A cura dell’Avv. Margherita Corriere – Presidente AMI Sez. distr. CZ e Vice Presidente SISF Cosenza
La vicenda trae origine dalla condotta illegittima tenuta dal padre di una minore che era stata affidata in maniera condivisa ad entrambi i genitori con collocamento prevalente presso la madre, a seguito di sentenza di scioglimento di matrimonio; infatti il padre , dopo che la minore aveva trascorso con lui il finesettimana, non la riaccompagnava dalla madre, impedendo da quel momento qualsivoglia rapporto madre-figlia dal 2015 in poi. Erano state tante le istanze e le denuncie presentate dalla madre , preoccupata per il fatto che la figlioletta, lontana dalla sua abitazione, non frequentasse più nemmeno la scuola media . Il PM aveva chiesto in via d’urgenza che venisse disposto che la ragazzina rientrasse presso la dimora materna onde riprendere anche la frequenza della scuola e, ove la minore si fosse opposta, il suo collocamento presso una casa famiglia.
A seguito di ricorso della madre ex
art. 337 c.c. al Giudice Tutelare veniva ascoltata la minore, che
rifiutava la figura materna, adducendo che costei era solita darle
ceffoni e aveva modi e toni così violenti con lei( le avrebbe
tirato addosso computer, forbici, una sedia, libri di scuola)da non
voler stare più dalla madre nemmeno per poco tempo , asserendo di
volersi trasferire dal padre in maniera stabile. Il Giudice Tutelare
trasmetteva gli atti alla Procura della Repubblica presso il
Tribunale per i Minorenni, Tribunale che, con decreto, disponeva il
collocamento della minore presso il padre, la frequenza della scuola
media nelle vicinanze dell’abitazione paterna e disponeva che i
servizi sociali competenti per luogo di residenza dei due genitori
svolgessero una indagine psicosociale onde verificare la situazione
personale e familiare della minore e dei suoi genitori.
Si costituiva in giudizio la madre
che faceva rilevare come sino ad allora i rapporti madre-figlia
fossero sempre stati ottimi e come non ci fosse mai stata alcuna
violenza nei confronti della minore da parte sua; chiedeva pertanto
che fosse disposta CTU e che fossero subito ripristinati i rapporti
tra la ragazzina e la madre. Il Tribunale per i minorenni con decreto
disponeva che i servizi sociali organizzassero con urgenza incontri
settimanali madre-figlia inizialmente in maniera vigilata e che la
madre potesse giornalmente telefonare alla figlia in una determinata
fascia oraria
I servizi sociali relazionavano
evidenziando il rifiuto della minore a vedere la madre che veniva
descritta dalla ragazzina come una donna violenta e maltrattante.
Successivamente il Tribunale per i
Minorenni disponeva CTU, revocando ai servizi sociali l’indagine
psicosociale sulla situazione familiare , ma confermando ai servizi
l’incarico di organizzare gli incontri madre-figlia.
Ancora una volta i servizi sociali
rilevavano che per la totale chiusura della ragazzina nei confronti
della madre ci sarebbe voluto un percorso più lungo e complesso;
intanto la madre aveva richiesto che venisse conferito al CTU
l’incarico di organizzare e monitorare gli incontri madre-figlia;
nel frattempo il padre non era per nulla collaborativo, manifestava
comportamenti poco rispettosi del contesto peritale, a volte
addirittura aggressivi e minacciosi nei confronti del CTU, del Ctp e
della ex moglie , che non riceveva tra l’altro dallo stesso nessuna
notizia della figlia.
Il Giudice relatore incaricava il
CTU di riferire circa l’atteggiamento della minore nei confronti
della madre e di precisare se potesse essere utile incaricarlo di
organizzare incontri protetti madre-figlia.
Nel suo elaborato peritale il CTU
consigliava il collocamento urgente della minore in un contesto
diverso da quello paterno ravvisandosi nella ragazzina “ una
forte dipendenza dalla figura paterna la quale non faceva nulla per
favorire il riavvicinamento alla madre”.
