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Nel documento “Sulle prescrizioni psico-giudiziarie da parte dei Tribunali nei casi di separazione, divorzio e affidamento dei figli”, approvato all’unanimità dal Consiglio dell’Ordine degli Psicologi della Calabria in marzo 2022, vengono chiariti, tra l’altro, gli aspetti del consenso informato sanitario in ambito psico-giudiziario.
Nello specifico, si fa riferimento alle prassi, ormai consolidate da anni nei Tribunali del nostro Paese, di prescrivere (anche sotto forma di invito, consiglio o suggerimento) ai genitori – in fase di separazione o separati – dei veri e propri trattamenti psicologici, nello specifico,nsostegno psicologico e/o psicoterapia. Questi trattamenti psicologici vengono espletati,
soprattutto, all’interno dei Consultori familiari afferenti al Servizio Sanitario Nazionale.
Nonostante siano ben comprensibili i nobili intenti sottostanti, quali il benessere e la tutela dei figli contesi, numerose sono le criticità correlate con queste prassi che, di fatto, risultano illegittime e inefficaci sotto diversi aspetti.
Nel documento dell’Ordine degli Psicologi della Calabria vengono riportati i riferimenti normativi secondo cui esiste il diniego, in Italia, di imporre trattamenti sanitari di ogni generencontro la volontà del destinatario dell’intervento, salvo nei casi previsti dalla legge.
La legge n. 219/17 sul consenso informato sancisce che alla base di ogni trattamento sanitario – per cui anche quello di tipo psicologico – è necessario prestare un consenso informato libero da qualsiasi condizionamento esterno. Al contrario, il consenso prestato risulterebbe viziato e non valido, così come costantemente e ampiamente sancito dalla giurisprudenza di legittimità.
Attualmente, i Consultori familiari risultano oberati da richieste che pervengono dai Tribunali, i quali impongono ai genitori – anche sotto forma di invito – di intraprendere un c.d. “percorso psicologico” per aiutare, uno o entrambi, a risolvere le loro dinamiche conflittuali a causa delle quali si alimenterebbe il contenzioso giudiziario, comportando gravi ripercussioni sulla
tutela dei diritti del figlio.
In sintesi, queste prassi imporrebbero alle Psicologhe e agli Psicologi dei Consultori familiari una doppia funzione: da una parte quella di sostegno e cura (propria dell’ambito sanitario), dall’altra quella di controllo e giudizio (attinente all’ambito giudiziario). Quest’ultima funzione appare estremamente critica se espletata all’interno di un Servizio Sanitario Nazionale, poiché non rientra, in alcun modo, nelle competenze di un professionista sanitario svolgere anche una funzione di “controllo” per conto del Tribunale. Una funzione che includerebbe anche una delega, inaccettabile da parte del Consultorio, di sperimentare nuovi schemi di frequentazione figlio-genitore, di intervenire liberamente nella sfera privata dei soggetti interessati e, addirittura, di suggerire al Tribunale finanche il tipo di affidamento da disporre nel nuovo sistema familiare diviso.
Un Servizio Sanitario che, in tal senso, esercita illegittimamente poteri giudiziari non è in grado di prendersi carico, efficacemente, della salute dei soggetti coinvolti: non tutela i figli, non tutela i genitori, né gli stessi professionisti che, di fatto, si trovano a svolgere delle valutazioni sulle competenze genitoriali alla stregua di una CTU, con la differenza che il loro
lavoro viene svolto all’interno di una cornice sanitaria anziché giudiziaria in assenza di contraddittorio.
Obiettivo del documento dell’Ordine degli Psicologi della Calabria è intervenire sull’inadeguatezza di queste prassi, consolidate ormai da anni nel nostro Paese, per mezzo delle quali alcuni Tribunali si servono delle Scienze Psicologiche per cercare di risolvere, impropriamente, le questioni spinose in tema di Diritto di Famiglia. In tal senso, è necessario trovare nuove forme di collaborazione tra Giustizia e Sanità garantendo il diritto all’autodeterminazione dei genitori coinvolti e l’autonomia dei Professionisti sanitari i quali finora hanno messo in campo con grande abnegazione uno sforzo imponente per essere di supporto a queste famiglie divise giunte al Servizio sanitario. Tuttavia, qualsiasi sia l’obiettivo di un supporto psicologico, esso non può e non deve essere inquinato dalle funzioni giudiziarie: in tal senso, il Tribunale non può occuparsi degli aspetti sanitari dei genitori coinvolti così come il Servizio Sanitario Nazionale non può occuparsi degli aspetti giudiziari del contenzioso civile in atto.
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