Articolo scritto a “quattro mani” con la collega Caterina Steri, Psicologa-Psicoterapeuta.
Quando una coppia si separa di rado vengono usate dinamiche prive di conflitti e duri colpi da infliggere all’altra parte.
Sarebbe opportuno lasciare i figli fuori dai contrasti coniugali e assicurare loro che anche se non verrà tenuto più il ruolo di coniugi, quello dei genitori non cesserà. Così facendo, si renderebbe la situazione meno dolorosa, seppur difficile. La maggior parte delle volte si presenta invece una situazione di alta conflittualità in cui i figli vengono usati come armi per ferire l’altro e non vengono protetti da situazioni in cui non dovrebbero essere coinvolti.
Pur di non ammettere una responsabilità reciproca nella rottura della relazione si tende a incolpare l’altro della fine del rapporto e su di esso inevitabilmente viene riversata la rabbia per il suo fallimento. Non viene contemplata l’idea che così come la coppia in passato si è formata grazie al contributo di entrambe le parti, allo stesso modo si separa per conseguenza di dinamiche comportamentali create in due. Ammetterlo significherebbe mettersi in gioco e riconoscere di fronte all’altro e a se stessi di aver fatto degli errori.
Ciò contribuirebbe a distruggere l’idea di sé come bravo coniuge costruita sino a quel momento. La conseguenza più frequente e “semplice” è quindi quella di dar le colpe all’altro, senza concedere spazio alla comunicazione e ai compromessi. Nei casi in cui a far da padrona è la gelosia vengono attuati meccanismi di controllo sull’altro. La rottura non viene accettata perché si pensa di non poter andare avanti da soli o non si accetta una “ribellione” al rapporto. Oppure, pensando di poter risanare la situazione e per paura di essere abbandonati, si subissa il coniuge di domande, telefonate, lo si pedina e spesso si usano i figli per spiarlo o per costringerlo a rimanere a casa, non tenendo conto che così si può solo contribuire ad allontanarlo ulteriormente.
“Come faranno i bambini senza di te?” E’ una domanda frequente per insidiare il senso di colpa in chi vuole lasciare il tetto coniugale. Una scarsa autostima fomenta il pensiero di non poter stare soli, di non averne le capacità. Ogni mezzo è lecito pur di non rompere il legame. La convinzione è che sia meglio tenerlo in piedi seppure di scarsa qualità, che stare soli.
Quando ciò non è possibile diventano frequenti i dispetti e i tradimenti. Il dolore e il risentimento verso l’altro diventano accecanti e l’amore e la protezione per i figli passano in secondo piano perchè l’obiettivo principale diventa la bramosia di voler punire e vendicarsi del proprio ex. I figli non vengono risparmiati dall’assistere ai litigi, alle lotte all’ultimo sangue sulla divisione dei beni, vengono privati dal punto di vista affettivo e trasformati in merce di scambio per ferire e ricattare l’altra parte. Nei casi più gravi vengono addirittura colpevolizzati della rottura del legame coniugali. Per non parlare delle battaglie per l’affidamento dei minori che purtroppo non sono altro che un alibi per scambiarsi accuse reciproche. (Caterina Steri)
L’affidamento della prole rappresenta, infatti, il pretesto principale per condurre l’ex coniuge in tribunale. Per far valere i propri diritti di padre/madre gli ex coniugi si fanno assistere dagli avvocati di fiducia che, spesso e volentieri, invece di cercare di attenuare le dinamiche conflittuali, alimentano le ostilità a “vantaggio” del proprio cliente, ma a danno esclusivamente dei minori coinvolti.
La battaglia legale può durare anche mesi o anni, ma solitamente il Giudice “esausto” delle beghe delle parti coinvolte nel procedimento, decide di nominare un Consulente Tecnico di Ufficio (CTU) come suo ausiliario di fiducia, al quale pone dei quesiti specifici che, di solito, tendono ad indagare il profilo psicologico e l’idoneità genitoriale degli ex coniugi, le dinamiche all’interno della famiglia (padre-madre- minori), il miglior regime di visite e quale tipologia di affidamento è consigliabile nell’interesse esclusivo del minore.
Come si può notare, il Giudice si avvale della professionalità di un esperto (solitamente Psicologo o Neuropsichiatra infantile) per effettuare una consulenza dettagliata sul caso e, quindi, acquisire maggiori informazioni “specialistiche” al fine di esprimere un giudizio e prendere le decisioni migliori. Il tutto per tutelare i minori coinvolti. Il tempo medio di una CTU è di 60 giorni in cui l’esperto effettua una serie complessa di incontri e colloqui, anche con il minore che dipendentemente della sua età deve essere ascoltato per poter esprimere il proprio punto di vista sull’intera vicenda.
Il CTU, dunque, gestisce e conduce l’intera consulenza tecnica “sorvegliato” e monitorato dai Consulenti Tecnici di Parte (CCTTPP), uno per il padre, uno per la madre. Essi hanno il compito di collaborare alla consulenza tecnica assistendo a tutti gli incontri e, se è il caso, muovere delle critiche relative alla metodologia utilizzata dal CTU. Dunque, tre esperti che dovrebbero avere come unico scopo l’interesse esclusivo del minore. Infatti, seppur di parte, il CTP dovrebbe avere come obiettivo la tutela del minore, ammonendo e cercando di modificare atteggiamenti poco collaboranti del proprio cliente.
Un esempio è il caso della cosiddetta Alienazione Parentale (già PAS – Sindrome di Alienazione Parentale) che si manifesta quando un bambino si allea fortemente con un genitore (il preferito) e rifiuta la relazione con l’altro genitore (alienato) senza motivazioni apparentemente giustificate, ma causate da una vera e propria campagna denigratoria, diretta ed indiretta, messa in atto da un genitore (solitamente la madre) nei confronti dell’ex coniuge.
L’Alienazione Parentale, nei casi gravi, può portare a danni psicologici molto significativi, come, ad esempio, la rottura del legame affettivo tra genitore alienato e figlio. Molto spesso l’intervento della Consulenza Tecnica di Ufficio può svelare queste dinamiche all’interno del nucleo familiare, ma capita frequentemente che l’intervento possa risultare tardivo.
Scopo della CTU è anche smuovere e scardinare lo status quo in cui si trova la coppia genitoriale, impantanata nelle rivendicazioni e nelle ostilità per via di fatti legati al passato. Si litiga continuamente mettendo da parte l’interesse dei figli che, nelle separazioni altamente conflittuali che, come già detto, rappresentano mero strumento utilizzato per colpire l’ex coniuge.
I poveri figli assistono inermi alla “follia” dei genitori, alla rabbia accecante che muove il conflitto in cui l’unico perdente è il minore.
Una coppia può facilmente separarsi legalmente e fisicamente, ma non affettivamente, compito ben più arduo e complesso.
Infatti la coppia che litiga e continua a litigare, paradossalmente, non fa altro che continuare a rimanere legata.
Chi vuole realmente separarsi, ci riesce, seppur con tante difficoltà.
Il conflitto, invece, è un modo altro per non lasciarsi mai. (Marco Pingitore)
Articolo a cura di Caterina Steri e Marco Pingitore.
Articolo sul Blog di Caterina Steri
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