A cura di Marco Pingitore

La perizia sull’idoneità a testimoniare del minore presunta vittima di abusi sessuali. Linee guida pratiche.

1. Introduzione

Uno degli argomenti più complessi nel campo della psicologia giuridica è senz’altro l’abuso sessuale a danno di minori.

Nella maggior parte dei casi ci troviamo di fronte ad un unico soggetto contestualmente presunta vittima e testimone. Capita spesso, infatti, che un intero impianto accusatorio si basi quasi esclusivamente sulla testimonianza di un bambino in età prescolare con pochi altri riscontri probatori.

Realmente difficile stabilire se il bambino dica la verità e quindi giudicare attendibile il suo racconto o se influenzato e suggestionato da elementi/soggetti terzi, tali da mettere in dubbio la veridicità delle sue dichiarazioni.

Un bel grattacapo per il Giudice deputato a stabilire la verità processuale ed esprimersi definitivamente sulla attendibilità del piccolo teste con la eventuale successiva condanna dell’imputato.

La testimonianza in ambito minorile è oggetto di ampio dibattito scientifico e giuridico.

Gli studi sulla memoria confermano che la capacità del recupero delle informazioni è direttamente proporzionale all’età del soggetto: «a 2 anni un bambino è in grado di svolgere positivamente compiti di riconoscimenti e a 5 anni cresce l’abilità di rievocazione» (De Leo, Scali e Caso, 2005, p. 24), mentre è solo «dall’età di 10 anni che i ricordi cominciano ad acquisire strutturazione, contenuto e organizzazione più efficiente, per raggiungere intorno a 14-15 anni la medesima funzionalità autobiografica che nell’adulto» (Di Cori, 2013, p. 202).

Generalmente possiamo affermare che «la maggior parte degli studiosi concordano sul fatto che il ricordare è il prodotto di un meccanismo di tipo ricostruttivo e non riproduttivo» (Mazzoni, 2012, p. 244).

Da queste semplici ed essenziali premesse, senza approfondirle oltre perché non oggetto di questo contributo, il rischio di trovarci davanti ad un minore che potrebbe riferire racconti completamente falsi che «possono essere inventati dal bambino, oppure possono essere inculcati da adulti interessati» (Rotriquenz, Mazzoni, 2007, p. 68).

E’ in questo preciso spazio che si colloca la figura del consulente e della perizia in tema di idoneità a testimoniare.

Il Consulente Tecnico di Parte per il Pubblico Ministero o il Perito per il G.I.P. hanno l’arduo compito di stabilire se quel testimone sia idoneo o meno a testimoniare, pur senza esprimersi sull’attendibilità dello stesso, prerogativa assoluta del Giudice.

Tuttavia nelle aule dei Tribunali riscontriamo periti poco esperti e consulenze errate da un punto di vista procedurale con conseguenti gravi pregiudizi nei confronti non solo dell’indagato, ma soprattutto del minore.

La perizia al fine di valutare l’idoneità a testimoniare deve basarsi su elementi evidence-based e non su presupposti poco scientifici o addirittura del tutto personali che non trovano riscontro nella comunità scientifica di riferimento. Il metodo utilizzato nell’ambito peritale «deve caratterizzarsi dalla presenza di alcuni principi di base che ne garantiscano oggettività e scientificità» (Sartori, 2010, p. 164).

E’ necessario utilizzare una metodologia chiara, ispirata alla sentenza Daubert (Suprema Corte degli S.U. 1993) in cui viene sancito che il processo decisionale del Giudice deve essere accompagnato da alcuni elementari canoni di verifica epistemologica relativi al contributo dell’esperto e ai suoi standard minimi di qualità (Pingitore, Camerini, 2012, p. 42):

  • la verificabilità e la falsificabilità della teoria;

  • il controllo della comunità scientifica;

  • la generale accettazione della teoria stessa.

