Da un recente decreto del Tribunale di Genova (si ringrazia l’Avv. Valeria Mazzotta, Foro di Bologna, per l’invio):
P.Q.M.
– conferma l’affido del minore P. G., nato a … il …2006 ai Servizi Sociali, da individuarsi nei Servizi
Sociali del Comune di …;
– conferma la collocazione del minore presso il padre a … corso …;
– stabilisce che la madre possa incontrare il figlio minore solo mediante visite protette, organizzate dagli operatori dei servizi sociali, in particolare mediante l’intervento di un educatore che possa svolgere le funzioni di mediatore e di facilitatore della relazione madre/figlio;
raccomanda al sig P. M. l’avvio di un percorso psicologico individuale presso il Servizio di Salute Mentale ed alla signora G. S. la ripresa di regolari incontri con il Servizio di Salute Mentale;
– si comunichi al S.S del Comune di … ed a quelli di … (alla c.a della dott.ssa …).
I Servizi Sociali affidatari dovranno segnalare eventuali criticità del nucleo familiare alla competente Procura della Repubblica presso il TdM…
Evitiamo per il momento una valutazione approfondita sull’inutilità dell’intervento degli “incontri protetti”. Anzi, più che inutile, potenzialmente dannoso per il minore poiché se, considerata l’età, il Tribunale ha deciso di lasciarlo presso la casa del genitore alienante (il padre), non si comprende il motivo degli “incontri protetti” con la madre, addirittura scomodando un educatore che non è una figura professionale sanitaria e nulla ne sa delle dinamiche di Alienazione Parentale e di come deve essere trattata. Il rischio è esporre il minore ad un ulteriore messaggio schizofrenico: durante gli incontri protetti gli viene imposta la figura materna spiegandogli che deve riallacciare il rapporto con lei; torna a casa e il padre gli trasmette direttamente/indirettamente il messaggio opposto. Meglio non disporli prevedendo un tentativo come ha fatto recentemente il Tribunale di Cosenza.
Ma questo è un altro articolo di approfondimento.
Ciò su cui vorrei soffermarmi è la “raccomandazione” di un percorso psicologico individuale al padre e, sostanzialmente, alla madre. Considerata l’assoluta illegittimità di una prescrizione di un trattamento sanitario su soggetti adulti, allora si ricorre al termine “raccomandazione”. Per alcuni potrebbe rappresentare un buon compromesso: non è possibile imporre un trattamento psicologico, allora lo si raccomanda in nome della tutela del minore (in che modo viene tutelato il minore con un’imposizione sanitaria ai genitori?).
Ma perché un Tribunale, se non può disporlo, deve “raccomandare” (addirittura nel P.Q.M.) un trattamento sanitario ai genitori?
Il rischio è qualche riga più sotto, quando il Giudice scrive “I Servizi Sociali affidatari dovranno segnalare eventuali criticità del nucleo familiare alla competente”.
I SS, essendo gli affidatari del minore, sicuramente terranno in debita considerazione l’adesione o meno alla raccomandazione del Tribunale: “Lei ha iniziato il percorso psicologico? Se si rifiuta, lo dovremo scrivere nella relazione per il Tribunale“.
Quindi, sia che si usa l’espressione “prescrivere”, sia che si usa “raccomandazione”, la sostanza non cambia perché tale “invito” è inserito nel P.Q.M. del decreto.
Una provocazione: se viene raccomandato ad entrambi i genitori un “percorso” psicologico presso il Centro di Salute Mentale, allora che venga disposto nelle forme del TSO.
Il Tribunale non può risolvere le questioni di diritto di famiglia con le prescrizioni/raccomandazioni dei trattamenti sanitari ai genitori. Ne parlo abbondantemente in questo sito e lo spieghiamo in questo documento.
P.S.: aboliamo l’espressione “percorso” psicologico: che vuol dire?

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2 Comments

  1. Maria 7 Marzo 2018 at 12:21

    Buongiorno,
    Lasciare i genitori che non sanno gestire i contatti senza nulla raccomandare mi sembra anche superficiale. Degli incontri con un mediatore/psicologo potrebbe in certi casi semplici mitigare le difficoltà, far comprendere come dialogare. E comunque perché evitare di provarci?

    • Marco Pingitore 7 Marzo 2018 at 12:25

      Salve e grazie per il commento.
      Il tribunale deve occuparsi di interventi giuridici, non sanitari.
      Oltre al divieto ex art. 32 della Costituzione, i casi complessi di separazione e affidamento non si risolvono con “raccomandazioni” (per di più sanitarie), ma di disposizioni di natura giuridica.
      Il Tribunale non ha il compito di aiutare i genitori a “far comprendere come dialogare”, ma deve tutelare i figli. Se i genitori non dovessero “comprendere come dialogare”, che si fa?
      Inoltre, soprattutto in certi casi, la criticità non riguarda la mancanza di dialogo, ma ben altro.
      Cordiali saluti.
      Marco Pingitore

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