Molto spesso noi Psicologi veniamo chiamati da Avvocati che ci pongono la seguente richiesta:
“Senta, da lei avrei bisogno di una consulenza tecnica di parte. Si tratta di certificare la sofferenza di un minore, il figlio del mio assistito che si è separato dalla moglie. I due non vanno d’accordo“.
In realtà non si tratta di una Consulenza Tecnica di Parte, ma di una richiesta molto pericolosa.
Prima di tutto, viene definita CTP solo una conulenza all’interno di una cornice peritale. Tuttavia non si faccia confusione con l’art. 233 c.p.p. La richiesta dell’Avvocato, dunque, implica una consulenza di natura clinica sullo stato di salute di un minore. Ovviamente sappiamo tutti che per effettuare una consulenza su un minore è necessario il consenso informato firmato da entrambi i genitori.
Superato l’eventuale ostacolo del consenso informato, perché imbatterci in una consulenza clinica su un minore i cui genitori si stanno facendo la guerra?
In realtà la nostra relazione serve all’Avvocato per rafforzare le sue memorie difensive a danno dell’ex moglie del proprio cliente. Dunque, perché essere triangolati?
Il minore in questo caso è utilizzato solo come pretesto per inasprire la battaglia legale.
Il suggerimento è non cedere e rifiutare questo tipo di incarico, anche perché l’Avvocato ha già “deciso” che il minore è “sofferente”. Quindi, implicitamente, la relazione dello psicologo dovrebbe per forza andare in questa direzione.
Accettare (non sempre), invece, il ruolo di CTP solo dopo che sia stata disposta CTU dal Giudice.
E il minore “sofferente”? Eventualmente prendere in carico il minore, ma dopo aver visto entrambi i genitori ed effettuato un’analisi della domanda. In questo caso lo psicologo non può diventare successivamente CTP (Art. 3 bis Protocollo di Milano).
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