Cass. pen., sez. III, 08-03-2007 (17-01-2007), n. 121
Pres. Grassi Aldo – Rel. Squassoni Claudia – P.M. G. Izzo
Con sentenza 27 maggio 2004, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Livorno ha ritenuto [C.F.] responsabile del reato continuato di violenza sessuale ai danni della minore infraquattordicenne [E.] e concesse le attenuanti generiche ed applicata la diminuente del rito abbreviato, lo ha condannato alla pena di anni due, mesi due e giorni venti di reclusione oltre alle sanzioni accessorie; la sentenza è stata confermata dalla Corte di Appello di Firenze con decisione 24 ottobre 2005. I Giudici di merito hanno ritenuto attendibile e credibile il racconto accusatorio della giovane vittima ( di anni undici all’epoca del fatti), innanzi tutto, per le modalità espressive in sintonia con la sua età e per il contenuto delle sue dichiarazioni coerenti, logiche e corredate da numerosi dettagli che non possono essere il frutto di suggestione o invenzione; anche la consulente – hanno rilevato i Giudici – che ha esaminato la minore ha ritenuto attendibile la sua narrazione.
La Corte ha preso in considerazione la tesi della difesa secondo la quale [E.] era in rapporto di grave conflittualità con la madre ritenuta, nella errata convinzione che avesse una relazione sentimentale con l’imputato, la causa della separazione di genitori; in tale contesto, secondo la difesa. andavano inquadrati i fatti per cui è processo e le accuse che sono il frutto della colpevolizzazione della figura materna. e dello ingiustificato risentimento verso l’imputato. Per confutare tale prospettazione, la Corte ha rilevato come la giovane avesse percepito il vero circa la relazione tra la madre ed il [C.F.] e non fosse stata condizionata da suggestioni o induzioni degli adulti di riferimento; i Giudici hanno escluso che il padre o altri abbiano interferito sulle dichiarazioni della minore ed hanno ritenuto che la conflittualità familiare non potesse essere causa di inquinamento della sua attendibilità. La Corte non ha concesso la richiesta attenuante speciale, di cui all’art. 609 bis cp, osservando come la sfera sessuale della minore fosse stata invasa probabilmente in modo più grave di quanto risultava nel capo di imputazione.
Per l’annullamento della sentenza, ricorrono in Cassazione il Procuratore Generale della Repubblica e l’imputato. Il primo sostiene che la motivazione della sentenza è un esempio di pensiero “circolare” e trascura varie problematiche ed, in particolare: non tiene presente il clima di accesissima conflittualità parentale e le modalità di assunzione delle prime confidenze rese dalla minore in seguito a domande inducenti, suggestive e chiuse; non considera che le dichiarazioni della giovane nello incidente probatorio ( avvenuto a tre anni di distanza dai fatti, quando [E.] era stata ripetutamente sentita sugli episodi in esame) sono inquinate da un “insipiente malgoverno” delle sue precedenti audizioni: la costanza delle narrazioni può essere il frutto delle riproduzione di dichiarazioni indotte; sottovaluta la circostanza che mancano indicatori specifici di abuso sessuale e valorizza gli esiti della consulenza condotta con metodo inappropriato.
Nell’atto di ricorso, l’imputato deduce:
– che la motivazione della impugnata sentenza è apodittica, non affronta le confutazioni difensive e non esplicita la ragione per la quale sono inattendibili le prove contrarie;
– che la valutazione sulla credibilità delle accuse è stata demandata al consulente del Pubblico Ministero senza tenere conto delle diverse conclusioni di quello della difesa;
– che i Giudici non hanno usato quella cautela e quel rigore che, le dichiarazioni di minori vittime di reati sessuali esigono in particolare quanto costituiscono l’unica fonte probatoria;
– che l’esclusione di possibili condizionamenti sulla ragazza per il clima di conflittualità familiare e di elementi di sospetto per suggestioni o esaltazioni fantastiche si basa esclusivamente sul convincimento personale dei Giudici;
– che, nel non concedere la speciale attenuante, la Corte ha superato l’ambito della contestazione.
La particolare difficoltà che il caso pone si incentra nella circostanza che l‘unica voce accusatoria è rappresentata dalle dichiarazioni di una bambina che era in condizione di plateale conflittualità con la madre verso la quale nutriva un astio profondo come risulta da uno scritto agli atti e riportato in sentenza; il sentimento di rancore era originato dalla relazione della madre con l’imputato che la bambina percepiva quale causa della crisi familiare. Come nella quasi totalità dei reati sessuali, mancano testi o riscontri diretti alle accuse e, nel caso concreto, sono carenti nella bambina sintomi collegabili al trauma sessuale. La piccola presentava qualche disagio di equivoca genesi che ben può essere attribuito, come ha sostenuto l’imputato, alla situazione familiare ed alla separazione dei genitori; è noto che la risposta allo stress è aspecifica per cui le stesse reazioni emotive e comportamentali possono derivare sia dall’abuso sessuale sia dal conflitto genitoriale, sia da entrambi i fattori. In tale contesto – e correttamente i Giudici di merito hanno affidato la valutazione della minore ad un esperto il quale avrebbe dovuto fornire solo le indicazioni e gli strumenti sui quali fondare la decisione; il consulente avrebbe dovuto precisare quale fosse lo sviluppo psichico della minore, le sue capacità di comprendere i fatti e di rievocarli in modo utile ed indicare quali fossero le sue condizioni emozionali, indagare sulle dinamiche parentali e riferire come [E.] avesse percepito e vissuto gli episodi per cui è processo.
