L’art. 196 c.p.p. non stabilisce i tempi dell’accertamento peritale disposto dal Giudice il quale ha la prerogativa di scegliere se escutere prima la persona minorenne e poi, eventualmente, disporre perizia psicologica per valutare le competenze testimoniali oppure prevedere prima la perizia e, all’esito dell’accertamento tecnico, raccogliere la testimonianza.

Le due opzioni dovrebbero prevedere due quesiti peritali differenti.

Nel caso di perizia disposta prima dell’audizione in incidente probatorio, sarebbe opportuno incaricare il perito di effettuare una valutazione sulla capacità di rendere testimonianza della persona vulnerabile. Questo tipo di accertamento non può e non deve prevedere la narrazione dei fatti oggetto di denuncia per scongiurare inquinamenti e contaminazioni dei ricordi. L’oggetto dell’accertamento deve riguardare solo ed esclusivamente la valutazione delle capacità testimoniali in linea con quanto raccomandato dalla Carta di Noto (2017, IV versione). L’art. 13 della Carta di Noto, infatti, declina la capacità di rendere testimonianza nelle c.d. “capacità generiche” e “capacità specifiche” del soggetto. Le conclusioni peritali, quindi, verteranno sulla capacità fisica o mentale del (futuro) testimone di rendere testimonianza: il soggetto è capace di rendere testimonianza ovvero il soggetto non è capace di rendere testimonianza.

Nel caso di perizia disposta dopo l’audizione in incidente probatorio, sarebbe opportuno incaricare il perito di effettuare una valutazione solo sulle capacità specifiche di rendere testimonianza (Art. 13, Carta di Noto IV): “Valuti il perito l’eventuale presenza di influenze suggestive, interne o esterne (derivanti dall’interazione con adulti o con coetanei) che possano avere interferito nel racconto”. La ratio di questa raccomandazione risiede nell’evitare di espletare un accertamento tecnico sulla persona minorenne senza sapere nemmeno se costei abbia l’idoneità fisica e mentale alla deposizione il quale ha già reso la sua testimonianza e, quindi, ritenuto capace dal Giudice ai sensi dell’art. 196 c.p.p. Prevedere una perizia sulla valutazione delle capacità testimoniali successivamente all’escussione del giovane testimone, potrebbe provocare l’equivoco metodologico secondo cui se il soggetto è ritenuto capace di rendere testimonianza allora il testimone è (stato) attendibile. Tale criticità non risiede solo nei casi di valutazione di capacità, ma anche di incapacità: nei casi di accertamento peritale dopo l’assunzione della testimonianza, se il testimone dovesse essere valutato come non capace di rendere testimonianza, le dichiarazioni rese risulterebbero non attendibili? Come dovrebbe regolarsi il Giudice in questi casi?

Il rischio di sovrapposizione del concetto di capacità di rendere testimonianza e attendibilità è molto concreto. In realtà, devono rimanere ben distinti e separati anche perché il primo è prerogativa dell’esperto, il secondo dell’Autorità Giudiziaria.

Il Prof. Ugo Fornari nel suo fortunatissimo “Trattato di Psichiatria Forense” (Utet, 2015) spiega cosa si intende per capacità di rendere testimonianza:

Il testimone è idoneo a rendere testimonianza:

nel senso che nei suoi meccanismi psichici non si ravvisa, da un punto di vista clinico, alcun processo che possa inficiare precisione, obiettività, serenità di percezione, di conservazione e di rievocazione (con tutte le riserve insite in ogni discorso che riguardi i ricordi). Il che non significa che egli dica o abbia detto la verità. Può benissimo darsi che egli non la voglia dire, che sia un bugiardo, un calunniatore, un diffamatore. Affermare che egli è idoneo significa solo dire che egli, se vuole, è in grado di dire la verità attraverso una narrazione e una rievocazione espositiva libere da funzionamenti mentali immaturativi, conflittuali o patologici. Ne consegue che anche uno psicotico, il cui funzionamento mentale relativamente al fatto narrato è conservato, può essere ritenuto idoneo a rendere testimonianza.

Il testimone non è idoneo a rendere testimonianza:

perché nel suo funzionamento mentale sono presenti alterazioni patologiche della memoria, del pensiero, della percezione, dell’affettività e di altre funzioni psichiche, tali da inficiare del tutto la sua possibilità di dire il vero, quand’anche egli lo voglia.

Una recente sentenza della Cassazione spiega la differenza tra attendibilità e capacità di rendere testimonianza:

Ed invero, nella valutazione dell’attendibilità del minore occorre distinguere il profilo della capacità a testimoniare, come attitudine del minore a percepire i fatti e a raccontarli in modo immune da condizionamenti perturbatori e/o patologie che possano inficiare sulla capacità di percezione della realtà e di quella mnestica, da quello dell’attendibilità in relazione al contenuto, valutazione quest’ultima di esclusiva competenza del giudice che deve procedere direttamente all’analisi della condotta del dichiarante, della linearità del suo racconto e dell’esistenza di riscontri esterni allo stesso.

Alla luce di queste osservazioni, è necessario scongiurare il pericolo che la perizia  espletata successivamente all’audizione testimoniale possa sfociare in una sorta di validation attraverso una improbabile compatibilità tra il quadro psichico della persona minorenne e fatti per cui si sta procedendo, producendo erroneamente una deduzione sul rapporto di causalità, in modo tale che l’idoneità testimoniale diverrebbe “prova” della testimonianza resa.

Per questi motivi, la Carta di Noto IV raccomanda:

  1. L’accertamento sull’idoneità a testimoniare deve precedere l’audizione del minore e, in ogni caso, non è possibile inferire la capacità stessa dalla qualità (coerenza interna, caratteristiche narrative, ecc.) della testimonianza resa. In caso di abuso intrafamiliare le valutazioni devono essere estese ai familiari, ove possibile e, ove necessario, al contesto sociale del minore.

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