A cura dell’Avv. Margherita Corriere, Presidente AMI sez. distr. CZ
Dopo la recente sentenza del Tribunale di Civitavecchia anche la Corte di Appello di Catanzaro si è pronunciata in merito alla sussistenza o meno di una sindrome di alienazione parentale . Il caso riguarda un procedimento di appello promosso dalla ex moglie alla sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio emessa dal Tribunale di Castrovillari, che prevedeva l’affidamento condiviso del figlio minore, la collocazione prevalente del figlio presso il padre, il diritto-dovere della madre di frequentazione del figlio due pomeriggi a settimana e un fine settimana al mese, nonché il diritto di intrattenersi con il minore cinque giorni nel periodo natalizio, quattro nel periodo pasquale e dieci giorni in estate.
In particolare la signora, oltre ad una inammissibile impugnativa per nullità della notifica del ricorso d primo grado, aveva appellato la sentenza anche nella parte in cui veniva disposto l’affidamento condiviso del figlio minore della coppia , con collocazione prevalente presso il padre, sostenendo che tale decisione era stata assunta senza alcuna cognizione di causa e che si basava su un ascolto del minore effettuato in primo grado viziato di nullità, in quanto il minore , a suo dire, non era stato correttamente informato della ratio della sua audizione ed era stata omessa una adeguata indagine sulla sua maturità e capacità di discernimento; ancora assumeva parte appellante che non erano state adottate misure idonee ad evitare condizionamenti ed interferenze esterne nel minore, asserendo che sarebbe stato importante e necessario nominare un esperto . Pertanto la signora chiedeva che venisse dichiarato nullo tale ascolto e che venisse nominato un consulente tecnico d’ufficio che doveva accertare la presenza nel ragazzo della sindrome di alienazione genitoriale che lo aveva indotto a rifiutare la madre e a preferire di essere collocato presso il padre.
Ma la Corte di Appello rigettava le richieste di parte appellante, facendo rilevare che nessun vizio sussisteva nella procedura di ascolto del minore effettuata dal Tribunale di Castrovillari: a quell’epoca il ragazzo aveva 15 anni e mezzo e certamente non doveva essere verificata la sua capacità di discernimento, eventualità che si pone solo in caso di minori infra dodicenni; inoltre la Corte aveva rigettato la nomina di un consulente tecnico d’ufficio sia perché per l’ascolto del minore, un ragazzo tranquillo, ormai quasi maggiorenne, dell’età di 17 anni , non serviva la mediazione di un esperto in psicopedagogia, sia soprattutto per il fatto che l’appellante non aveva ottemperato all’onere della prova a cui intendeva sopperire con la sola richiesta di una consulenza tecnica d’ufficio che aveva mera natura “esplorativa”. Inoltre – elemento molto importante – tale richiesta era finalizzata dalla signora per provare l’esistenza della PAS, Sindrome di Alienazione Parentale, che non è scientificamente sostenuta, in quanto l’alienazione parentale non è una malattia, bensì il “ complesso di una serie di comportamenti abusivi di un genitore (alienante) in danno dell’altro e soprattutto consapevolmente o meno in danno dei figli , volti ad allontanare la prole psicologicamente dal genitore alienato”.
Nel caso in esame , da una parte la madre non aveva prodotto nemmeno un principio di prova da cui si potesse desumere una relazione disfunzionale, alienante tra padre e figlio, dall’altra, si era in presenza di un ragazzo quasi maggiorenne che aveva manifestato in maniera certa e chiara la volontà di vivere con il padre e non sussistevano pertanto elementi da cui si poteva trarre che tale tipo di convivenza potesse nuocergli.
Pertanto veniva rigettato l’appello e confermata la sentenza di primo grado.
Anche questa sentenza, come tante altre di merito, tra cui quella recentemente commentata del Tribunale di Civitavecchia , evidenzia come l’alienazione genitoriale non sia una patologia, bensì una disfunzione relazionale che può essere accompagnata dall’elemento soggettivo che può essere doloso o meramente colposo.
