Cassazione Civile, sentenza 19 gennaio 2015 n. 752
Svolgimento del processo
Con reclamo alla Corte di appello di Roma M.G. , nonna materna della minore N.C. , nata l'(omissis) da sua figlia B.S. , deceduta per malattia nel (omissis) , chiedeva la riforma del decreto (in data 25.09-4.10.2012) con cui il Tribunale per i Minorenni di Roma, sentita la minore, aveva respinto il ricorso della reclamante volto al riconoscimento del suo diritto di visita della nipote, osteggiato dal genero N.E. , padre della bambina.
Con decreto del 9.07-10.09.2013 la Corte di appello di Roma, nel contraddittorio delle parti, respingeva il reclamo della M. , come richiesto anche dal PG.
La Corte territoriale riteneva che non ricorressero i dedotti vizi di omessa e/o insufficiente valutazione delle risultanze processuali sollevati dall’istante. In primis, la dedotta assenza, o comunque il mancato approfondimento, in capo alla nipote N.C. , n. l'(omissis) , della capacità di discernimento necessaria a far ritenere attendibili le dichiarazioni dalla stessa rese in primo grado avanti al TM (allorquando la minore – in data 21.3.2012 – aveva dichiarato di non voler vedere la nonna perché quando la madre stava male lei non voleva darle le medicine -), con conseguente richiesta di CTU sullo stato d’animo effettivo della bambina, non appariva sorretta da alcun riscontro obiettivo, tale non potendosi considerare il mero dato costituito dall’età della minore al momento dell’audizione (8 anni e mezzo); nemmeno dal tenore delle dichiarazioni rese dalla bambina, emergevano dubbi o incertezze nel manifestare il proprio desiderio, in un momento senz’ altro di persistente e assai dolorosa rielaborazione del gravissimo lutto costituito dalla perdita della madre in così tenera età. Quanto al contenuto delle medesime dichiarazioni, non si palesavano forzatura o suggestioni che avessero indotto la minore a riferire una volontà diversa da quella interiormente provata, apparendo la conclusione raggiunta dal T.M. corretta e congrua rispetto all’intendimento della bambina di non volere rivedere la nonna. Sul punto si osservava che dall’acquisita relazione del 27.06.2013, dei S.S. emergeva come la minore avesse ribadito la medesima volontà già espressa in sede giudiziale, riferendo di provare dolore al solo pensiero di sentire la nonna anche telefonicamente (“mi ricorda cose troppo brutte, soprattutto le grandi litigate con papa quando mamma stava male”). In ordine alla lamentata violazione del diritto della reclamante a mantenere rapporti significativi con la nipote (ribadito da ultimo con la novella di cui alla legge n. 219/2012) doveva essere richiamato, siccome condivisibile e meritevole di pieno recepimento, l’insegnamento della Suprema Corte, secondo cui le norme sul diritto dei minori di conservare “rapporti significativi con gli ascendenti non attribuiscono a questi ultimi un autonomo diritto di visita, ma introducono un elemento ulteriore di indagine e di valutazione nella scelta e nell’articolazione dei provvedimenti da adottare nella prospettiva di una rafforzata tutela del diritto del minore ad una crescita serena ed equilibrata. In altri termini era la prospettiva del minore, e non quella dell’ascendente, a dovere essere apprezzata e tutelata, in conformità ai principi generali vigenti in materia di provvedimenti relativi ai minori. Nel caso di specie, senza entrare nel merito delle reciproche accuse mosse tra le parti circa l’andamento dei rapporti anche precedente alla scomparsa della madre della piccola, restava il fatto certo e comprovato della volontà manifestata dalla bambina in più riprese di non voler vedere la nonna materna, quantomeno allo stato e salva ogni eventuale diversa determinazione della stessa minore che, se del caso, avrebbe dovuto essere recepita e rispettata nell’interesse della medesima, in attuazione del principio di diritto sopra richiamato. Alla soccombenza della reclamante conseguiva la condanna alla refusione delle spese di lite sostenute dalla controparte.
Avverso questo provvedimento la M. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, illustrato da memoria e notificato il 24.01.2014 al PG presso il giudice a quo ed il 23.01.2014 al N. , che il 28.02.2014 ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
A sostegno del ricorso la M. denunzia:
1. “Violazione e falsa applicazione dell’art. 155 sexies c.c. nonché della Convenzione di New York del 20.11.1989, ratificata in Italia con legge 27.5.1991, in punto di capacità di discernimento del minore, in relazione all’articolo 360 primo comma, n. 3 c.p.c.”.
La ricorrente sostiene che con la decisione impugnata è stato violato il disposto delle rubricate norme, in quanto l’audizione della minore, di età inferiore ai 12 anni, avrebbe dovuto essere preceduta da un’indagine sulla ricorrenza della sua capacità di discernimento, la quale non avrebbe potuto trovare riscontro nella sua età di otto anni e tre mesi all’epoca dell’ascolto e che comunque avrebbe dovuto essere approfondita tramite altri mezzi istruttori, quali eventualmente una c.t.u..
