E’ necessario un video shock per mettere in evidenza una problematica che esiste da anni, l’affidamento dei minori nelle cause di separazioni conflittuali. In questo periodo si sta parlando, a s-proposito, di PAS – Sindrome di Alienazione Genitoriale. Il dibattito si concentra soprattutto sulla scientificità di tale Sindrome: è da considerarsi un disturbo psichiatrico oppure una “scienza spazzatura”, così definita dalla mamma del ragazzo protagonista del video? Se rimaniamo incastrati sul piano della scientificità, probabilmente perdiamo di vista il nocciolo della questione, cioè che la PAS, in qualsivoglia modo desideriamo chiamarla, è soprattutto un disturbo relazionale. Lascerei a psichiatri, a neuropsichiatri infantili e al Board del DSM, l’arduo compito di decidere se annoverare la PAS tra i disturbi psichiatrici. A quanto sembra, nel prossimo DSM V, la Sindrome di Alienazione Genitoriale non sarà presente. Probabilmente perché non esiste ancora un farmaco per il minore affetto dalla Sindrome? O un farmaco per entrambi i genitori che litigano? Ma questo è un altro dibattito, anche se a me piace provocare.
Se iniziamo ad intendere la PAS come un disturbo relazionale, avulso dal dibattito scientifico, dobbiamo evidenziare la palese triangolazione genitore alienante – genitore alienato – figlio strumentalizzato. Qui prenderemo in considerazione il caso più frequente: la madre che denigra l’ex coniuge, il figlio che prende per buone le critiche della madre, il padre che lentamente non riesce ad avere più rapporti con il figlio. Questa è la PAS: il genitore affidatario che effettua una sorta di lavaggio del cervello del figlio affinché questi inizi a credere/pensare/agire l’idea che il padre è un cattivo papà. Dunque se è cattivo, perché dovrebbe volerlo vedere? Ecco che iniziano ad interrompersi i rapporti. Il figlio che non vuole vedere più il padre e quando lo incontra produce delle reazioni aggressive nei suoi confronti oppure se ne sta muto, come un’ameba. La madre non può far altro che evidenziare che anche il figlio ha capito che il padre è cattivo, dunque l’ex marito è effettivamente una persona incapace e inadeguata. Il padre, invece, inizia a sentirsi impotente e inerme davanti all’oppositività del figlio. Gardner lo definiva il fenomeno del “pensatore indipendente”, cioè il minore che inizia a sostenere che il giudizio negativo nei confronti del padre, sia scaturito autonomamente. Qui casca l’asino.
E’ possibile che psicologi, avvocati, giudici, assistenti sociali e addetti ai lavori non riescano ad accorgersi che non esiste un reale motivo per cui il figlio debba avercela a morte con il padre, al di là di responsabilità soggettive da parte di entrambi i genitori per la situazione conflittuale posta in essere? Eppure se si effettua un buon colloquio con il minore, si evince subito che le motivazioni che lo hanno portato a sviluppare un giudizio negativo nei confronti del padre appaiono del tutto banali, artificiali, emotivamente incongruenti e, peggio, manipolate. La realtà dei fatti è che la PAS risulta ancora un oggetto misterioso, poco approfondito e scarsamente considerato. Nelle CTU e nelle sentenze leggo spesso disquisizioni sulla validità scientifica della PAS, perdendo completamente di vista la manipolazione che il genitore affidatario effettua sul figlio per mettere in cattiva luce l’ex coniuge. Esistono ancora tanti colleghi che lavorano nell’ambito della Psicologia Giuridica che non sanno nemmeno in cosa consista la PAS e Avvocati che, pur di ottenere l’incarico, accettano di difendere la madre alienante, alimentando il conflitto coniugale e supportando l’idea malsana della cliente secondo la quale il minore è libero di decidere se vedere il padre oppure no. Ma se il figlio è manipolato, a quale libertà ci riferiamo? Recentemente sono stato nominato CTU da un Tribunale per i Minorenni in due casi in cui vi era presente la PAS al maschile, cioè mi sono trovato davanti un padre alienante e una madre alienata.
La PAS, in entrambi i casi, era già cronicizzata, avendo, la prole, rotto completamente i legami affettivi con la madre. In una delle due CTU non sono riuscito nemmeno a vedere il ragazzo e a farlo incontrare con la madre alienata poiché il padre non era collaborante, attribuendo tutta la responsabilità al figlio: “E’ lui che non vuole vedere la mamma, che posso farci io?”. E che può fare il CTU? Sicuramente non miracoli, specialmente se il Giudice dispone consulenza tecnica quando ormai la situazione è degenerata. Si potrebbe consigliare, nelle conclusioni della CTU, la modalità degli incontri protetti, ma di difficile realizzazione se non si possiede una idonea struttura e un personale formato e specializzato. Gli incontri protetti mirano a ristabilire un minimo di legame e di rapporto tra genitore non affidatario (alienato) e il figlio. Si svolgono in un ambiente neutro, possibilmente audio-video registrato, alla presenza di uno psicologo che favorisce l’incontro. Gli incontri protetti seguono una metodologia precisa caratterizzata da alcune fasi, quali incontri individuali separati con i genitori del minore, l’incontro con il minore, la fase dell’incontro protetto tra il minore e il genitore non affidatario. Almeno una coppia di psicologi è necessaria per la realizzazione di tali incontri: uno referente degli adulti, l’altro referente del minore. Il problema è che in Italia scarseggia questa tipologia di strutture e gli incontri si svolgono nei parchi, nei bar, nelle sale giochi con effetti drastici per il minore e la coppia genitoriale.
Non dimentichiamo mai che per un genitore alienante che manipola, vi è l’altro genitore alienato il cui profilo psicologico corrisponde, spesso, ad una persona che ha un atteggiamento distaccato nei confronti del figlio, passivo e ambivalente. Dunque, non a caso si diventa genitore bersaglio (target). Chi opera nei casi di separazioni ha il dovere di mettere sempre in primo piano la tutela del minore, al di là dei ruoli e dei committenti. Tutelare il minore significa anche prelevarlo di forza dall’ambiente materno, se il Giudice stabilisce che la madre non favorisce il legame figlio-padre? Giungere a questa conclusione, significa arrivare all’ultima spiaggia. Probabilmente sono state provate tutte le soluzioni, rimane quella di forza che è sempre quella sbagliata. Se la PAS è quasi subito individuata, vi sono molte possibilità per limitarla, contenerla ed evitare drastiche conseguenze, mentre se gli addetti ai lavori colludono con i conflitti di coppia, vi è un’alta probabilità che la PAS possa cronicizzarsi per poi intervenire con atti di forza. Con quale esito? Una coppia che decide di separarsi, ci riesce.
Una coppia che non decide di separarsi, si trascina in Tribunale per anni: litigare è un altro modo per continuare a rimanere legati. In mezzo c’è il minore.

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By Published On: 19 Ottobre 2012Categories: Alienazione Parentale0 Comments on PAS come disturbo relazionaleTags: , , , Last Updated: 19 Ottobre 2012

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