E’ vero che il Codice di Procedura Penale appare carente su questo tema e poco si può evincere su cosa e come si debba svolgere una perizia, ma è altresì vero che ormai esiste una ampia e diffusa letteratura scientifica sull’argomento, corroborata da numerose sentenze della Suprema Corte di Cassazione che stabiliscono e sanciscono un know-how imprescindibile per chi vuole approcciarsi in questo ambito.

In questo lavoro cercheremo di delineare praticamente la cornice metodologica di una perizia per il GIP antecedente all’incidente probatorio, basandoci preliminarmente sui principi stabiliti dalla Carta di Noto (2011)1 e dalle Linee Guida Nazionali – L’ascolto del minore testimone (2010)2.

2. Quesiti peritali

Le premesse per una buona perizia si intravedono sin da subito dai contenuti dei quesiti peritali che dovrebbero essere strutturati in maniera chiara e limitati al ruolo e alle mansioni del perito.

I quesiti peritali non dovrebbero contenere richieste di valutazione sull’attendibilità del testimone, dei suoi racconti o dei fatti di causa, né tantomeno vertere sulla correlazione tra ambigui “vissuti emotivi” del minore e il presunto abuso sessuale.

Queste richieste non possono essere esaudite dal perito che, come detto, ha il solo compito di valutare l’idoneità a testimoniare del periziando, piuttosto di “verificare” la veridicità di quanto racconta.

Un quesito peritale formulato in maniera corretta potrebbe corrispondere al seguente:

valuti il perito

a) il profilo psicologico e l’eventuale presenza di disturbi psichici e/o comportamentali in capo al minore e il suo grado di maturità;

b) la idoneità a rendere testimonianza in merito ai fatti oggetto di denuncia.

La capacità testimoniale richiama le competenze “generiche” e “specifiche” del minore illustrate nell’art. 3.3. delle Linee Guida Nazionali:

«La capacità di testimoniare comprende abilità “generiche” e “specifiche”. Le prime corrispondono alle “competenze” cognitive come memoria, attenzione, capacità di comprensione e di espressione linguistica, source monitoring, capacità di discriminare realtà e fantasia, verosimile da non verosimile, etc, oltre al livello di maturità psico-affettiva. Le “specifiche” corrispondono alle abilità di organizzare e riferire un ricordo in relazione alla complessità narrativa e semantica delle tematiche in discussione ed all’eventuale presenza di influenze suggestive, interne o esterne, che possono avere agito».

Semplificando, le competenze “generiche” si riferiscono al “come sta” il minore, mentre quelle “specifiche” al “come ricorda”.

La correlazione tra i risultati di queste due abilità dovrebbe condurre il perito ad esprimersi sull’idoneità a testimoniare del soggetto.

L’accertamento della capacità a testimoniare, secondo la Suprema Corte di Cassazione deve comprendere:

«l’accertamento della sua capacità a recepire le informazioni, di raccordarle con altre, di ricordarle ed esprimerle in una visione complessa, da considerare in relazione all’età, alle condizioni emozionali che regolano la sua relazione con il mondo esterno, alla qualità e alla natura dei rapporti familiari» (Cass. Pen. Sez. III, sentenza n. 8962/97).

Secondo Fornari (2007, p. 302):

il testimone è idoneo a rendere testimonianza:

«nel senso che nei suoi meccanismi psichici non si ravvisa, da un punto di vista clinico, alcun processo che possa inficiare precisione, obiettività, serenità di percezione, di conservazione e di rievocazione (con tutte le riserve insite in ogni discorso che riguardi i ricordi).

Il che non significa che egli dica o abbia detto la verità. Può benissimo darsi che egli non la voglia dire, che sia un bugiardo, un calunniatore, un diffamatore. Affermare che egli è idoneo significa solo dire che egli, se vuole, è in grado di dire la verità attraverso una narrazione e una rievocazione espositiva libere da funzionamenti mentali immaturativi, conflittuali o patologici. Ne consegue che anche uno psicotico, il cui funzionamento mentale relativamente al fatto narrato è conservato, può essere ritenuto idoneo a rendere testimonianza».

il testimone non è idoneo a rendere testimonianza:

«perché nel suo funzionamento mentale sono presenti alterazioni patologiche della memoria, del pensiero, della percezione, dell’affettività e di altre funzioni psichiche, tali da inficiare del tutto la sua possibilità di dire il vero, quand’anche egli lo voglia».

