A cura dell’Avv. Margherita Corriere – Presidente AMI sez. distr. Catanzaro
La sesta sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n.50072 depositata il 25 novembre 2016 ha confermato la sentenza della Corte di Appello di Trento , che aveva condannato una madre alla pena di 3 mesi di reclusione , oltre al risarcimento dei danni in favore dell’ex compagno costituitosi parte civile, in quanto ritenuta responsabile per il reato di cui all’art. 388 2° comma del codice penale, poiché aveva eluso il provvedimento del Tribunale per i minorenni nella parte in cui stabiliva le modalità di visita del padre alla figlia minore , impedendo tali incontri per più volte .
L’imputata aveva cercato di giustificare il suo agito con una serie di problematiche nei rapporti della bambina con il padre e la compagna dello stesso, problemi, a suo dire, acuiti nel periodo estivo trascorso insieme nel giugno del 2012 e che avrebbero causato ansia e grave disagio nella minore.
Ma invero il Tribunale per i minorenni di Trento, a causa dell’”atteggiamento non collaborativo della madre” aveva disposto l’affido educativo assistenziale della minore al Servizio sociale perché assicurasse il rispetto e l’attuazione dei provvedimenti in merito alle visite e alle relazioni padre-figlia.
Secondo la Corte lo stato di disagio della bambina doveva essere ascritto alla madre e al suo atteggiamento vendicativo ed oppositivo verso la figura paterna, che l’aveva indotta persino a boicottare il percorso di mediazione consigliato dai servizi sociali per risolvere la conflittualità con l’ex compagno, a tutela del diritto alla bigenitorialità della bambina.
D’altra parte gli esperti avevano espresso giudizi positivi sul rapporto padre-figlia e non era emerso alcunché su presunte avversioni della minore nei confronti della nuova compagna del padre.
Alla madre pertanto veniva ascritta una condotta dolosamente omissiva in maniera reiterata , condotta che aveva di fatto allontanato pervicacemente la bambina dal proprio papà, provocandole “uno stato di agitazione ormai insanabile”.
E la Corte di Cassazione pertanto censura la condotta di questa donna, che , altresì, non si era rivolta all’assistente sociale per risolvere le problematicità del rapporto , ma solo tardivamente ed esclusivamente, in maniera artata , per strumentalizzare lo stato di grave disagio della minore onde ostacolare i suoi rapporti con il padre.
L’art. 388 secondo comma del codice penale prevede che si applichi la pena della reclusione fino a tre anni o della multa da 103 a 1032 euro “a chi elude l’esecuzione di un provvedimento del giudice civile, che concerna l’affidamento di minori o di altre persone incapaci .
La Cassazione molteplici volte ha sostenuto che la condotta elusiva del genitore affidatario può consistere anche semplicemente in un non facere :ciò che viene normalmente sollecitato al coniuge affidatario perché ottemperi al provvedimento del giudice e rispettare il diritto di visita del genitore non collocatario con la prole, non è una semplice passiva disponibilità, bensì una idonea e giusta collaborazione, nell’interesse dei figli minori che hanno il diritto di essere amati, curati, educati, sostenuti nel loro cammino di crescita , per il loro sano equilibrio psicofisico anche dall’altra figura genitoriale non collocataria .
Si rammenta, in tema, della stessa sesta sezione, la sentenza della Corte di Cassazione n. 23274/ 2010 , che ha confermato l’ orientamento prevalente della sentenza della Cassazione a sezioni unite del 27 settembre 2007, n. 36692, la quale in tema di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice, ai fini della configurazione del reato di cui all’art. 388 c.p., comma 2, per l’elusione di un provvedimento del giudice relativo all’affidamento di minori, ha affermato che l’accezione elusione ” non può equipararsi puramente e semplicemente a quello di inadempimento, occorrendo, affinché possa concretarsi il reato, che il genitore affidatario si sottragga con atti fraudolenti o simulati all’adempimento del suo obbligo di consentire le visite del genitore non affidatario, ostacolandole, appunto, attraverso comportamenti implicanti un inadempimento in mala fede o non riconducibile a una mera inosservanza dell’obbligo”.
E ancora affermano le sezioni unite che “Il mero rifiuto di ottemperare ai provvedimenti giudiziali previsti dall’art. 388 c.p., comma II, non costituisce comportamento elusivo penalmente rilevante, a meno che la natura personale delle prestazioni imposte ovvero la natura interdittiva dello stesso provvedimento esigano per l’esecuzione il contributo dell’obbligato”.

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