Tribunale di Civitavecchia, sentenza n. 1767/19
Come noto, infatti, il termine alienazione genitoriale – se non altro per la prevalente e più accreditata dottrina scientifica e per a migliore giurisprudenza – non integra una nozione di patologia clinicamente accertabile, bensì un insieme di comportamenti posti in essere dal genitore collocatario per emarginare e neutralizzare l’altra figura genitoriale; condotte che non abbisognano dell’elemento psicologico del dolo essendo sufficiente la colpa o la radice anche patologica delle condotte medesime (v. Cass. Civ. Sez. I, sentenza 20 marzo 2013 n. 7041, Tribunale di Milano 13 ottobre 2014, Pres. est. Servetti, Tribunale Milano, 11 marzo 2017).
La Corte di Cassazione, nella pronuncia sopra citata, ha affermato in particolare che «di certo non può ritenersi che, soprattutto in ambito giudiziario, possano adottarsi delle soluzioni prive del necessario confronto scientifico, come tali potenzialmente produttive di danni ancor più gravi dei quelli che le teorie ad esse sottese, non prudentemente e rigorosamente verificate, pretendono di scongiurare».
La Corte di Cassazione nella recente ordinanza n. 21215 del 23.06-13.09.12 sempre in relazione alla PAS ha evidenziato che “non è qui in questione la ricorrenza o meno di una patologia, o semmai di un’altra, ma l’adeguatezza di una madre a svolgere il proprio ruolo nei confronti di una figlia minore che si trova in grave difficoltà, avrebbe bisogno del sostegno di in entrambi i genitori, ma non riceve la collaborazione di chi ha bisogno dalla madre, in base alle univoche risultanze di causa”.

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