I Giudici, invece, hanno sostanzialmente demandato all’esperto il compito, che non è delegabile, di valutare la attendibilità della dichiarante ed, inoltre, non hanno preso in esame, neppure per confutarle, le differenti conclusioni del consulente della difesa. Ciò posto, si deve puntualizzare come nessuna emergenza giustifichi la conclusione che la bambina abbia architettato un consapevole mendacio per accusare l’imputato e, di riverbero, la madre (anche perché il racconto pare troppo bene strutturato per essere il frutto di una sua confabulazione) o che [E.] abbia ripetuto una trama narrativa calunniosa da altri predisposta. Tuttavia è prospettabile una residua alternativa, oltre a quelle ricordate e, cioè, che la bambina abbia frainteso la realtà dal momento che è stata l’involontario veicolo di altrui sospetti che ha convalidato dando vita ad un circolo vizioso di scambi comunicativi attraverso i quali il fraintendimento, anziché risolversi. è stato amplificato in modo esponenziale. Una tale ipotesi non è teorica stante il clima familiare in cui [E.] era inserita. E’ sperimentalmente dimostrato che un. bambino, quando è incoraggiato e sollecitato a raccontare, da parte di persone che hanno una influenza su di lui ( e ogni adulto è per un bambino un soggetto autorevole) tenda a fornire la risposta compiacente che l’interrogante si attende e che dipende, in buona parte, dalla formulazione della domanda.
Si verifica un meccanismo per il quale il bambino asseconda l’intervistatore e racconta quello che lo stesso si attende, o teme, di sentire; l’adulto in modo inconsapevole fa comprendere l’oggetto della sua aspettativa con la domanda suggestiva che formula al bambino. In sintesi, l’adulto crede di chiedere per sapere mentre in realtà trasmette al bambino una informazione su ciò che ritiene sia successo. Se reiteratamente sollecitato con inappropriati metodi di intervista che implicano la risposta o che trasmettano notizie, il minore può a poco a poco introiettare quelle informazioni ricevute, che hanno condizionato le sue risposte, fino a radicare un falso ricordo autobiografico; gli studiosi della memoria insegnano che gli adulti “raccontano ricordando” mentre i bambini “ricordano raccontando” strutturando, cioè, il ricordo sulla base della narrazione fatta. Una volta fornita una versione, anche indotta, questa si consolida nel tempo e viene percepita come corrispondente alla realtà. Tale accadimento è possibile perché la naturale propensione della mente umana è verificazionista; quando ci formiamo una idea, tendiamo naturalmente ed inconsapevolmente a confermarla attraverso l’acquisizione di nuove informazioni coerenti con la stessa ed a destinare un trattamento opposto a quei dati che sembrano andare in direzione contraria. Tale via non è stata percorsa dai Giudici di merito che sbrigativamente hanno escluso interferenze di adulti o elementi, comunque inquinanti la narrazione della giovane.
Come correttamente rilevato dal Procuratore Generale, non era importante avere come referente le asserzioni di [E.] al momento dell’incidente probatorio quando ormai i ricordi, veri o falsi che fossero, si erano consolidati per la loro reiterazione prolungata nel corso di tre anni. A questo punto era ormai impossibile discernere tra una memoria genuina ed una indotta. Nella valutazione della testimonianza di un bambino, le primissime dichiarazioni spontanee sono quelle maggiormente attendibili proprio perché non “inquinate” da interventi esterni che possono alterare la memoria dell’evento. Pertanto, importante era l’indagine sulla genesi delle prime narrazioni che, sempre opportuna quando il dichiarante è un minore, si imponeva nel caso dal momento che [E.] non si è confidata spontaneamente, ma su insistenza della nonna patema preoccupata per la situazione di disagio della nipote; inoltre, il contesto era fortemente a rischio di, pur involontarie, manipolazioni sulla minore per la ricordata conflittualità familiare e per i sentimenti negativi della bambina nei confronti della madre.
Nessuna verifica è stata effettuata per valutare la suggestionabilità di [E.] ad opera delle reiterate domande della nonna o per sondare le modalità con le quali la piccola è stata interrogata dai parenti e dal legale del padre che l’ha sentita in un clima di acceso contenzioso giudiziario. Solo all’esito di questa disamina si poteva escludere che la minore avesse subito interventi induttivi da parte dei suoi numerosi intervistatori (nonna, padre, operatori vari). Dopo il controllo sulla genuinità del racconto di [E.], si doveva procedere allo esame delle caratteristiche generali e dei contenuti delle dichiarazioni rese nel corso dello incidente probatorio; in assenza della ricordata verifica, anche la costanza e la coerenza del narrato potrebbe essere una conferma della ipotesi che [E.] ripeteva un canovaccio da altri suggerito. II Collegio sì rende conto che la analisi si prospetta non facile stante il lasso di tempo trascorso dai fatti e l’affievolirsi dei ricordi nei protagonisti della vicenda. Tuttavia la ricostruzione delle modalità con le quali la maieutica degli interroganti ha dato corpo alla narrazione di [E.], per la peculiare situazione in cui ha avuto origine la notizia di reato, si presenta con i connotati della necessità ed è la indefettibile premessa per concludere per l’attendibilità, o meno, della minore. Per le esposte ragioni, la Corte annulla la impugnata sentenza con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Firenze.
PQM La Corte annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Firenze.
Roma, 17 gennaio 2007
Il Presidente
L’estensore
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