3. Analizzare gli atti del fascicolo

E’ necessario analizzare eventuale documentazione sanitaria riguardante il minore, nello specifico se è stato in cura presso enti pubblici/privati e/o se gli sono stati somministrati tests psicologici. Informazioni e materiale utile per valutare le “competenze generiche”.

Altresì utile risulta analizzare dettagliatamente il verbale di denuncia e quelli relativi alle SIT a cui il minore ed i suoi familiari sono stati sottoposti, comprese eventuali video-audio registrazioni.

Quest’ultima attività rientra nella valutazione delle “competenze specifiche”, al fine di comprendere come è avvenuta la primissima rivelazione d’abuso, il momento della denuncia, quante volte ed in che modo il minore è stato ascoltato, ipotizzando eventuali sollecitazioni al racconto e raccolte delle informazioni in modo suggestivo.

3.1 Analisi dei verbali SIT

La valutazione dei verbali delle s.i.t. presenti negli atti serve al perito per comprendere “chi ha detto cosa ed in che modo” al fine di valutare la genuinità dei racconti e la motivazione a riferirli.

I verbali di Polizia Giudiziaria (così come quelli del P.M.) dovrebbero essere stilati in modalità verbatim, in un’ottica di “trasparenza”, così da fornire la possibilità al Giudice di valutare in che modo il minore è stato ascoltato.

Le “buone prassi” prevederebbero la raccolta delle primissime rivelazioni e quelle successive in modalità controllabile, verificabile ed affidabile, nello specifico acquisire e congelare le dichiarazioni attraverso la videoregistrazione (almeno l’audioregistrazione) degli incontri e stilare i verbali in modalità “parola per parola”.

Purtroppo questa è una procedura poco diffusa poiché spesso possiamo riscontare SIT non videoregistrate il cui narrato è trascritto sui verbali nella forma A.D.R. senza che le domande poste dall’intervistatore vengano effettivamente riportate e senza trascrivere le parole e frasi effettivamente pronunciate, non garantendo minimamente la verifica della modalità della raccolta delle informazioni (Mazzoni, 2011, p. 113).

In questo genere di casi, nei verbali dovrebbe essere chiaro chi dice cosa, a chi ed in che modo. Molto più utile, per i motivi di cui sopra, ricorrere alla videoregistrazione di tutte le SIT, soprattutto quelle della presunta vittima, così come sancito anche da una recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione (Cass. Pen., Sez. IV, sentenza n. 16981/13)3.

Così l’art. 136 c.p.p.:

  1. Il verbale contiene la menzione del luogo, dell’anno, del mese, del giorno e, quando occorre, dell’ora in cui è cominciato e chiuso, le generalità delle persone intervenute, l’indicazione delle cause, se conosciute, della mancata presenza di coloro che sarebbero dovuti intervenire, la descrizione di quanto l’ausiliario ha fatto o ha constatato o di quanto è avvenuta in sua presenza nonché le dichiarazioni ricevute da lui o da altro pubblico ufficiale che egli assiste

  2. Per ogni dichiarazione è indicato se è stata resa spontaneamente o previa domanda e, in tale caso, è riprodotta anche la domanda; se la dichiarazione è stata dettata dal dichiarante, o se questi si è avvalso dell’autorizzazione a consultare note scritte, ne è fatta menzione.

