Intervista a Marino Maglietta, Giovanni Battista Camerini, Marco Pingitore
#1 Il figlio ha bisogno soprattutto della madre, specialmente se in tenera età, la quale deciderà su (provvederà a) ogni sua esigenza, finanziata dal padre
Maglietta: appare evidente che tutti i quesiti sono solo apparentemente delle provocazioni, visto che a dispetto del fatto che la legge prevede l’opposto – e ciò sulla base di quanto affermato nei più seri e completi studi scientifici –  purtroppo la prassi giurisprudenziale ci testimonia l’assoluta fondatezza delle domande. Starò quindi al gioco, limitandomi ad osservare che, a parte la riforma del 2006, sono gli stessi pilastri della Costituzione a barcollare sotto i colpi di queste discriminazioni di genere, di questo diritto sessuato.
Camerini: esistono in questo campo degli stereotipi culturali, come la presunta “superiorità materna”, privi di qualsiasi legittimità e sostanza sotto il profilo scientifico. Vero è che la presenza continuativa della madre è insostituibile e fondamentale durante il primo anno di vita; vero è però anche che la figura paterna assume un rilievo molto importante sin dagli stadi precoci  dello sviluppo, per cui oggi si parla non di “diade” madre-bambino ma di un “triangolo” primario necessario per favorire i processi di attaccamento. Anche i pernottamenti presso la dimora paterna dovrebbero iniziare sin dal secondo anno di vita; le ricerche dimostrano che una loro ripartizione bilanciata tra i due genitori ha una influenza favorevole sul processo di separazione ed individuazione.
Pingitore: ogniqualvolta leggo o ascolto dogmi del genere mi chiedo: se questi genitori non si fossero separati, se fossero ancora serenamente insieme, ci porremmo questi interrogativi? Quante famiglie vivono situazioni in cui la madre è fuori casa tutta la settimana per lavoro? Pensiamo a mamme (e papà) insegnanti che dal sud vengono trasferiti in scuole del nord, di fatto stabilendosi dal lunedì al venerdì fuori casa, rientrando solo nei w.e.
Allora, in tutti questi casi bisognerebbe allertare il Tribunale: i bambini piccoli hanno bisogno della madre, il padre non è in grado di accudirli.
Certe argomentazioni sulla “maternal preference” emergono solo nei casi di separazione legale.
#2 Il figlio deve avere solo una casa di riferimento: quella del genitore collocatario
Maglietta: una sentenza di Cassazione di quest’anno si sforza di ribadire ancora una volta il concetto utilizzando l’usurato criterio del diritto dei figli a non essere “sballottati”. Fin qui nulla di nuovo. Ciò che è grottesco è che la fattispecie da esaminare era la protesta di un genitore per avere tolto la Corte d’Appello l’affidamento alternato paritetico (una settimana per uno) e stabilito un affidamento condiviso con genitore collocatario e diritto di visita per l’altro. Una formula che prevede ben più numerosi passaggi da una casa all’altra… 
Camerini: il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi nel 2011, citando i lavori scientifici effettuati, ha indicato la residenza alternata come la soluzione migliore di affidamento.
Parimenti, il Consiglio d’Europa nel 2015 ha raccomandato agli Stati membri di adottare il modello della joint custody, ovvero la custodia paritaria e condivisa dei figli. Appare davvero curioso che continui ad avere credito, in ambito giudiziario, il “mito del bambino sballottato”, quando invece ci sono abbondanti evidenze circa i benefici che i bambini traggono da modalità di affidamento che stimolino le loro capacità di adattamento responsabilizzando e coinvolgendo entrambe le figure genitoriali nell’accudimento e nella educazione della prole.
Pingitore: il figlio dovrebbe avere la possibilità di frequentare, allo stesso modo, entrambi i genitori uniti o separati. Solo nei casi di separazione assistiamo a scenari talvolta assurdi e paradossali in cui è necessario stabilire la figura del genitore “prevalente” sostanzialmente per un bisogno degli adulti piuttosto che dei figli.
Non si comprende come mai un figlio fino a poco prima della separazione viveva entrambi i genitori, subito dopo è costretto a scegliere (o qualcuno lo farà per lui) quello “preferito”.
#3 I tempi paritetici di frequentazione non tutelano il figlio
Maglietta: lasciando alla psicologia la replica a questa tesi sul piano della salute, mi limito ad osservare che se non la pariteticità quanto meno l’equilibrio dei tempi di frequentazione è affermato dalla legge in vigore come diritto indisponibile dei figli. Pertanto quando la magistratura applica questa teoria a dispetto della norma compie un palese abuso di potere. Per cambiare una legge occorre un’altra legge, non una diversa opinione del giudice.
