Quando un Giudice o un CTU dispone/suggerisce gli incontri protetti, nei casi di separazione e affidamento, sarebbe necessario farsi e fare qualche domanda di chiarimento rispetto alle procedure e alla metodologia:
1. Cosa sono gli incontri protetti?
Ancora non è chiara la natura dell’intervento: psicoeducativa? psicologica? medica? psicosociale? Non sono la stessa cosa. Per trattare, ad esempio, un caso di ripristino delle relazioni familiari sarebbe necessario un intervento di natura psicologica che necessiterebbe di consenso informato.
2. Quale ente si occupa di questi incontri protetti?
Se è un ente pubblico o privato convenzionato sarebbe necessario acquisire maggiori informazioni sulla metodologia adottata, sulla statistica dei casi risolti/irrisolti, sui finanziamenti ricevuti, su eventuali presenze di conflitti di interesse degli operatori. Inoltre, sul sito dell’ente dovrebbero essere presenti i nominativi di chi svolge l’intervento con relativi curriculum.
3. Per quanto tempo?
Qual è la tempistica prevista? Qual è la frequenza di colloqui (“incontri”)? Un’ora a settimana oppure ogni quindici giorni non appare una metodologia adeguata.
4. Quali sono gli obiettivi?
Quali sono le finalità dell’intervento? Devono essere chiare e trasparenti.
5. Trasparenza
Se l’intervento viene effettuato da psicologi, come detto, il genitore dovrebbe sottoscrivere un valido e libero consenso informato in cui è chiaro chi fa cosa e in che modo, anche per quanto riguarda la stesura di relazioni ai Servizi Sociali e/o al Tribunale.
In sintesi:
– sono contrario alla classica e, ormai diffusa, pratica degli “incontri protetti” che dovrebbero lasciare il posto a specifici trattamenti psicologici (sanitari).
– qualsiasi intervento di “cura” dovrebbe essere svolto al di fuori del processo e non al suo interno: il Tribunale non può curare, ma dovrebbe tutelare i diritti delle persone.
– gli “incontri protetti”, attualmente, sono pensati per tutelare il genitore, non il figlio che è costretto a subire un intervento ambiguo senza una chiara metodologia. Una semplice domanda: portereste vostro figlio a sottoporsi ad un intervento chirurgico senza che il medico vi sappia dire in che modo intende operarlo, con quali strumenti, con quali tecniche e, soprattutto, senza riuscire a comunicarvi l’obiettivo dell’intervento?
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