Anche la Suprema Corte di Cassazione si è espressa su questo tema (Cass. Pen., Sez. IV, sentenza n. 32281/06):

«L’obbligo di documentazione integrale delle dichiarazioni rese da un minore vittima di abuso sessuale rappresenta una indubbia garanzia di genuinità della prova e risulta imposto dal nostro codice di rito, in modo che può ritenersi che tale modalità sia espressione di una tecnica maggiormente affidabile non solo dal punto di vista della protezione del minore abusato, ma anche sotto il profilo dell’accertamento dei fatti penalmente rilevanti. Il mancato rispetto della tecnica di documentazione rappresenta un vizio metodologico dell’assunzione della prova, che non può essere controllata, e della cui affidabilità può essere lecito dubitare non diversamente da quanto potrebbe verificarsi allorché, per mera ipotesi, si dimostrasse che le impronte digitali da cui dipende la responsabilità dell’imputato sono state rilevate con modalità tali da non assicurare la sicurezza del risultato».

De Cataldo (2010, p. 161) sostiene che il rispetto della procedura corretta in cui vengono stilati i verbali dovrebbe riguardare non solo l’indicente probatorio, ma anche le fasi precedenti (s.i.t.) in cui le prime rivelazioni sembrano le più genuine perché poco contaminate ed inquinate da errate tecniche di ascolto o da altri fattori

Anche Mazzoni (2011, p. 113) attribuisce la giusta importanza alla stesura dei verbali nei quali spesso è presente un frasario standard che spesso non ha nulla a che vedere con le parole utilizzate nei vari racconti.

A tal proposito può capitare che un termine mai riferito dal minore durante la s.i.t. venga scritto a verbale, come ad esempio la parola “farfallina” per indicare le “parti intime”.

In una perizia svolta ho potuto constatare come il termine “farfallina”, mai pronunciato dalla bambina, sia stato oggetto di morbosa e prolungata indagine durante l’incidente probatorio inducendo l’esperto ed i magistrati ad un ragionamento simile: “Se la bambina ha pronunciato il termine farfallina nella s.i.t., perché non lo pronuncia qui? Si vergogna? Vuole difendere il padre? E’ traumatizzata? Siamo di fronte ad un mutismo selettivo?”. Ore ed ore di audizione protetta della minore alla ricerca (vana) di quel termine, per scoprire successivamente che la bambina, di origini marocchine, denominava le proprie “parti intime” con un termine arabo.

3.2 Analisi delle SIT videoregistrate

Strettamente correlato all’analisi dei verbali è la valutazione delle s.i.t. videoregistrate (o audioregistrate) grazie alle quali il perito ha a disposizione direttamente le effettive parole pronunciate dal minore e dal suo intervistatore, la modalità con cui è stato intervistato, compresi tutti quegli elementi non verbali presenti durante l’intera audizione.

3.3 Analizzare la CTP per il P.M.

Spesso il perito ha a disposizione nel fascicolo del G.I.P., la consulenza tecnica di parte svolta per il Pubblico Ministero durante le indagini preliminari.

Solitamente il P.M. opera la sua attività di indagine ex art. 359 c.p.p. (“atti ripetibili”) in cui appare abbastanza evidente la sua libertà di manovra, anche in relazione all’attività del suo consulente.

Non entrando troppo nella querelle se l’operato del ctp del P.M. sia da considerarsi atto “ripetibile” o “irripetibile” – si pensi ai molti tests psicologici di cui si servono i consulenti che non sono ripetibili a breve distanza di tempo con un pregiudizio nei confronti del perito se il ctp non ha videoregistrato gli incontri (Carponi Schittar e Rossi, 2012, p. 45) – è necessario che il perito valuti attentamente come sia stata svolta la consulenza per il Pubblico Ministero, se abbia rispettato le “buone prassi” o se, in qualche modo, il consulente non abbia utilizzato una procedura verificabile e controllabile così come ribadito anche da una recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione4.

Non di rado accade che il CTP svolga il suo operato in assoluto contrasto con le linee guida più diffuse in tema di abusi sessuali sui minori, ad esempio cercando di indagare sui presunti fatti (per verificarli) negli incontri consulenziali e ascoltando il minore senza utilizzare i protocolli di intervista.