Camerini: è esattamente il contrario. In generale, il best interest del bambino dovrebbe prevedere i tempi di frequentazione dei genitori dopo la separazione mai superiori a due terzi e mai inferiori ad un terzo del tempo complessivo. Su questo convergono tutti gli studi e le ricerche di settore.  I vecchi studi sugli effetti della separazione dei genitori sui figli interpretavano i disagi di questi ultimi come derivanti dalla angosce di perdita della unità familiare. Confrontando però questi bambini (quasi sempre in affidamento monogenitoriale) con quelli in joint custody (sempre più diffusa nel Nord Europa e negli Stati Uniti) si è visto come gli indicatori di benessere di questi ultimi risultassero molto più significativi. Tempi sbilanciati a favore di un genitore integrano necessariamente  la perdita dell’altro, ovvero una parental loss che rientra a tutti gli effetti tra le childhood adversity. Sotto questo profilo, politiche inadeguate di gestione delle separazioni e del conseguente affidamento dei figli rischiano di costituire un problema di salute pubblica.
Pingitore: possiamo definirli “paritetici”, “equipollenti”, “uguali”, sta di fatto che i genitori dovrebbero avere pari opportunità di crescere e vivere il figlio. Anzi, quest’ultimo ha il diritto di frequentare entrambi i genitori. Prevedendo il “genitore collocatario” non si fa altro che esasperare le dinamiche già conflittuali all’interno della coppia genitoriale, favorendo fenomeni quali l’alienazione parentale e di conseguenza dando vita a battaglie legali infinite in cui l’unica vittima è sempre e solo il figlio. Non dovrebbero servire né la scienza né la giurisprudenza per dimostrare tali ovvietà. Si separano i genitori, non i figli dai genitori.
#4 Il figlio deve essere sentito solo a insindacabile giudizio del magistrato, il quale, ove lo senta, deciderà anche quale peso dare alle sue opinioni e ai suoi desideri
Maglietta: sul punto si vanno, purtroppo, a sommare due tipi di abuso. Il primo – e più grave – è stata la manipolazione dell’art. 337-octies cc per mezzo del D.lgs 154/2013, in violazione della delega ricevuta (eccesso di delega è troppo poco, non rispecchia il fatto) nonché degli impegni presi a livello internazionale. Manipolazione che sottopone l’ascolto al potere discrezionale del giudice. Il secondo, preesistente, consiste nel fatto che il magistrato si riserva di valutare insindacabilmente se accogliere o meno i desideri dei figli, all’interno dei suoi poteri di peritus peritorum. Pur essendo vero che un ragazzino può non avere una visione limpida di ciò che gli giova, quanto meno occorrerebbe un obbligo di concreta motivazione – che non si fondi solo sulla vuota formuletta “perché contrario all’interesse del minore” – ogni volta che il giudice decida di operare diversamente da quanto richiesto. 
Camerini: l’ascolto del minore corrisponde ad un diritto (di essere informato e di esprimere la propria opinione) ma non va enfatizzato: può sussistere il rischio di attribuire al minore un potere eccessivo rispetto alle proprie capacità di discernimento, lasciandogli il peso e l’angoscia di responsabilità che competono agli adulti. L’interesse del minore, ovvero il suo benessere, coincide spesso nella possibilità di fare riferimento ad un adulto che decide per lui in funzione del suo bene, ovvero di quello che viene responsabilmente e riflessivamente interpretato come tale. Il rischio di una eccessiva libertà di scelta offerta al bambino riguardo la propria collocazione è quello di favorire lo sviluppo di fantasie narcisistiche di onnipotenza intimamente connesse a sentimenti di colpa, conformemente alla necessità di schierarsi come alleato di un genitore ai danni dell’altro. E’ preferibile che un figlio minore, pur partecipando al processo decisionale che lo riguarda e tenendo comunque conto della sua età, della sua maturità e delle sue capacità riflessive, non sia posto nelle condizioni di gestirlo autonomamente. Può accadere che il rispetto per i desideri del figlio e l’invocazione della sua protezione siano confusi con una rinuncia alla funzione ed alla responsabilità genitoriale, secondo proiezioni secondo le quali il genitore vede, come scriveva Freud, “Sua Maestà il Bambino” come un essere chiuso in se stesso e completamente soddisfatto, secondo una riproduzione del proprio narcisismo.
