La recente ordinanza della Cassazione n. 9691/22 (pagg. 34-35) sancisce che per risolvere l’ostacolo alla bigenitorialità (diritto del figlio) è possibile prevedere:
una fase di recupero attraverso una paziente ripresa dell’opera di assistenza psicologica al minore – e con l’auspicabile ausilio dei difensori delle parti – che implichi anche una adeguata attività psicologica di sostegno alla ricorrente (ndr madre) volta a persuaderla dell’inizio di una significativa relazione del padre con il figlio, nell’interesse di quest’ultimo.
La Cassazione critica la disciplina psicologica perché, a suo dire, poco scientifica, ma si affida alla stessa psicologia per risolvere ciò che non è stato risolto, finora, negli ultimi anni. Ma vi è di più.
La Cassazione ritiene che l’ostacolo alla bigenitorialità si possa risolvere con una paziente assistenza psicologica al minore e al genitore collocatario, addirittura individuando anche gli obiettivi terapeutici (persuasione).
Questo genere di interventi è ciò che la CEDU ha più volte definito come “interventi stereotipati”, oltre che risultano essere illegittimi perché in contrasto con l’art. 32 della Costituzione (consenso informato). Un’assistenza psicologica imposta dall’alto volta a persuadere il genitore a cambiare idea sulla relazione figlio-padre.
Sono queste le soluzioni in dotazione della Magistratura?
Sull’inefficacia e sull’illegittimità di queste pseudosoluzioni mi sono speso (non solo io) tantissimo, ma, come si può evincere, vengono ancora proposte, addirittura dagli Ermellini.
Evidentemente vi è una chiara criticità nell’individuare soluzioni efficaci di natura giudiziaria non sanitaria tanto da intravedere una sorta di resa del sistema Giustizia innanzi a certi casi in cui vi sarebbe un conclamato ostacolo al diritto alla bigenitorialità (del figlio). Nello specifico, immagino genitore e figlio in assistenza psicologica per essere convinti della bontà della relazione affettiva figlio-padre. E il padre dove viene collocato in queste soluzioni psico-giudizarie? Semplicemente, ancora una volta, non c’è.
Esattamente come nella PAS (intesa come sindrome) in cui erroneamente ci si concentra sul figlio e sul genitore ostacolante, mentre si perde quasi completamente di vista il ruolo del genitore rifiutato.
La Cassazione dichiara illegittimo il corollario della PAS, ma, di fatto, effettua lo stesso ragionamento alla base della teoria della stessa sindrome: il genitore rifiutato viene inteso come una vittima.
In realtà, il ruolo del genitore rifiutato è di fondamentale importanza nelle dinamiche relazionali della triade padre-madre-figlio. Prevedere una vaga e generica assistenza psicologica nei confronti del figlio che rifiuta e del genitore che ostacola è fuorviante oltre che metodologicamente errato. Ne abbiamo parlato abbondantemente in questo libro.
Un’ultima chiosa sulla Cassazione che suggerisce la soluzione dell’assistenza psicologica: «auspicabilmente con l’ausilio degli avvocati». Vengono proposte soluzioni affidate alla speranza, all’auspicio, all’indeterminazione. Ma sempre nell’interesse dei figli.
Se fossi un figlio coinvolto in questo genere di procedimenti, direi “grazie, ma non vi interessate più di me se queste sono le vostre soluzioni”.
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