4. Gli incontri peritali

Gli incontri peritali, così come suggerito dalla Carta di Noto e le Linee Guida Nazionali, dovrebbero essere tutti videoregistrati dal perito, anche quelli relativi alla somministrazione dei tests. I video servono sia al perito per riguardare e analizzare gli incontri, sia alle parti al fine di garantire la massima trasparenza e il principio del contraddittorio.

4.1 Incontro con il denunciante e le figure di riferimento del minore

Solitamente la prima operazione peritale prevede l’incontro solo con chi ha sporto denuncia (familiare, assistente sociale, pediatra, insegnante ecc.).

Successivamente il perito incontra eventualmente le altre figure di riferimento per il minore, incluso il presunto abusante solo nel caso di abuso intrafamiliare, in linea con l’art. 10 della Carta di Noto «(…) In caso di abuso intrafamiliare gli accertamenti devono essere estesi ai membri della famiglia, compresa la persona cui è attribuito il fatto, e, ove necessario, al contesto sociale del minore».

Questi incontri tendono all’acquisizione di informazioni sia riguardo alle competenze generiche sia alle specifiche del minore.

Gli argomenti da approfondire sono proposti dal Memorandum di Ney:

Tab. 1 – Memorandum di Ney

Identificare e chiarire il problema

Chi per primo ha sporto denuncia di abuso?

Come è stata affrontata la denuncia?

Qual è o quali sono le accuse?

Chi è accusato?

Chi sono tutte le persone coinvolte?

Che significato ha per ciascuno di essi la denuncia? A quando risale?

Attraverso quale percorso è stata sporta la denuncia?

I fatti denunciati, così come riportati dagli adulti, sono rimasti coerenti nel tempo?

Quali comportamenti e reazioni delle parti sono associati alla denuncia?

In quali occasioni si verificano tali comportamenti?

Quanto sono frequenti e quale durata hanno?

Quali bisogni o desideri insoddisfatti hanno le persone coinvolte?

Quali sono le reazioni emozionali degli individui coinvolti?

Come hanno tentato le varie parti di far fronte alla denuncia?

Di quali strumenti hanno bisogno le parti per affrontare la situazione?

Quali sono le risorse di cui gli individui dispongono in relazione al problema?

Individui coinvolti e loro personali caratteristiche

Caratteristiche emozionali (affetti, tono dell’umore, contenuti di pensiero, livello di energia)

Salute fisica

Caratteristiche cognitive (memoria, attenzione, pensiero)

Capacità di giudizio

Valori e credenze

Concetto di sé

Caratteristiche del contesto

Qual era la situazione familiare al momento del primo racconto del bambino?

In quali circostanze avvenne il primo resoconto dei fatti?

Quante volte è stato interrogato il bambino?

Chi lo ha interrogato?

Quali erano le ipotesi di chi ha interrogato il bambino?

Che tipo di domande specifiche sono state fatte?

Il racconto dell’abuso da parte del bambino è avvenuto in un’atmosfera non minacciosa e non suggestiva?

Il racconto dell’abuso è avvenuto dopo ripetute interviste?

Qualcuno degli adulti che ha avuto accesso al bambino prima della diagnosi era motivato a distorcere i ricordi del bambino (ad esempio attraverso la suggestione)?

Qual è la funzionalità sociale, cognitiva ed emotiva del bambino e degli individui chiave?

Qual è la capacità del bambino e dei genitori di lavorare su problemi specifici?

Quali sono le dinamiche interpersonali e comunicative del sistema di coppia e di quello familiare?

Ci sono fattori ambientali che possono riguardare e influenzare le parti coinvolte?

4.2 Incontri con il minore

Le competenze generiche del minore, come detto, riguardano il suo funzionamento globale da un punto di vista cognitivo e della maturità psico-affettiva.

Al fine di effettuare questa valutazione è necessario prevedere almeno un paio di colloqui con il minore e uno (o più) dedicato alla somministrazione di una batteria di tests psicologici standardizzati. La valutazione di quanti colloqui effettuare e di quali argomenti trattare dipende sempre dall’età del minore.