Ed infatti il CTU aveva evidenziato
come la collocazione della minore presso il padre era fattore di
grande rischio per il benessere psichico della ragazzina , atteso che
costui non aveva la capacità di sintonizzarsi con i bisogni più
essenziali della minore e di “ empatizzare concretamente con
lei” e , in occasione della consulenza, aveva partecipato agli
incontri con atteggiamenti fortemente critici, dimostrandosi
refrattario ai suggerimenti offertigli ed a ottemperare al criterio
dell’accesso della figlia all’altro genitore. D’altra parte era
ingiustificato il netto rifiuto della minore verso la figura materna
, sottolineando il rischio di evoluzione psicopatologica incombente
sulla ragazza a causa della perdita del legame con la madre e per la
sua impossibilità di riuscire ad esprimere le proprie emozioni ed
i propri veri bisogni.
Ma il Tribunale per i Minorenni nel
2016 non ritenne di aderire ai suggerimenti del CTU e , nell’ottica
di non allontanare la minore dal padre,temendo di turbarla,
prescriveva dei percorsi di riavvicinamento madre-figlia che però
non sortivano nessun effetto, atteso che , appena miglioravano un po’
i loro rapporti e la minore iniziava ad avere un dialogo con la madre
, la ragazza improvvisamente li interrompeva , piombando di nuovo in
un atteggiamento di netto rifiuto della figura materna. Ma ancora
successivamente il Tribunale , sempre assecondando le richieste
della minore, effettuava un altro tentativo disponendo presso i
servizi sociali un nuovo percorso di riavvicinamento madre-figlia,
che, però, dopo pochissimo tempo veniva interrotto bruscamente
dalla ragazza senza nessuna ragione. I servizi sociali nella loro
relazione facevano rilevare come la madre avesse sempre seguito i
consigli degli esperti, mettendosi in discussione e attenzionando i
bisogni della figlia , mentre quest’ultima ingigantiva, storpiava
e vedeva solo in maniera negativa ogni comportamento materno ,
stravolgendo addirittura la realtà. Ed infatti si era innescata
nella minore una sorta di “dicotomizzazione” per cui identificava
tutta la parte positiva ed idealizzata nel padre, mentre la parte
negativa e demonizzata nella madre , con l’impossibilità di poter
scalfire tale modo di vedere le due figure genitoriali , atteso che
era lei stessa che le manteneva in una posizione di ferma staticità
e rigidità. In effetti era successo che dopo la rottura tra i
genitori si era attivata una relazione alterata tra la madre e la
figlia e, in tale contesto, il padre non aveva fatto altro che
incrementare le paure della minore di relazionarsi serenamente con la
madre, provocando un rifiuto netto della figura materna e una
scissione dicotomica della realtà per cui il padre ( genitore
prescelto) veniva percepito solo in termini positivi, mentre la madre
solo in modo assolutamente negativo. Nel caso in esame il Tribunale
osserva che già il CTU aveva evidenziato che la minore avrebbe
potuto mutare quell’atteggiamento così ostile verso la madre solo
se il padre, “il genitore prescelto “ l’avesse sostenuta in
maniera idonea nel percorso di riavvicinamento all’altro genitore;
ma nel caso in esame non era così, in quanto il padre addirittura
ostacolava in ogni modo anche l’iter della ctu e tutto ciò che
avrebbe dovuto condurre ad un rapporto riconciliativo madre-figlia.
Pertanto il Tribunale per i
Minorenni, resosi conto “dopo anni di tentativi improduttivi”
che l’unica soluzione era quella suggerita dal CTU ben due anni
prima ,avendo constatato un crescente irrigidimento della minore ,
“nell’improrogabile necessità di riequilibrare i rapporti tra
la figlia ed i genitori, utilizzando una modalità più decisa”,
disponeva l’affidamento della minore ai servizi sociali del comune
di residenza con sua collocazione con urgenza presso un idoneo
contesto etero familiare, con attivazione in favore della ragazzina
di un percorso psicoterapeutico ed , altresì, di incontri vigilati
tra la minore e ciascun genitore , disponendo che venissero sospesi
gli incontri con il padre ove quest’ultimo dovesse tenere
atteggiamenti ostili nei confronti degli operatori e trasmettesse
alla figlia messaggi destabilizzanti. Il Tribunale ancora incaricava
i Servizi Sociali di proseguire il percorso di riavvicinamento tra
madre e figlia prescriveva al padre un percorso psicologico e di
sostegno alla propria genitorialità e alla madre di proseguire il
sostegno psicologico.