Pingitore: l’ascolto del minore può avvenire in forma “diretta” (dal Giudice) o “indiretta” (solitamente un CTU). Ascoltare il minore non significa necessariamente assecondarlo o prendere come “verità” tutto ciò che dice. Le separazioni conflittuali portano spesso i figli a schierarsi ora con l’uno, ora con l’altro genitore. Essi possono vivere un conflitto interiore in cui spesso la genuinità lascia il posto al condizionamento. Ascoltare il minore significa raccogliere tutti i suoi bisogni che possono contenere anche richieste implicite di aiuto e di contenimento. Certamente dipende dall’età, ma delegare un figlio e attribuirgli il ruolo di “arbitro”, potrebbe risultare molto rischioso e controproducente. La responsabilità della grave situazione familiare è solo dei genitori.
#5 Al fine di tutelare il figlio, i genitori possono essere costretti dal Tribunale a seguire un percorso psicoterapico e/o di sostegno psicologico alla genitorialità
Maglietta: anche questa sollecitazione è da affidare prevalentemente all’esperto della materia. Sul piano giuridico non si possono ordinare trattamenti del genere – tolti i casi estremi da TSO. In pratica, tuttavia, si vede di tutto. Dall’invito garbato fino a quello accompagnato da minacce di affidamento a Servizi sociali o di sospensione dalla responsabilità genitoriale in caso di inottemperanza.
Camerini: risulta difficile se non spesso fuorviante cercare di adottare modelli di intervento (giudiziario e psicosociale) rivolti a progettare ed attuare un “cambiamento” all’interno di un determinato sistema familiare, in nome dell’”interesse” del minore che di quel sistema fa parte. Occorre legittimamente dubitare dell’affidabilità degli strumenti dei quali disponiamo: lungi dal costituire una scienza “esatta”, l’ampia gamma degli interventi psicosociali, per definizione rivolti a realtà strutturalmente complesse come lo sono quella psichica e quella dei sistemi sociali umani, sfugge ad ogni tentativo di normazione paternalistica “dall’alto”. Una terapia, ogni terapia, rappresenta una avventura a due, un percorso da compiere insieme, senza necessariamente conoscere la traiettoria né il punto di arrivo finale. Le scienze psicologiche, al di fuori delle ricerche sperimentali, risultano aliene dalla pianificazione e dalla oggettivizzazione, allo sforzo di ridurre la loro ricchezza e complessità ad un sistema di regole stabilite a priori. La realtà psichica è una realtà costruita attraverso i significati che il soggetto attribuisce alle proprie esperienze percettive e sociali. Ciò che si chiama “sapere” (o conoscenza che prelude ad un cambiamento) non è quindi qualcosa che il soggetto può trovare prefabbricato. La conoscenza non può essere una “rappresentazione” del mondo esterno fatta di pezzettini, di informazioni asportate a quel mondo “reale”, ma deve essere una costruzione interna fatta con materiale interno.
In sintesi, qualsiasi terapia psicologica si deve svolgere sotto l’egida del consenso informato e, soprattutto, fuori dal processo e non al suo interno, senza essere prescritta e normata dall’autorità giudiziaria.
Pingitore: è una battaglia che insieme a Giovanni Camerini e al Dott. Gustavo Sergio (già Presidente del Tribunale per i minorenni di Napoli) stiamo portando avanti da tempo ormai. Non è possibile prescrivere trattamenti sanitari ai genitori in nome dell’interesse del minore. Le cause non si risolvono delegando impropriamente la Psicologia. Nei Tribunali, prima di tutto, servono soluzioni giudiziarie. Un genitore che ha perso tutti i contatti con il figlio a causa dell’ex partner, dopo anni di contenzioso, non può e non deve ricevere dal Tribunale la prescrizione di una improbabile psicoterapia per risolvere la situazione. A tal proposito rimando al recente documento sul tema redatto dal Gruppo di Lavoro in Psicologia Giuridica che coordino presso l’Ordine degli Psicologi della Calabria.
Marino Maglietta: Presidente Crescere Insieme
Giovanni Battista Camerini: Neuropsichiatra infantile
Marco Pingitore: Psicologo-Psicoterapeuta

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One Comment

  1. Francesco 7 Settembre 2017 at 15:39

    Certo, tutto questo è giusto se 2 genitori separati vanno d’accordo, ma nel 99% dei casi tutto questo diventerebbe uno stress per i bambini. Siamo onesti, nel resto d’Europa i padri fanno i padri, in Italia i padri danno al massimo una mano! Prima di cambiare leggi dobbiamo cambiare mentalità maschile ( non a caso siamo il paese europeo con maggiori femminicidi….)

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