per ogni area che deve essere analizzata. Nell’espletamento della valutazione, l’esperto non si limita al resoconto fornito dalle persone in valutazione, ma attinge informazioni e dati da molteplici fonti, integrando le informazioni. L’esperto, inoltre, nel rispondere al quesito, basa le proprie valutazioni non solo su dati provenienti dalle persone coinvolte, ma anche su elementi emersi sia dall’osservazione dell’interazione delle persone tra loro sia dal contesto ambientale e familiare sia da eventuali operatori (servizi sociali, servizi educativi, etc.) che hanno o hanno avuto in carico il minore o la famiglia o parte di essa. In particolare sarà necessario che l’esperto effettui: – studio del fascicolo processuale; – colloqui, anche congiunti, di anamnesi individuale, familiare e alla storia di sviluppo del minore con entrambi i genitori; – colloqui con la coppia genitoriale, finalizzati all’analisi della relazione; – esame individuale dei genitori al fine di esplorare le motivazioni insite nell’azione legale, eventuali patologie familiari, le caratteristiche psicologiche di ognuno, l’ambito coniugale e genitoriale e l’area sociale; – colloqui/incontri individuali con il minore – secondo modalità operative compatibili alla sua età e possibilmente in linea con le indicazioni contenute nella letteratura specialistica – , al fine di valutare il funzionamento cognitivo, affettivo e sociale, i suoi attuali e prossimi bisogni di sviluppo e socializzazione, di raccogliere la sua rappresentazione della coppia genitoriale e di ciascun genitore, attraverso non solo il disegno, il gioco e l’osservazione, ma anche l’utilizzo di test e protocolli valutativi specifici in relazione all’età del minore; – incontri di osservazione della relazione genitore/minore e coppia genitoriale/minore al fine di valutare le dinamiche relazionali, le modalità comportamentali, il posizionamento affettivo del minore in presenza del/dei genitori e come quest’ultimi si pongono nella relazione con il figlio; – colloqui con altre figure significative (famiglia allargata, nuovi partner conviventi, Servizi sociali, operatori, insegnanti, medici, etc.); – solo ove ritenuto necessario, il CTU può effettuare visite domiciliari presso entrambe le abitazioni; – utilizzo di strumenti di valutazione ritenuti idonei e specificatamente ritenuti validi per il contesto psicoforense, ove possibile e necessario, al minore, in relazione al quesito formulato dal giudice; – ove possibile, al termine della valutazione, prevedere un incontro di restituzione ai genitori sull’esito dell’indagine psico-diagnostica effettuata; – ove possibile, compatibilmente con l’età del minore, il suo livello di maturazione psicoaffettiva e di complessità della situazione familiare, prevedere al termine della valutazione un incontro di restituzione con il minore.
2.3. Relazionare in maniera accurata quanto emerso dalla consulenza tecnica L’esperto ha cura di sintetizzare in un documento scritto – attraverso l’impiego di un linguaggio il più possibile chiaro ed evitando inutile tecnicismi difficilmente comprensibili dai non esperti – quanto emerso dalle operazioni peritali, nonché le risposte ai quesiti formulati. L’esperto dovrà preliminarmente indicare nel suo elaborato il suo approccio teorico-metodologico di riferimento, utilizzato per impostare e valutare le risultanze cliniche dei colloqui. Inoltre espliciterà gli strumenti utilizzati per la valutazione, indicandone gli specifici scopi di analisi. L’esperto presta altresì particolare attenzione alla distinzione tra i fatti e le riflessioni/conclusioni professionali a cui perviene, cercando di separare gli elementi descrittivi, informativi e di racconto da quelli interpretativi. In particolare esplicita il rapporto tra le informazioni raccolte, l’interpretazioni dei dati, e le valutazioni espresse sulle questioni oggetto della consulenza. Nel redigere le conclusioni e rispondere al quesito il CTU espone una sintesi di quanto emerso nel corso delle indagini, la sua valutazione, le indicazioni e le proposte ritenute più idonee rispetto alle modalità di affidamento dei figli, di collocamento prevalente degli stessi e di frequentazione dell’uno e dell’altro genitore nonché su qualunque intervento si reputi necessario a sostegno del minore (terapia, sostegno educativo, ect.) e/o della genitorialità, tenuto conto delle risorse presenti sul territorio di riferimento in ambito pubblico o privato; egli espone anche i limiti del proprio elaborato e le ragioni che li hanno determinati (ad esempio spiegando perché non è stato possibile compiere un determinato accertamento e come tale mancanza può riverberarsi sui risultati della consulenza). Ove lo ritenga necessario può proporre il riesame della situazione, indicando i tempi più adatti.
Milano, 17 marzo 2012
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By Published On: 30 Dicembre 2013Categories: Linee Guida0 Comments on Protocollo di Milano (2012)Tags: , Last Updated: 30 Dicembre 2013

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