Orbene in tale decreto del Tribunale
per i Minorenni si dispongono delle prescrizioni di percorsi di
sostegno psicologico ai genitori di una minore. Ma secondo la
sentenza della Corte di Cassazione n. 13506 del 2015 il Giudice non
può imporre ai genitori percorsi psicoterapeutici individuali e di
coppia. Infatti la Cassazione ha sancito che “la prescrizione
ai genitori di sottoporsi ad un percorso psicoterapeutico individuale
e a un percorso di sostegno alla genitorialità da seguire insieme è
lesiva del diritto alla libertà personale costituzionalmente
garantito e alla disposizione che vieta l’imposizione , se non nei
casi previsti dalla legge, di trattamenti sanitari”. Infatti
secondo la suprema Corte , sebbene una simile prescrizione possa
essere ritenuta dal Giudice come extrema ratio per aiutare la
coppia a formarsi quali idonei genitori, non si può decidere di
impartirla loro come se fosse un trattamento sanitario
obbligatorio in difformità a quanto sancito dall’art. 32 della
nostra Costituzione. Inoltre la Cassazione afferma che la finalità
di un percorso psicoterapeutico deve rimanere estraneo al giudizio
ed è quella di realizzare una maturazione genitoriale,
riguardando esclusivamente la sfera del diritto di
autodeterminazione dei singoli genitori. Successivamente a tale
sentenza della Suprema Corte diversi Tribunali – soprattutto per
i Minorenni – se ne sono discostati con varie argomentazioni che
però non convincono nel loro iter logico, in quanto tali
prescrizioni non possono essere intese come semplici inviti, bensì
come delle vere e proprie imposizioni coattive, atteso che dalla loro
mancata esecuzione ne derivano sanzioni molto dure per i genitori ,
tra cui la limitazione o addirittura la perdita della responsabilità
genitoriale. Ma un percorso psicoterapeutico imposto può sortire
effetti positivi e soddisfacenti ? E’ una domanda a cui non si può
che dare risposta negativa a rigor di logica.
Nel decreto in esame si parla di
sindrome di alienazione parentale , quando , in verità, da più
parti illustri esperti rilevano come non si tratti di una sindrome o
di una patologia, bensì di una problematica relazionale. Ed infatti
l’Alienazione Parentale è un processo in cui sono implicati
padre, madre e i figli e che si può individuare all’interno delle
controversie legali per l’affidamento della prole; in tale contesto
di accesa conflittualità uno dei due genitori utilizza i figli
per sminuire e mettere in cattiva luce l’altra figura genitoriale
, tramite delle azioni mirate a denigrare e a svalutare agli occhi
del bambino il genitore cosiddetto alienato.
Nel caso in esame una considerazione
è doverosa sul lasso di tempo trascorso da quando viene adito il
tribunale per i Minorenni e quando finalmente si ha il provvedimento
che tiene conto dei suggerimenti del CTU risalenti a ben due anni
prima (2016): tutto ciò evidenzia a chiare lettere come nei casi in
cui è in atto un processo relazionale gravemente disfunzionale e
sussiste l’alienazione di un figlio nei confronti di un genitore
non si sortisce nessun effetto positivo con un provvedimento soft
, ma serve avere la determinatezza di spezzare tale rapporto
così nocivo per un sano sviluppo affettivo-relazionale del minore,
allontanandolo al più presto dalla sconsiderata influenza del
genitore alienante , che gli fa perdere il contatto con la
realtà,assoggettandolo ad una visione distorta del suo rapporto con
l’altro genitore percepito come negativo e “nemico”. D’altra
parte rammentiamo che l’Italia spesso è stata sanzionata dalla
CEDU per la lunga durata dei processi e,in particolare, per
violazione dell’art. 8 a C.E.D.U, accertata la violazione del
diritto al rispetto della vita familiare e l’inerzia e l’incapacità
delle autorità nazionali di contrastare l’atteggiamento negativo
ed ostruzionistico di uno dei genitori, che impediva al genitore non
convivente di frequentare regolarmente e serenamente il proprio
figlio ( Strumia / Italia ; Santilli / Italia ). Ed infatti il
perdurare di tale situazione ha comportato l’allontanamento del
padre dal figlio, con la conseguente compromissione del loro rapporto
affettivo e relazionale.
Una ultima considerazione è
doverosa : la decisione assunta dal Tribunale per i Minorenni non
è certo una formula magica che basti recitare per risolvere tale
grave e compromessa relazione madre-figlia ; occorrono
professionisti ed operatori dei Servizi Sociali preparati ed
addestrati ad affrontare e a cercare di risolvere in maniera
tempestiva ed ottimale tale problematica. È pertanto fondamentale
investire sulla formazione di tali soggetti, che devono essere
addentrati nelle mille sfaccettature problematiche che ha insite in
sé l’alienazione genitoriale, al fine di disinnescarle a tutela
principalmente di una equilibrata crescita psico-affettiva della
prole.