Il motivo non ha pregio, rivelandosi l’impugnata decisione aderente ai dati normativi e dotata di puntuali argomentazioni. L’audizione del minore infradodicenne presuppone (anche) che lo stesso sia capace di discernimento in relazione alla sua età ed al grado di maturità. Il riscontro di tale capacità è devoluto al libero e prudente apprezzamento del giudice e non necessita di specifico accertamento positivo d’indole tecnica specialistica, anticipato rispetto al tempo dell’audizione. Tale capacità, peraltro, non può essere esclusa con mero riferimento al dato anagrafico del minore, se esso non sia di per sé solo univocamente indicativo in tale senso, mentre può presumersi in genere ricorrente, anche considerati temi e funzione dell’audizione, quando si tratti di minori per età soggetti ad obblighi scolastici e, quindi, normalmente in grado di comprendere l’oggetto del loro ascolto e di esprimersi consapevolmente, come d’altra parte nella specie anche confermato dal tenore delle trascritte dichiarazioni rese dalla bambina d’età scolare, sia in sede giudiziale che nel corso della successiva indagine affidata dai giudici del reclamo ai servizi sociali.
“Violazione e falsa applicazione della Convenzione di Strasburgo del 25.01.1996, ratificata in Italia con la L. 20.3.2003 n. 77, in punto di preventiva informazione del minore sottoposto all’ascolto e della informazione allo stesso circa le conseguenze della decisione, in relazione all’articolo 360 primo comma, n. 3 c.p.c.”.
La ricorrente sostiene che la Corte d’ Appello si è limitato ad affermare che le dichiarazioni di Chiara “non sembrerebbero forzate” senza dare applicazione ai principi stabiliti dall’art. 3 della rubricata Convenzione, ed in particolare senza fornire alla minore preventive informative sulle ragioni del suo ascolto, sulle conseguenze della adottanda decisione e sulla conciliabilità del rapporto paterno con la frequentazione della nonna materna, in tesi mancate anche nel corso dell’indagine svolta in appello dai servizi sociali e di cui alla richiamata, depositata relazione. Si duole inoltre che i giudici del reclamo non abbiano ravvisato nelle dichiarazioni della nipote condizionamenti ed induzioni esterne, contrari alla ripresa del rapporto e delle frequentazioni con la nonna materna, e che non abbiano adeguatamente esaminato e valutato il contenuto, contraddittorio, superficiale ed incompleto, dell’acquisita relazione dei servizi sociali, acriticamente recepito.
Anche il secondo motivo del ricorso non merita favorevole apprezzamento.
La violazione del dettato normativo in punto di doverose informative da dare al minore, è smentita dalle stesse dichiarazioni, trascritte nel ricorso ed alle quali si rinvia, rese dalla bambina al giudice onorario delegato alla sua audizione, dal cui tenore emergono con evidenza anche confermate le doti, positivamente apprezzate dai giudici di merito, di percezione intellettiva oltre che di sensibilità della minore, ulteriormente riscontrabili nei trascritti passi della relazione stilata dagli operatori dei servizi sociali e nelle valutazioni ivi espresse, sulla base pure di specifiche competenze tecniche nella controversa materia.
Per il resto il motivo è inammissibile. Le residue doglianze non risultano in realtà involgere il rubricato piano normativo, come detto ineccepibilmente applicato, ma sostanziarsi in non decisive critiche, in parte anche apodittiche o nuove, comunque incentrate sulla motivazione dell’impugnata pronuncia ed in particolare sulle argomentate, ponderate valutazioni espresse dai giudici del reclamo e segnatamente sul compiuto apprezzamento sia delle esaminate dichiarazioni rese dalla minore, reputate attendibili, e sia del recepito esito dell’indagine affidata ai servizi sociali; tali doglianze, infatti, atteso l’evidenziato oggetto, sono divenute indeducibili in questa sede, ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 5 c.p.c. nel testo novellato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis (in tema, cfr., tra le altre, cass. SU n. 8053 e 8054 del 2014; cass. nn. 5133, 7983, 12928,16300 del 2014).
“Violazione e falsa applicazione dell’art. 2 legge 219/2012, in punto di legittimazione degli ascendenti a far valere il diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minori, in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 3 c.p.c.”.
La ricorrente sostiene in sintesi che i nonni sono ormai legittimati a fare valere il loro diritto a mantenere rapporti significativi coi nipoti e che, dunque, lei ha il diritto di mantenere le preesistenti frequentazioni con la nipotina, onde anche garantirle il sano sviluppo dell’importante, rapporto parentale.
Il motivo deve essere disatteso. La legittimazione ad agire della M. non è stata negata, per cui sul punto le censure sono inammissibile per difetto interesse; per il resto i giudici di merito hanno irreprensibilmente valorizzato l’interesse preminente della minore in riferimento alla situazione attuale, destinata ad evolversi nel tempo, con auspicabili diversi e positivi esiti.
“Violazione e falsa applicazione dell’art. 24 Cost. in punto di diritto ad agire in giudizio per la tutela dei propri diritti in ordine alla condanna della sig.ra M. alla rifusione delle spese legali, in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 5 c.p.c.”. Il motivo deve essere disatteso, essendo stato il regime delle spese ineccepibilmente ancorato alla regola legale della soccombenza, applicabile anche al procedimento di reclamo, definito con l’impugnato provvedimento.
Conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con condanna della soccombente M. al pagamento in favore del controricorrente N. , delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la M. al pagamento, in favore del N. , delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 3.500,00 per compenso ed in Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie ed agli accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 52, comma 5, del D.Lgs. n. 196 del 2003, in caso di diffusione della presente sentenza si devono omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.
Iscriviti alla Newsletter via WhatsApp