Di fronte al dilagare delle polemiche e delle discussioni intorno al caso del bambino allontanato dalla madre a Cittadella riteniamo opportuno, in qualità di esperti e docenti universitari in psicologia giuridica ed in psichiatria forense, specie dell’età evolutiva, autori di pubblicazioni su questi argomenti, compiere alcune precisazioni in nome delle buone prassi e delle fondamenta scientifiche del nostro operato. Quello che stampa e TV hanno divulgato ha rappresentato il punto finale di un percorso psicologicamente violento, a partire da una situazione fortemente patologica e patogena, il quale ha determinato una reazione che è stata oggetto di troppi commenti estrapolandola dal contesto che l’ha generata. La manipolazione sensazionalistica del reale e la costruzione di una “verità” e di una “storia” a partire dall’enfatizzazione di alcuni suoi frammenti rappresentano una forzatura della quale rischia di rimanere vittima proprio il bambino che si intende proteggere. In accordo con il recente comunicato dell’Associazione Italiana dei Magistrati per i minorenni e per la famiglia e con il comunicato dell’Unione Nazionale Camere Minorili del 13.10.12, sottolineiamo la grave violazione a livello giornalistico della normativa a tutela del diritto alla privacy dei minori (Carta di Treviso), essendo stati divulgati dati ed immagini che hanno facilmente portato all’identificazione del bambino coinvolto secondo modalità lesive della sua dignità e del suo diritto alla riservatezza.
Va chiarito che la professione dello psicologo giuridico e/o dello psichiatra forense dell’età evolutiva si fonda su metodologie e su criteri di valutazione consolidati da un’abbondante letteratura scientifica e considera sempre prioritario l’interesse superiore del minore e la tutela dei suoi diritti relazionali. Per questo, riteniamo che talune pubbliche affermazioni rese in questi giorni da chi si è occupato della vicenda possano ingenerare pericolose confusioni, errori di giudizio e generalizzazioni. Gli interventi di protezione rivolti ad un bambino possono infatti a volte richiedere azioni volte a rendere esecutiva una decisione giudiziaria, quando si ravvisino condizioni di emergenza e di rischio di danno a partire da gravi disfunzioni nelle relazioni familiari. Azioni che richiedono specifiche competenze ed un coordinamento tra i diversi operatori chiamati ad occuparsene. In questa prospettiva, il problema del quale si discute, riguardo la maggiore o minore fondatezza del fenomeno noto come “alienazione genitoriale”, ci pare mal posto. La comunità scientifica è concorde nel qualificare le dinamiche psicologiche che conducono all’alienazione di un genitore come un disturbo della relazione e non come un disturbo individuale: un disfunzionamento familiare al quale contribuiscono tre soggetti: il genitore “alienante”, quello “alienato” ed il figlio, ciascuno con le proprie responsabilità e con il proprio contributo che può variare di caso in caso. Per tale motivo, andrebbe evitato il termine “sindrome di alienazione genitoriale”, nota con l’acronimo PAS, come proposto da Gardner, in quanto il fenomeno in questione non corrisponde ad una “sindrome” clinica; risulta preferibile sostituirlo con il termine “Alienazione Parentale”, con il quale sarà probabilmente introdotto nel DSM V tra i “Disturbi Relazionali”.
Il dibattito sull’esistenza o meno della PAS appare però, in questa prospettiva, del tutto fuorviante, come se l’esistenza del costrutto giustificasse gli interventi a riguardo e la sua insussistenza li dovesse escludere. I dati che emergono dagli studi e dalla pratica peritale sul campo convergono infatti nell’indicare che l’alienazione parentale rappresenta un fattore di importante rischio evolutivo per l’instaurarsi di diversi disturbi di interesse psicopatologico. Sebbene essa non determini necessariamente ad un’evoluzione psicopatologica in età adulta, ne è spesso l’anticamera e comunque risulta essere un minaccioso ed invasivo fattore di disagio e/o di disturbo a causa dei profondi conflitti di lealtà che nel figlio si sviluppano. Non è quindi in discussione la necessità di intervenire, sul piano psicosociale e giudiziario, allorquando si realizzi l’esclusione immotivata di un genitore dalla vita di un figlio non legata a comportamenti realmente maltrattanti o trascuranti da parte del genitore stesso, ma a partire da induzioni dirette o indirette provenienti dall’altro genitore. Possono quindi rendersi necessari, al fine di tutelare la salute mentale di un minore, interventi preventivi volti ad evitare il radicamento della sua situazione e/o ad attenuarne gli effetti dannosi, rivolti anche alle problematiche presenti nei genitori. Si tratta inoltre di tutelare i diritti relazionali dei soggetti coinvolti ed in questo senso l’alienazione parentale rappresenta una condizione di interesse non solo clinico, ma giuridico e sociale. Il diritto alla bigenitorialità del figlio minore è definito dalla legge in tema di affidamento condiviso con preciso riferimento alla trasformazione delle sue relazioni familiari in occasione della separazione dei genitori; in tale prospettiva, un approccio corretto e scientificamente fondato nel valutare le capacità genitoriali onde decidere le condizioni di custodia dei figli impone di considerare la disponibilità da parte di ciascun genitore di rispettare il ruolo e le funzioni dell’altro.
La comunità scientifica ritiene di doversi assumere la responsabilità di rilevare e promuovere buone prassi affinché ogni intervento di tutela, non solo in ambito clinico e forense ma anche psicosociale, si dimostri idoneo alla piena tutela dell’infanzia. A tale proposito, si rende opportuno operare, nelle sedi di competenza, affinché tutte le persone coinvolte si assumano le responsabilità specifiche per ruolo e mandato (genitori, parenti, avvocati, periti, assistenti sociali, operatori delle forze dell’ordine e della magistratura). La finalità è quella non solo di valutare correttamente le capacità genitoriali secondo protocolli conosciuti e condivisi ma anche di ridurre il livello di conflitto troppo spesso non trattato (o addirittura accentuato) in sede peritale. Come è stato saggiamente suggerito da autorevoli giuristi, si auspica inoltre una riforma specifica della esecuzione civile che preveda forme peculiari (da stabilire attraverso una collaborazione interdisciplinare) nella esecuzione dei provvedimenti rivolti ad un minore, in modo che essi siano realizzate da soggetti esperti e secondo modalità adeguate come avviene, per analogia, nella audizione protetta del testimone minore.
15 ottobre 2012 Renato Ariatti Cristina Cabras Giovanni Battista Camerini Daniela Catullo Adele Cavedon Sara Codognotto Antonietta Curci Rubens De Nicola Renzo Di Cori Guglielmo Gulotta Moira Liberatore Tiziana Magro Marisa Malagoli Togliatti Daniela Pajardi Patrizia Patrizi Luisa Puddu Severo Rosa Ugo Sabatello Luca Sammicheli Giuseppe Sartori Gilda Scardaccione Magda Tura Matteo Villanova Laura Volpini Georgia Zara
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