A cura dell’Avv. Margherita Corriere – Presidente AMI Sez. distr. CZ e Vice Presidente SISF Cosenza
La vicenda trae origine dalla condotta illegittima tenuta dal padre di una minore che era stata affidata in maniera condivisa ad entrambi i genitori con collocamento prevalente presso la madre, a seguito di sentenza di scioglimento di matrimonio; infatti il padre , dopo che la minore aveva trascorso con lui il finesettimana, non la riaccompagnava dalla madre, impedendo da quel momento qualsivoglia rapporto madre-figlia dal 2015 in poi. Erano state tante le istanze e le denuncie presentate dalla madre , preoccupata per il fatto che la figlioletta, lontana dalla sua abitazione, non frequentasse più nemmeno la scuola media . Il PM aveva chiesto in via d’urgenza che venisse disposto che la ragazzina rientrasse presso la dimora materna onde riprendere anche la frequenza della scuola e, ove la minore si fosse opposta, il suo collocamento presso una casa famiglia.
A seguito di ricorso della madre ex art. 337 c.c. al Giudice Tutelare veniva ascoltata la minore, che rifiutava la figura materna, adducendo che costei era solita darle ceffoni e aveva modi e toni così violenti con lei( le avrebbe tirato addosso computer, forbici, una sedia, libri di scuola)da non voler stare più dalla madre nemmeno per poco tempo , asserendo di volersi trasferire dal padre in maniera stabile. Il Giudice Tutelare trasmetteva gli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni, Tribunale che, con decreto, disponeva il collocamento della minore presso il padre, la frequenza della scuola media nelle vicinanze dell’abitazione paterna e disponeva che i servizi sociali competenti per luogo di residenza dei due genitori svolgessero una indagine psicosociale onde verificare la situazione personale e familiare della minore e dei suoi genitori.
Si costituiva in giudizio la madre che faceva rilevare come sino ad allora i rapporti madre-figlia fossero sempre stati ottimi e come non ci fosse mai stata alcuna violenza nei confronti della minore da parte sua; chiedeva pertanto che fosse disposta CTU e che fossero subito ripristinati i rapporti tra la ragazzina e la madre. Il Tribunale per i minorenni con decreto disponeva che i servizi sociali organizzassero con urgenza incontri settimanali madre-figlia inizialmente in maniera vigilata e che la madre potesse giornalmente telefonare alla figlia in una determinata fascia oraria
I servizi sociali relazionavano evidenziando il rifiuto della minore a vedere la madre che veniva descritta dalla ragazzina come una donna violenta e maltrattante.
Successivamente il Tribunale per i Minorenni disponeva CTU, revocando ai servizi sociali l’indagine psicosociale sulla situazione familiare , ma confermando ai servizi l’incarico di organizzare gli incontri madre-figlia.
Ancora una volta i servizi sociali rilevavano che per la totale chiusura della ragazzina nei confronti della madre ci sarebbe voluto un percorso più lungo e complesso; intanto la madre aveva richiesto che venisse conferito al CTU l’incarico di organizzare e monitorare gli incontri madre-figlia; nel frattempo il padre non era per nulla collaborativo, manifestava comportamenti poco rispettosi del contesto peritale, a volte addirittura aggressivi e minacciosi nei confronti del CTU, del Ctp e della ex moglie , che non riceveva tra l’altro dallo stesso nessuna notizia della figlia.
Il Giudice relatore incaricava il CTU di riferire circa l’atteggiamento della minore nei confronti della madre e di precisare se potesse essere utile incaricarlo di organizzare incontri protetti madre-figlia.
Nel suo elaborato peritale il CTU consigliava il collocamento urgente della minore in un contesto diverso da quello paterno ravvisandosi nella ragazzina “ una forte dipendenza dalla figura paterna la quale non faceva nulla per favorire il riavvicinamento alla madre”.
