A cura dell’Avv. Margherita Corriere, Presidente AMI sez. distr. CZ, Foro di Cosenza
Sentenza CEDU Causa Luzi contro Italia del 5 dicembre 2019 : ancora una volta l’Italia viene condannata per non aver garantito rapporti concreti e significativi tra un padre e una figlia dopo la fine dell’unione tra i genitori, annullando di fatto la figura genitoriale paterna a causa di condotte materne alienanti.
La storia ha origine nel 2009: nasce una bimba dall’unione del signor Luzi con una donna; la storia poi finisce e la madre lascia la casa familiare insieme con la bimba già nello stesso 2009.
Il padre adisce il Tribunale per i minorenni perché venga regolamentato il diritto-dovere di visita del padre ; viene attivato anche un percorso di mediazione familiare con esito negativo perché a detta della psicologa dell’ASL sussisteva un grave conflitto tra i genitori.
Il 22 febbraio 2011 il Tribunale decide di affievolire la responsabilità genitoriale ad entrambi i genitori in favore dei servizi sociali del comune di Brugine a cui viene affidato il compito di disciplinare i rapporti con le modalità più confacenti alla ripresa della relazione padre-figlia , nell’ambito di un progetto quadro che prevedeva anche un percorso di sostegno alla genitorialità.
La decisione veniva impugnata dalla madre che chiedeva l’affidamento esclusivo della bambina e la regolamentazione del diritto di visita paterno.
L’appello veniva dichiarato inammissibile ed intanto le relazioni dei servizi sociali sull’andamento degli incontri padre-figlia, in un primo tempo, evidenziavano un andamento positivo nell’attuazione del programma di riavvicinamento tra la minore ed il padre, successivamente, però, nel dicembre 2011 , nella relazione trasmessa al Tribunale, i servizi sociali facevano rilevare la difficoltà con cui si svolgevano gli incontri a causa della mancanza di collaborazione tra i genitori che risultavano essere molto conflittuali, sottolineando che la bambina accusava gravi segni di disagio e che pertanto avevano deciso di sospendere gli incontri. Nel corso del 2011 il padre aveva incontrato solo 11 volte la figlioletta.
Il 22 febbraio del 2012 i servizi sociali informavano il tribunale che era stato predisposto un nuovo calendario di incontri tra il padre e la figlia ; un anno dopo i servizi sociali informavano il tribunale che erano sopravvenuti nuovi più intensi conflitti tra i genitori e anche nell’attuazione del diritto di visita sopraggiungevano dei problemi anche perché il padre dal mese di maggio si rifiutava di continuare agli incontri in condizioni che per lui snaturavano la sua figura paterna a causa di comportamenti ostruzionistici della madre.
Nel mese di settembre dello stesso anno il tribunale veniva informato dai servizi dell’interruzione degli incontri padre-figlia , della difficoltà di riprenderli , con richiesta che la famiglia intera venisse presa in carico da un servizio specializzato.
Nel gennaio del 2014 il Tribunale decideva di affidare in via esclusiva la minore alla madre , ritenendo il padre non collaborativo. Il padre impugnava il provvedimento e la corte di appello nel settembre del 2014 , dopo aver constatato che la madre aveva impedito al ricorrente di vedere la figlia regolarmente, dichiarava che tale comportamento era illecito e ai sensi dell’art. 709 ter c.p.c. invitava la madre a non reiterare tali condotte.
In data 22 dicembre 2014 la Corte di appello ordinava alla madre di rispettare il calendario di incontri tra la figlia ed il padre .
Ma nel corso del 2014 il padre riusciva a veder la figlia solo tre volte.
Nel gennaio 2015 i servizi sociali segnalavano alla Corte le difficoltà nel riprendere gli incontri padre-figlia e nel successivo mese di febbraio l’esperto incaricato di relazionare evidenziava la mancata collaborazione della madre nell’organizzazione degli incontri con il padre .
Nel giugno 2015 l’esperto nella sua relazione evidenziava che quando il rapporto tra il padre e la figlia diventava significativo, la madre subito si interponeva e faceva di tutto per sospendere gli incontri. Ancora l’esperto spiegava che la madre non lasciava alcuna autonomia alla figlia e si opponeva ad incontri di quest’ultima con il padre , precisando che la minore si trovava in uno stato di rischio psicopatologico e che era probabile che sviluppasse una personalità gravemente disfunzionale.