Tuttavia durante i colloqui con il minore il perito dovrebbe valutare tutti gli aspetti legati alla sua sfera cognitiva ed affettiva da un punto di vista qualitativo: il minore sa orientarsi? Quali sono le sue proprietà di linguaggio? Sa esprimersi correttamente ed adeguatamente in relazione alla sua età? Sa discriminare tra realtà e menzogna? E’ suggestionabile? Esistono elementi che possano far intravedere una problematica cognitiva (es. ritardo mentale, ecc.)? Quali significati assegna ad un’esperienza vissuta? (Sabatello, Di Cori, 2013, p. 102).

Aspetti che andrebbero valutati scegliendo argomenti “neutri” ed approfondendo quelli proposti dal Memorandum di Ney. E’ caldamente sconsigliato affrontare il tema dei presunti abusi nei colloqui peritali almeno per due motivi:

  • la sede privilegiata per la raccolta della testimonianza sui presunti fatti è l’incidente probatorio;

  • il perito non deve indagare sui fatti, ma sulle competenze del testimone.

All’analisi qualitativa del minore, dovrebbe essere affiancata quella quantitativa. Scegliere dei tests psicologici affidabili e standardizzati è la regola minima da rispettare.

Secondo Sartori (2010, p. 158) dovrebbero essere utilizzati strumenti di valutazione neuropsicologica, criticando la scelta dei tests proiettivi poiché «non risultano inoltre utilizzabili per la specifica valutazione in tema di abuso sessuale».

5. Capacità testimoniale del minore

Complessivamente la capacità a rendere testimonianza del minore può essere riassunta seguendo le indicazioni dell’art. 3.9 delle Linee Guida Nazionali:

«a) capacità cognitiva generale, incluso il source monitoring;

b) capacità di comprendere il linguaggio verbale relativamente a:

b1) strutture grammaticali e sintattiche; b2) termini con differenze minime di significato; b3) contenuti assurdi (assurdità semantiche, storie assurde);

c) memoria autobiografica. Particolare attenzione dovrà essere prestata ad eventuali costruzioni (più o meno plausibili) volte a colmare lacune mnesiche. E’ sempre opportuno in tal senso effettuare riscontri con testimoni adulti. d) capacità, commisurata all’età, di discriminare realtà da fantasia, verosimile da non verosimile, assurdo da plausibile;

e) capacità discriminatoria ed interpretativa di stati mentali propri o altrui (funzione riflessiva). f) livello di suggestionabilità. Alcuni aspetti della suggestionabilità non possono essere valutati mediante test specifici ma solo apprezzati con indicatori anamnestici. La suggestionabilità costituisce fattore di rischio che deve essere valutato e ponderato nel parere finale».

Un utile strumento si assessment per il perito è proposto da Camerini, Sabatello, Volpini (2014, p. 165) i quali propongono una scheda di rilevazione della capacità testimoniale del minore. La riproponiamo in forma sintetica:

Tab. 2 – Scheda di rilevazione della capacità testimoniale

Competenze generiche

Presenza di problemi psichici osservati

Comprensione verbale

Comprensione di strutture grammaticali e sintattiche; comprensione di sinonimi e di termini con differenze minime di significato; comprensione/riconoscimento di contenuti assurdi (assurdità semantiche).

Memoria autobiografica e capacità di organizzazione del racconto

Racconto di esperienze passate recenti (sino ad un anno); racconto di esperienze passte meno recenti (oltre un anno).

Esame di realtà

Tendenza alla confabulazione; tendenza a confondere realtà e fantasia.

Problemi psichici in grado di incidere sull’esame di realtà

 

Suggestionabilità

Tendenza a cedere alle domande suggestive (compiacenza); tendenza ad assecondare la direzione delle domande (acquiescenza).

