Il concetto di capacità a rendere testimonianza è normato dall’art. 196 c.p.p. che recita:
1. Ogni persona ha la capacità di testimoniare.
2. Qualora, al fine di valutare le dichiarazioni del testimone, sia necessario verificarne l’idoneità fisica o mentale a rendere testimonianza, il giudice anche di ufficio può ordinare gli accertamenti opportuni con i mezzi consentiti dalla legge.
3. I risultati degli accertamenti che, a norma del comma 2, siano stati disposti prima dell’esame testimoniale non precludono l’assunzione della testimonianza.
Ma cosa si intende esattamente per “capacità a testimoniare”? Ecco la migliore definizione clinico-forense di idoneità e non idoneità a rendere testimonianza secondo il Prof. Ugo Fornari (2007, Trattato di Psichiatria Forense, p. 302)
Il testimone è idoneo a rendere testimonianza:
nel senso che nei suoi meccanismi psichici non si ravvisa, da un punto di vista clinico, alcun processo che possa inficiare precisione, obiettività, serenità di percezione, di conservazione e di rievocazione (con tutte le riserve insite in ogni discorso che riguardi i ricordi).
Il che non significa che egli dica o abbia detto la verità. Può benissimo darsi che egli non la voglia dire, che sia un bugiardo, un calunniatore, un diffamatore. Affermare che egli è idoneo significa solo dire che egli, se vuole, è in grado di dire la verità attraverso una narrazione e una rievocazione espositiva libere da funzionamenti mentali immaturativi, conflittuali o patologici. Ne consegue che anche uno psicotico, il cui funzionamento mentale relativamente al fatto narrato è conservato, può essere ritenuto idoneo a rendere testimonianza.
Il testimone non è idoneo a rendere testimonianza:
perché nel suo funzionamento mentale sono presenti alterazioni patologiche della memoria, del pensiero, della percezione, dell’affettività e di altre funzioni psichiche, tali da inficiare del tutto la sua possibilità di dire il vero, quand’anche egli lo voglia.
L’ascolto del minore – Linee guida nazionali (2010) individuano la capacità a rendere testimonianza nelle c.d. “competenze generiche” e “competenze specifiche”.
Le prime corrispondono alle “competenze” cognitive come memoria, attenzione, capacità di comprensione e di espressione linguistica, source monitoring, capacità di discriminare realtà e fantasia, verosimile da non verosimile, etc, oltre al livello di maturità psico-affettiva. Le “specifiche” corrispondono alle abilità di organizzare e riferire un ricordo in relazione alla complessità narrativa e semantica delle tematiche in discussione ed all’eventuale presenza di influenze suggestive, interne o esterne, che possono avere agito.
Mentre secondo la Cassazione (riferimento agli abusi sessuali sui minori):
l’accertamento della sua capacità a recepire le informazioni, di raccordarle con altre, di ricordarle ed esprimerle in una visione complessa, da considerare in relazione all’età, alle condizioni emozionali che regolano la sua relazione con il mondo esterno, alla qualità e alla natura dei rapporti familiari (Cass. Pen. Sez. III, 3 ottobre 1997, n. 8962).

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