L’esperto raccomandava in particolare la predisposizione di un calendario di visite padre-figlia che sfruttasse il periodo estivo per consolidare il loro rapporto , l’affidamento temporaneo della bambina ai servizi sociali e la sua presa in carico da parte del servizio di neuropsichiatria infantile.
Con decisione del settembre 2015 la Corte revocava l’affidamento esclusivo della minore alla madre in favore dell’affidamento congiunto, affievoliva la responsabilità genitoriale ad entrambi i genitori e regolamentava il diritto di visita tra padre e figlia , stabilendo in particolare che il papà aveva il diritto di vedere la figlia senza la presenza della madre.
Nel 2015 si svolsero solo due incontri interrotti dalla madre della bimba.
Nel 2016 i servizi sociali segnalavano al giudice tutelare e al procuratore presso il tribunale per i minorenni che il calendario degli incontri padre-figlia era sospeso a causa dell’opposizione della madre che addirittura non permetteva alla figlia nemmeno di parlare al telefono con il padre e del conseguente rifiuto della minore di vederlo.
Nel dicembre 2016 il padre presentava un altro ricorso al tribunale chiedendo l’affidamento esclusivo della minore e la fissazione della residenza principale presso di sé; ancora, nel febbraio 2017 era stata effettuata una nuova segnalazione da parte dei servizi sociali che informavano il procuratore e il giudice tutelare che la bimba stava subendo gravi manipolazioni contro il padre da parte della madre che le impediva qualsivoglia contatto con il genitore, mentre la condizione psicologica della minore era ancora peggiorata .
Con un nuovo provvedimento il tribunale nel maggio 2018 , in considerazione delle difficoltà paterne nell’esercizio del suo diritto di visita che ormai era annullato, ordinava ai servizi sociali di svolgere una nuova indagine familiare e di approfondire i rapporti tra madre e figlia. La madre appellava il provvedimento e la Corte di appello lo rigettava , sottolineando che il percorso di osservazione psicologica della minore e dei genitori doveva proseguire
Successivamente a tale decisione nell’anno 2018 si svolsero sei incontri padre-figlia in presenza dei servizi sociali e a seguito della decisione della Corte di Appello.
Il tribunale nell’ottobre dello stesso anno richiedeva ai servizi sociali una nuova valutazione delle competenze genitoriali e un resoconto del percorso di sostegno alla genitorialità effettuato.
Trascorrevano inesorabilmente gli anni e il padre perdeva di fatto il suo diritto dovere ad essere genitore della propria figlia, ad avere quei rapporti continui e significativi con la minore, che, prima che un diritto per il padre sono un dritto fondamentale per la bambina, estrinsecazione del suo indispensabile diritto alla bigenitorialità.
Il padre a tal punto adiva la Corte Europea lamentando la violazione del suo diritto al rispetto della sua vita familiare ex art. 8 CEDU, atteso che per ben 8 anni non aveva potuto frequentare idoneamente la figlia malgrado innumerevoli provvedimenti del tribunale e della Corte di appello.
Il padre lamentava che le autorità nazionali non avevano saputo adottare tutte quelle misure idonee in concreto a mantenere un saldo legame con la figlia e, di contro, di aver permesso, con il passare del tempo, alla madre di mantenere con la figlia un legame disfunzionale con il quale istigava la minore contro il padre.
Il signor Luzi denunciava con il suo ricorso la grave inerzia delle autorità nazionali di fronte ai comportamenti illegittimi della madre , non adoperandosi e non adottando quelle misure che gli avrebbero permesso di esercitare il suo diritto –dovere di visita e di non aver reagito adeguatamente di fronte al mancato rispetto da parte materna delle decisioni giudiziarie che gli accordavano tale diritto.
In particolare il ricorrente ha sostenuto che dal 2010 le autorità nazionali non sono stato in grado di adottare tutte quelle idonee e concrete misure per impedire che la madre alienasse la figlia , dolendosi dell’”inettitudine” dei servizi sociali e dell’”indifferenza” delle autorità di fronte ai reiterati comportamenti oppositivi ed alienanti della madre della bimba.
La Corte di Strasburgo osservava che l’art. 8 della Cedu “ha essenzialmente lo scopo di premunire l’individuo contro le ingerenze arbitrarie dei pubblici poteri, esso non si limita a imporre allo stato di astenersi da simili ingerenze.. vapossono aggiungersi degli obblighi positivi …Tali obblighi possono implicare l’adozione di misure volte al rispetto della vita familiare, nonché il rispetto delle decisioni giudiziarie, ovvero di misure specifiche appropriate …Tali strumenti giuridici devono permettere allo Stato di adottare misure idonee a riunire genitore e figlio, anche in presenza di conflitti di genitori”.