Competenze specifiche

Complessità narrativa e semantica dell’evento (come ricavato dagli atti)

Distanza temporale (quando e quanto tempo è passato dai fatti); impegno cognitivo richiesto, quantità di dettagli periferici o centrali da ricordare; qualità/caratteristiche dell’evento in termini d’impatto traumatico; evento ripetuto o isolato.

Influenze suggestive

Numero di ripetizioni del racconto (come riferito dal minore) in famiglia e fuori dalla famiglia; numero di ripetizioni del racconto (riferite dal familiare) in famiglia e fuori dalla famiglia; qualità e quantità delle sollecitazioni portate dal contesto per ottenere dal minore la rivelazione degli eventi (come riferito dal minore) in famiglia e fuori dalla famiglia; qualità e quantità delle sollecitazioni portate dal contesto per ottenere dal minore la rivelazione degli eventi (come riferito dal familiare) in famiglia e fuori dalla famiglia; modalità di rivelazione del fatto (come riferito dal minore), se spontanea, sollecitata, riferita; modalità di rivelazione del fatto (riferite dal familiare), se spontanea, sollecitata o riferita.

Contesto ambientale e familiare (separazione dei genitori, conflitti tra i genitori, conflitti genitore-figlio/a) (cfr. Memorandum di Ney).

Il contesto ambientale e familiare in cui si sarebbe perpetrato l’abuso sessuale deve essere analizzato, come detto, in modo molto scrupoloso e dettagliato. E’ riscontrabile frequentemente una denuncia di falso abuso da parte, generalmente, di una donna a carico del suo ex marito al fine di “distruggerlo” per ottenere l’affidamento della prole. Gulotta e Cutica (2009, p. 24) parlano di “SAID Syndrome” per indicare «quel fenomeno particolare delle accuse di abuso sessuale che un genitore fa all’altro all’interno o alla fine di una causa di divorzio, ossia quel fenomeno che accade quando la famiglia è disfunzionale». In questi casi si può assistere a delle vere e proprie pressioni subite dal minore per raccontare quel fatto ed in quel modo oppure, nel peggiore dei casi, ci troviamo davanti a dei veri e propri “falsi ricordi” in cui il minore crede di essere stato abusato, raccontando la sua verità.

6. Risposta ai quesiti peritali

La parte finale dell’elaborato peritale deve essere dedicata alla risposta dei quesiti peritali. Un paragrafo dedicato alle conclusioni del perito che devono essere riportate in modo dettagliato e preciso. Il perito ha il compito di rispondere in maniera inequivocabile ai quesiti posti dal G.I.P. e, in caso contrario, spiegarne il motivo. Egli deve esprimersi chiaramente sulla idoneità a rendere testimonianza sul fatto specifico e non solo genericamente.

7. Conclusioni

La perizia nei casi di abusi sessuali è materia molto complessa che richiede una specifica formazione ad hoc. Non è sufficiente solo una buona preparazione nell’ambito clinico, ma è necessaria una esperienza anche nell’ambito forense. Non ci si può improvvisare periti non conoscendo minimamente il contesto giuridico in cui il perito viene collocato.

Troppo spesso ci scontriamo con metodologie improvvisate che lasciano spazio ad interpretazioni soggettive prive di qualsiasi riscontro scientifico. Ancora oggi ci imbattiamo in quesiti peritali che tendono ad indagare sull’attendibilità del minore o di verificare la presenza di un PTSD o di analizzare la presenza di “vissuti emotivi ricollegabili in via esclusiva all’abuso subito”. Una delega implicita al perito che non può essere accolta, ma respinta con determinazione al fine di limitare il più possibile errori giudiziari.

La tutela del minore è garantita soprattutto se il perito rispetta le “buone prassi”, ma anche magistrati ed avvocati devono fare la loro parte, iniziando a porre il reale interesse del minore al di sopra delle parti.