La giurisprudenza numerose volte ha rilevato che non esiste nessuna PAS , ovvero Sindrome di alienazione parentale, ma semplicemente l’alienazione parentale, una relazione atipica tra un genitore e la prole che opera attraverso l’indottrinamento che uno dei due genitori mette in atto, con l’inconsapevole contributo attivo del figlio, attraverso una forma di lavaggio di cervello mirata alla denigrazione e all’ annullamento dell’altra figura genitoriale, conducendo la prole a provare astio e disprezzo immotivato e costante nei confronti del genitore preso di mira ( genitore alienato). Ricordiamo ancora in particolare il decreto del Tribunale di Milano, sez. IX civ., del marzo 2017, che afferma , in merito all’alienazione parentale, che “non si tratta di una patologia da indagare clinicamente, ma di una serie di condotte rilevanti per emarginare e neutralizzare l’altra figura genitoriale”.
Per quanto riguarda la giurisprudenza di legittimità si cita l’Ordinanza della Cassazione Civile del 13 settembre 2017, n. 21215, che specifica che il giudice non è vincolato ad accertare l’esistenza della sindrome da alienazione parentale (PAS) – non riconosciuta universalmente come patologia a livello scientifico- , ma deve verificare che la condotta di un genitore sia finalizzata alla svalutazione e denigrazione dell’altra figura genitoriale, vale a dire che “ il giudicante deve accertare l’adeguatezza del genitore a svolgere il proprio ruolo nei confronti del figlio, assicurando allo stesso il suo diritto alla bigenitorialità”. Ed ancora, La Suprema Corte, con la sentenza n. 13274/2019, ha puntualizzato che “qualora un genitore denunci comportamenti dell’altro genitore di allontanamento morale e materiale del figlio da sé, indicati come significativi di una PAS, il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità in fatto dei suddetti comportamenti, utilizzando i comuni mezzi di prova, tipici e specifici della materia” . Infatti la diagnosi di sindrome di alienazione parentale non avendo basi scientifiche certe, non basta per allontanare il figlio dal genitore: il giudice dovrà tener conto non solo della ctu che l’ha accertata, bensì di ulteriori, approfondite indagini.
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Dopo la recente sentenza del Tribunale di Civitavecchia anche la Corte di Appello di Catanzaro si è pronunciata in merito alla sussistenza o meno di una sindrome di alienazione parentale . Il caso riguarda un procedimento di appello promosso dalla ex moglie alla sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio emessa dal Tribunale di Castrovillari, che prevedeva l’affidamento condiviso del figlio minore, la collocazione prevalente del figlio presso il padre, il diritto-dovere della madre di frequentazione del figlio due pomeriggi a settimana e un fine settimana al mese, nonché il diritto di intrattenersi con il minore cinque giorni nel periodo natalizio, quattro nel periodo pasquale e dieci giorni in estate.
In particolare la signora, oltre ad una inammissibile impugnativa per nullità della notifica del ricorso d primo grado, aveva appellato la sentenza anche nella parte in cui veniva disposto l’affidamento condiviso del figlio minore della coppia , con collocazione prevalente presso il padre, sostenendo che tale decisione era stata assunta senza alcuna cognizione di causa e che si basava su un ascolto del minore effettuato in primo grado viziato di nullità, in quanto il minore , a suo dire, non era stato correttamente informato della ratio della sua audizione ed era stata omessa una adeguata indagine sulla sua maturità e capacità di discernimento; ancora assumeva parte appellante che non erano state adottate misure idonee ad evitare condizionamenti ed interferenze esterne nel minore, asserendo che sarebbe stato importante e necessario nominare un esperto . Pertanto la signora chiedeva che venisse dichiarato nullo tale ascolto e che venisse nominato un consulente tecnico d’ufficio che doveva accertare la presenza nel ragazzo della sindrome di alienazione genitoriale che lo aveva indotto a rifiutare la madre e a preferire di essere collocato presso il padre.