In particolare poi la Corte evidenzia come gli obblighi positivi racchiudono oltre alla mera vigilanza sul fatto che il minore possa mantenere un contatto con il padre, anche tutte le idonee misure propedeutiche che consentano di raggiungere un valido ed ottimale risultato .
Osserva ancora la Corte Europea che in questa controversia come in tutte le altre controversie riguardanti i minori è fondamentale ed essenziale che si tenga primariamente conto del suo interesse che deve prevalere su qualsiasi altra considerazione.
Affrontando il caso specifico in base ai sopracitati principi generali la Corte , benché riconosca che nel caso controverso le autorità si erano trovate ad affrontare una situazione molto difficile e complessa, tuttavia afferma che “ una mancanza di collaborazione tra i genitori separati non può dispensare le autorità competenti dal mettere in atto tutti i mezzi che possano permettere il mantenimento del legame familiare”
Afferma la Corte che le autorità italiane non hanno dato prova di quella diligenza necessario per il caso in esame , non adottando quelle misure idonee a creare le condizioni per la piena realizzazione del diritto di visita del padre .
Pertanto secondo la Corte Europe i giudici interni non hanno adottato , fin dall’inizio della separazione dei genitori, quei provvedimenti e quelle misure concrete che sarebbero state idonee a instaurare validi e concreti contatti con il padre quando la bimba aveva solo un anno, Di contra, sostiene la Corte che le autorità nazionali hanno tollerato che per oltre otto anni la madre impedisse che si instaurasse una salda relazione padre-figlia.
Ancora la Corte rileva che . da una parte, i giudici nazionali hanno messo in atto misure automatiche e stereotipate , quali le successive richieste di informazioni e la delega ai servizi sociali del controllo successivo , con l’obbligo per gli stessi di organizzare e di far rispettare il diritto di visita del ricorrente e, altresì, un programma di sostegno alla genitorialità e ammonimenti alla madre, che nel caso di specie, non hanno sortito alcun effetto; dall’altra parte, i servizi sociali non hanno eseguito adeguatamente le decisioni giudiziarie.
La Corte pertanto ritiene che nel caso controverso le autorità non hanno intrapreso nessuna valida azione nei confronti della madre, lasciando che si consolidasse una situazione di fatto generata dall’inosservanza delle decisioni giudiziarie, affermando che “le autorità nazionali non abbiano fatto sforzi adeguati e sufficienti per far rispettare il diritto di vista del ricorrente e che abbiano violato il diritto dell’interessato al rispetto della sua vita famigliare”.
Pertanto la Corte dichiara violato l’art. 8 della CEDU e condanna l’Italia a versare quale risarcimento al ricorrente la somma di euro 13.000,00 per danno morale.
Ancora una volta pertanto l’amara constatazione di una nuova sconfitta dell’Italia, incapace di debellare sin dal suo insorgere quelle forme di disfunzione relazionale che provocano l’annullamento di una delle due figure genitoriali e , soprattutto, per un figlio la deprivazione di una importante figura genitoriale.
È l’ennesima volta purtroppo che la Corte di Strasburgo constata che le autorità nazionali non hanno adottato tutte le misure che era ragionevolmente possibile attendersi per mantenere i legami tra u genitore ed i propri figli, nella premessa che per un genitore e suo figlio stare insieme costituisce un elemento fondamentale della vita famigliare ex art. 8 CEDU.
Rammentiamo ancora quanto affermato dalla Corte Europea già nel 2013 nel caso Lombardo/ Italia che gli obblighi positivi da adottarsi dalle autorità nazionali al fine dell’osservanza e del rispetto della frequentazione tra un genitore ed un figlio “includono l’insieme delle misure preparatorie che, non automatiche e stereotipate, permettono di raggiungere questo risultato, nella primaria esigenza che le misure deputate a riavvicinare il genitore al figlio rispondano a rapida attuazione”.
E infatti il trascorrere del tempo, come nel caso esaminato, spesso ha delle gravissime ed irreparabili conseguenze sul rapporto tra un figlio e quello dei genitori che non vive con il minore, annullando d fatto qualsivoglia relazione tra di loro con gravissime conseguenze soprattutto per la prole che ne potrà risentire negativamente dal punto di vista psicologico ed affettivo durante la fase della sua crescita , con possibili gravi ripercussioni anche nella sua vita da adulto.

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