Spesso capita di ricevere incarico in qualità di Perito (Psicologo/Neuropsichiatra Infantile) per valutare l’idoneità a rendere testimonianza del minore successivamente all’audizione protetta del minore.
La prassi scientificamente più accreditata sarebbe quella di effettuare l’accertamento tecnico prima, e non dopo, l’audizione protetta. Il perito si esprime sull’idoneità a testimoniare (si o no sui fatti oggetto di denuncia e non in generale) del minore e di conseguenza il Giudice decide se acquisire la sua testimonianza. Nel caso di perizia pre audizione in cui il perito concludesse per una “non idoneità a rendere testimonianza”, l’Autorità Giudiziaria (il PM se siamo in fase di indagini preliminari-incidente probatorio) si troverebbe in una posizione molto scomoda perché sarebbe privata della possibilità di acquisire la testimonianza della presunta vittima.
Allora può accadere che il Giudice decida prima di ascoltare il minore e poi disporre perizia ex art. 196 c.p.p.
In questo caso potrebbe non avere molto senso la valutazione peritale sul minore poiché è stato già ritenuto idoneo a testimoniare ex officio dal Giudice. Per cui l’obiettivo dell’indagine peritale potrebbe vertere l’esame delle “carte”, cioè valutare le c.d. “competenze specifiche” del minore:
– com’è nata la denuncia, in che contesto familiare, da chi è stata sporta;
– quante volte è stato sentito il minore (SIT, incidente probatorio, dai genitori, a scuola, assistenti sociali ecc.);
– com’è stato ascoltato il minore (procedure, protocolli di intervista ecc.);
– analisi di eventuali precedenti accertamenti tecnici (CT per il PM, Perizie, relazioni cliniche ecc.);
Naturalmente il perito non può valutare l’attendibilità/credibilità delle dichiarazioni rese dal minore nell’audizione precedente alla perizia (solitamente in fase di incidente probatorio).
Secondo Carponi Schittar e Rossi (2012, p. 108) gli approfondimenti peritali nella fase successiva all’esame del minore dovrebbero riguardare:
a) valutazione delle condizioni psico-emotive del bambino/ragazzo in relazione all’avvenuta escussione da parte del giudice;
b) indagine clinica rivolta alla descrizione delle caratteristiche personologiche dell’esaminando e all’apprezzamento di possibili quadri psicopatologici;
c) approfondimento del contesto in cui è emersa la prima “rivelazione”, con riguardo a particolari eventi presenti nella storia di vita del minore in quel momento, e alle modalità di comparsa del dichiarato (spontaneo versus in risposta a domande e/o sollecitazioni);
d) analisi delle dinamiche familiari e dei vissuti del minore in relazione alle figure genitoriali (soprattutto nei casi di denunce relative ad abusi sessuali intra-familiari);
e) valutazione delle conseguenze derivate al minore dalla denuncia e della consapevolezza, da parte sua, di ciò che avrebbe comportato la “rivelazione” (soprattutto nei casi di parti offese adolescenti).
Non mi sento di condividere solo i punti a) e b) poiché l’esame del minore post audizione potrebbe rivelarsi contraddittorio rispetto alla scelta di averlo ascoltato prima, quindi di essere stato valutato dal Giudice implicitamente idoneo a testimoniare. Semmai il perito dovesse rilevare una psicopatologia inficiante la capacità a testimoniare, cosa accadrebbe? Il minore è stato già ascoltato.
In conclusione, la migliore prassi è effettuare la perizia prima dell’audizione in contraddittorio del minore. Semmai dovesse accadere il contrario, valuti il perito la possibilità di svolgere le attività peritali solo sulle “carte”, in ogni caso valutando come superflua l’indagine peritale sul minore.
 

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