Ma la Corte di Appello rigettava le richieste di parte appellante, facendo rilevare che nessun vizio sussisteva nella procedura di ascolto del minore effettuata dal Tribunale di Castrovillari: a quell’epoca il ragazzo aveva 15 anni e mezzo e certamente non doveva essere verificata la sua capacità di discernimento, eventualità che si pone solo in caso di minori infra dodicenni; inoltre la Corte aveva rigettato la nomina di un consulente tecnico d’ufficio sia perché per l’ascolto del minore, un ragazzo tranquillo, ormai quasi maggiorenne, dell’età di 17 anni , non serviva la mediazione di un esperto in psicopedagogia, sia soprattutto per il fatto che l’appellante non aveva ottemperato all’onere della prova a cui intendeva sopperire con la sola richiesta di una consulenza tecnica d’ufficio che aveva mera natura “esplorativa”. Inoltre – elemento molto importante – tale richiesta era finalizzata dalla signora per provare l’esistenza della PAS, Sindrome di Alienazione Parentale, che non è scientificamente sostenuta, in quanto l’alienazione parentale non è una malattia, bensì il “ complesso di una serie di comportamenti abusivi di un genitore (alienante) in danno dell’altro e soprattutto consapevolmente o meno in danno dei figli , volti ad allontanare la prole psicologicamente dal genitore alienato”.
Nel caso in esame , da una parte la madre non aveva prodotto nemmeno un principio di prova da cui si potesse desumere una relazione disfunzionale, alienante tra padre e figlio, dall’altra, si era in presenza di un ragazzo quasi maggiorenne che aveva manifestato in maniera certa e chiara la volontà di vivere con il padre e non sussistevano pertanto elementi da cui si poteva trarre che tale tipo di convivenza potesse nuocergli.
Pertanto veniva rigettato l’appello e confermata la sentenza di primo grado.
Anche questa sentenza, come tante altre di merito, tra cui quella recentemente commentata del Tribunale di Civitavecchia , evidenzia come l’alienazione genitoriale non sia una patologia, bensì una disfunzione relazionale che può essere accompagnata dall’elemento soggettivo che può essere doloso o meramente colposo.
La giurisprudenza numerose volte ha rilevato che non esiste nessuna PAS , ovvero Sindrome di alienazione parentale, ma semplicemente l’alienazione parentale, una relazione atipica tra un genitore e la prole che opera attraverso l’indottrinamento che uno dei due genitori mette in atto, con l’inconsapevole contributo attivo del figlio, attraverso una forma di lavaggio di cervello mirata alla denigrazione e all’ annullamento dell’altra figura genitoriale, conducendo la prole a provare astio e disprezzo immotivato e costante nei confronti del genitore preso di mira ( genitore alienato). Ricordiamo ancora in particolare il decreto del Tribunale di Milano, sez. IX civ., del marzo 2017, che afferma , in merito all’alienazione parentale, che “non si tratta di una patologia da indagare clinicamente, ma di una serie di condotte rilevanti per emarginare e neutralizzare l’altra figura genitoriale”.
Per quanto riguarda la giurisprudenza di legittimità si cita l’Ordinanza della Cassazione Civile del 13 settembre 2017, n. 21215, che specifica che il giudice non è vincolato ad accertare l’esistenza della sindrome da alienazione parentale (PAS) – non riconosciuta universalmente come patologia a livello scientifico- , ma deve verificare che la condotta di un genitore sia finalizzata alla svalutazione e denigrazione dell’altra figura genitoriale, vale a dire che “ il giudicante deve accertare l’adeguatezza del genitore a svolgere il proprio ruolo nei confronti del figlio, assicurando allo stesso il suo diritto alla bigenitorialità”. Ed ancora, La Suprema Corte, con la sentenza n. 13274/2019, ha puntualizzato che “qualora un genitore denunci comportamenti dell’altro genitore di allontanamento morale e materiale del figlio da sé, indicati come significativi di una PAS, il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità in fatto dei suddetti comportamenti, utilizzando i comuni mezzi di prova, tipici e specifici della materia” . Infatti la diagnosi di sindrome di alienazione parentale non avendo basi scientifiche certe, non basta per allontanare il figlio dal genitore: il giudice dovrà tener conto non solo della ctu che l’ha accertata, bensì di ulteriori, approfondite indagini.
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