Bibliografia

Camerini, G. B., Sabatello, U., Volpini L. (2014), Scheda rilevazione capacità testimoniale, In: Gulotta G., Camerini, G. B. (a cura di), Linee Guida Nazionali. L’ascolto del minore testimone, Milano: Giuffré

Carponi Schittar, D., Rossi, R. (2012), Perizia e consulenza in caso di abuso sessuale sui minori. Quesiti e soluzioni psicologico-forensi, Milano: Giuffré

De Cataldo Neuburger, L. (2010), L’ascolto del minore. Norma, giurisprudenza e prassi, In: Gulotta, G., Cutica, I., Mente, società e diritto, Milano: Giuffré

De Leo, G., Scali, M., Caso, L. (2005), La testimonianza. Problemi, metodi e strumenti nella valutazione dei testimoni, Bologna: il Mulino

Di Cori, R. (2013), Testimoniare il trauma: considerazioni teorico-cliniche in tema di rappresentazione e ricordo nel child sexual abuse, Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, 80: 193-209

Fornari, U., (2007), Trattato di psichiatria forense, Utet, Milano

Gulotta, G., Cutica, I. (2009), Guida alla perizia in tema di abuso sessuale e alla sua critica, Milano: Giuffré

Mazzoni, G., (2012), Il problema del ricordo e delle tecniche di intervista, In: Mazzoni, G., Rotriquenz, E. (a cura di), La testimonianza nei casi di abuso sessuale sui minori, Milano: Giuffré

Mazzoni, G. (2011), Psicologia della testimonianza, Milano: Carocci

Pingitore, M., Camerini, G. B. (2012), Nomina del perito, In: Biscione, M. C., Pingitore, M. (a cura di), La perizia nei casi di abusi sessuali sui minori, Milano: FrancoAngeli

Rotriquenz, E., Mazzoni, G. (2007), E’ facile distinguere tra racconti veri e racconti falsi?, Maltrattamento e abuso all’infanzia, 1: 67-91

Sabatello, U., Di Cori, R. (2013), Dalla segnalazione alla valutazione peritale del bambino: il percorso psico-forense nei casi di child sexual abuse, In: Giamundo, V. (a cura di), Abuso e maltrattamento all’infanzia. Modelli di intervento e terapia cognitivo-comportamentale, Milano: FrancoAngeli

Sartori, G. (2010), Idoneità del minore a rendere testimonianza, In: Stracciari, A., Bianchi, A., Sartori G, (a cura di), Neuropsicologia forense, Bologna: il Mulino

1 A conclusione dell’incontro di esperti che si è tenuto all’Istituto Superiore Internazionale di Scienze Criminali (ISISC) a Siracusa e Noto nei giorni 10-12 giugno 2011.

2A conclusione della consensus conference svolta a Roma il 6 novembre 2010.

3La sentenza stabilisce che l’indicazione delle carte internazionali non è quella di garantire la presenza dell’esperto, ma di procedere alla videoregistrazione dell’esame.

4 Cass. Pen., Sez. III, sentenza n. 3258/13: «Invero il consulente del Pubblico Ministero non aveva videoregistrato i colloqui con il minore e non aveva allegato i protocolli dei tests per cui diventava impossibile la verifica sulla correttezza delle metodologie utilizzate, sulla affidabilità del dato raggiunto e sulle conclusioni dell’esperto.

(Al fine che non si verifichino inconvenienti quali quello in esame, è opportuno che il Pubblico Ministero inviti il suo consulente, nominato ai sensi dell’art. 359 c.p.p., a procedere con modalità controllabili)».

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2 Comments

  1. Elisabetta 21 Luglio 2016 at 16:11

    Gentile collega, ho avuto l’incarico per una valutazione sulla capacità a testimoniare di un minore e alla ricerca di testi di consultazione vista la delicatissima situazione, mi sono imbattuta nel tuo articolo veramente ” illuminante ” in quanto espone , con chiarezza , le problematiche da risolvere in questo compito che si specifica rispetto ad una prassi puramente clinico-diagnostica. Grazie. Trovo interessante la scheda proposta in Tab 2 , potresti indicarmi il testo di riferimento?

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