Ed infatti il CTU aveva evidenziato come la collocazione della minore presso il padre era fattore di grande rischio per il benessere psichico della ragazzina , atteso che costui non aveva la capacità di sintonizzarsi con i bisogni più essenziali della minore e di “ empatizzare concretamente con lei” e , in occasione della consulenza, aveva partecipato agli incontri con atteggiamenti fortemente critici, dimostrandosi refrattario ai suggerimenti offertigli ed a ottemperare al criterio dell’accesso della figlia all’altro genitore. D’altra parte era ingiustificato il netto rifiuto della minore verso la figura materna , sottolineando il rischio di evoluzione psicopatologica incombente sulla ragazza a causa della perdita del legame con la madre e per la sua impossibilità di riuscire ad esprimere le proprie emozioni ed i propri veri bisogni.
Ma il Tribunale per i Minorenni nel 2016 non ritenne di aderire ai suggerimenti del CTU e , nell’ottica di non allontanare la minore dal padre,temendo di turbarla, prescriveva dei percorsi di riavvicinamento madre-figlia che però non sortivano nessun effetto, atteso che , appena miglioravano un po’ i loro rapporti e la minore iniziava ad avere un dialogo con la madre , la ragazza improvvisamente li interrompeva , piombando di nuovo in un atteggiamento di netto rifiuto della figura materna. Ma ancora successivamente il Tribunale , sempre assecondando le richieste della minore, effettuava un altro tentativo disponendo presso i servizi sociali un nuovo percorso di riavvicinamento madre-figlia, che, però, dopo pochissimo tempo veniva interrotto bruscamente dalla ragazza senza nessuna ragione. I servizi sociali nella loro relazione facevano rilevare come la madre avesse sempre seguito i consigli degli esperti, mettendosi in discussione e attenzionando i bisogni della figlia , mentre quest’ultima ingigantiva, storpiava e vedeva solo in maniera negativa ogni comportamento materno , stravolgendo addirittura la realtà. Ed infatti si era innescata nella minore una sorta di “dicotomizzazione” per cui identificava tutta la parte positiva ed idealizzata nel padre, mentre la parte negativa e demonizzata nella madre , con l’impossibilità di poter scalfire tale modo di vedere le due figure genitoriali , atteso che era lei stessa che le manteneva in una posizione di ferma staticità e rigidità. In effetti era successo che dopo la rottura tra i genitori si era attivata una relazione alterata tra la madre e la figlia e, in tale contesto, il padre non aveva fatto altro che incrementare le paure della minore di relazionarsi serenamente con la madre, provocando un rifiuto netto della figura materna e una scissione dicotomica della realtà per cui il padre ( genitore prescelto) veniva percepito solo in termini positivi, mentre la madre solo in modo assolutamente negativo. Nel caso in esame il Tribunale osserva che già il CTU aveva evidenziato che la minore avrebbe potuto mutare quell’atteggiamento così ostile verso la madre solo se il padre, “il genitore prescelto “ l’avesse sostenuta in maniera idonea nel percorso di riavvicinamento all’altro genitore; ma nel caso in esame non era così, in quanto il padre addirittura ostacolava in ogni modo anche l’iter della ctu e tutto ciò che avrebbe dovuto condurre ad un rapporto riconciliativo madre-figlia.
Pertanto il Tribunale per i Minorenni, resosi conto “dopo anni di tentativi improduttivi” che l’unica soluzione era quella suggerita dal CTU ben due anni prima ,avendo constatato un crescente irrigidimento della minore , “nell’improrogabile necessità di riequilibrare i rapporti tra la figlia ed i genitori, utilizzando una modalità più decisa”, disponeva l’affidamento della minore ai servizi sociali del comune di residenza con sua collocazione con urgenza presso un idoneo contesto etero familiare, con attivazione in favore della ragazzina di un percorso psicoterapeutico ed , altresì, di incontri vigilati tra la minore e ciascun genitore , disponendo che venissero sospesi gli incontri con il padre ove quest’ultimo dovesse tenere atteggiamenti ostili nei confronti degli operatori e trasmettesse alla figlia messaggi destabilizzanti. Il Tribunale ancora incaricava i Servizi Sociali di proseguire il percorso di riavvicinamento tra madre e figlia prescriveva al padre un percorso psicologico e di sostegno alla propria genitorialità e alla madre di proseguire il sostegno psicologico.
