Capita frequentemente che arrivino ai Servizi Pubblici (Consultori, Servizi Sociali, CSM…) dispositivi dei Tribunali in cui i genitori vengono “invitati” ad effettuare un sostegno alla genitorialità in seguito o contemporaneamente al contenzioso civile di separazione coniugale.
Addirittura, ci sono dei casi in cui è lo stesso Servizio Pubblico, ad esempio il Consultorio che, ricevuto il dispositivo dai Servizi Sociali, contatta direttamente il genitore o i genitori tramite telegramma per la convocazione “Lei è convocato il giorno X alle ore Y per inizio del sostegno alla genitorialità come da dispositivo del Tribunale di X…“.
Ma si può fare? Cioè, i Servizi Pubblici possono prendersi in carico i genitori “invitati” a svolgere un trattamento sanitario dal Tribunale?
No, ma meglio essere più chiari: no!
La cattiva prassi vuole che i dispositivi giudiziari prevedano un trattamento sanitario (sostegno genitorialità/psicoterapia) per uno o entrambi i genitori. Questi vengono “spintaneamente” invitati/raccomandati a svolgere un lavoro psicologico.
A questo punto il genitore non è più libero di decidere autonomamente e autodeterminarsi: è costretto a rivolgersi al Servizio Pubblico, in alcuni casi, come detto, dietro convocazione.
L’alternativa è ricevere una relazione da parte dell’Ente Pubblico in cui viene scritto chiaramente che il genitore non si è presentato agli incontri o è stato scarsamente collaborante.
Una relazione negativa ha naturali e ovvie ripercussioni sulla responsabilità genitoriale poiché il Tribunale, ricevuta la relazione, potrebbe valutare quel genitore come non propenso al cambiamento e, quindi, non idoneo a svolgere la funzione genitoriale.
In realtà, le cose sono o dovrebbero essere diverse.
Nessun Tribunale e di conseguenza nessun Servizio Pubblico può imporre un trattamento sanitario (sostegno psicologico/psicoterapia) in capo a soggetti adulti (genitori).
E’ vietato dall’art. 32 della Costituzione e negato dal Codice Deontologico degli Psicologi.
Il presupposto indefettibile di ogni trattamento sanitario è un valido e libero consenso informato.
Nessun Servizio Sociale che ha in affidamento un minore può trasmettere ad un Consultorio il dispositivo del Tribunale in cui il genitore è invitato a svolgere un trattamento sanitario. E nessun Consultorio si può arrogare il diritto di contattare il genitore per invitarlo ad iniziare il lavoro psicologico. E, aspetto ancora più grave, nessun Psicologo del Consultorio può permettersi di redigere una relazione sul genitore sia che accetti il trattamento, sia che lo rifiuti.
Esiste il “segreto professionale” per cui nessun Ente pubblico/privato può prendere in carico un soggetto adulto, effettuare il trattamento o non effettuarlo e inviare la relazione ad un soggetto terzo (Servizi Sociali/Tribunale).
Questa cattiva prassi va abolita, è in gioco la libertà individuale in nome di una fallace e illegittima tutela dei diritti del minore.
Per maggiori informazioni, consultare il documento redatto dall’Ordine degli Psicologi della Calabria.

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