Orbene in tale decreto del Tribunale per i Minorenni si dispongono delle prescrizioni di percorsi di sostegno psicologico ai genitori di una minore. Ma secondo la sentenza della Corte di Cassazione n. 13506 del 2015 il Giudice non può imporre ai genitori percorsi psicoterapeutici individuali e di coppia. Infatti la Cassazione ha sancito che “la prescrizione ai genitori di sottoporsi ad un percorso psicoterapeutico individuale e a un percorso di sostegno alla genitorialità da seguire insieme è lesiva del diritto alla libertà personale costituzionalmente garantito e alla disposizione che vieta l’imposizione , se non nei casi previsti dalla legge, di trattamenti sanitari”. Infatti secondo la suprema Corte , sebbene una simile prescrizione possa essere ritenuta dal Giudice come extrema ratio per aiutare la coppia a formarsi quali idonei genitori, non si può decidere di impartirla loro come se fosse un trattamento sanitario obbligatorio in difformità a quanto sancito dall’art. 32 della nostra Costituzione. Inoltre la Cassazione afferma che la finalità di un percorso psicoterapeutico deve rimanere estraneo al giudizio ed è quella di realizzare una maturazione genitoriale, riguardando esclusivamente la sfera del diritto di autodeterminazione dei singoli genitori. Successivamente a tale sentenza della Suprema Corte diversi Tribunali – soprattutto per i Minorenni – se ne sono discostati con varie argomentazioni che però non convincono nel loro iter logico, in quanto tali prescrizioni non possono essere intese come semplici inviti, bensì come delle vere e proprie imposizioni coattive, atteso che dalla loro mancata esecuzione ne derivano sanzioni molto dure per i genitori , tra cui la limitazione o addirittura la perdita della responsabilità genitoriale. Ma un percorso psicoterapeutico imposto può sortire effetti positivi e soddisfacenti ? E’ una domanda a cui non si può che dare risposta negativa a rigor di logica.
Nel decreto in esame si parla di sindrome di alienazione parentale , quando , in verità, da più parti illustri esperti rilevano come non si tratti di una sindrome o di una patologia, bensì di una problematica relazionale. Ed infatti l’Alienazione Parentale è un processo in cui sono implicati padre, madre e i figli e che si può individuare all’interno delle controversie legali per l’affidamento della prole; in tale contesto di accesa conflittualità uno dei due genitori utilizza i figli per sminuire e mettere in cattiva luce l’altra figura genitoriale , tramite delle azioni mirate a denigrare e a svalutare agli occhi del bambino il genitore cosiddetto alienato.
Nel caso in esame una considerazione è doverosa sul lasso di tempo trascorso da quando viene adito il tribunale per i Minorenni e quando finalmente si ha il provvedimento che tiene conto dei suggerimenti del CTU risalenti a ben due anni prima (2016): tutto ciò evidenzia a chiare lettere come nei casi in cui è in atto un processo relazionale gravemente disfunzionale e sussiste l’alienazione di un figlio nei confronti di un genitore non si sortisce nessun effetto positivo con un provvedimento soft , ma serve avere la determinatezza di spezzare tale rapporto così nocivo per un sano sviluppo affettivo-relazionale del minore, allontanandolo al più presto dalla sconsiderata influenza del genitore alienante , che gli fa perdere il contatto con la realtà,assoggettandolo ad una visione distorta del suo rapporto con l’altro genitore percepito come negativo e “nemico”. D’altra parte rammentiamo che l’Italia spesso è stata sanzionata dalla CEDU per la lunga durata dei processi e,in particolare, per violazione dell’art. 8 a C.E.D.U, accertata la violazione del diritto al rispetto della vita familiare e l’inerzia e l’incapacità delle autorità nazionali di contrastare l’atteggiamento negativo ed ostruzionistico di uno dei genitori, che impediva al genitore non convivente di frequentare regolarmente e serenamente il proprio figlio ( Strumia / Italia ; Santilli / Italia ). Ed infatti il perdurare di tale situazione ha comportato l’allontanamento del padre dal figlio, con la conseguente compromissione del loro rapporto affettivo e relazionale.
Una ultima considerazione è doverosa : la decisione assunta dal Tribunale per i Minorenni non è certo una formula magica che basti recitare per risolvere tale grave e compromessa relazione madre-figlia ; occorrono professionisti ed operatori dei Servizi Sociali preparati ed addestrati ad affrontare e a cercare di risolvere in maniera tempestiva ed ottimale tale problematica. È pertanto fondamentale investire sulla formazione di tali soggetti, che devono essere addentrati nelle mille sfaccettature problematiche che ha insite in sé l’alienazione genitoriale, al fine di disinnescarle a tutela principalmente di una equilibrata crescita psico-affettiva della prole.
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