A cura di Giovanni Lopez, Psicologo Clinico e Giuridico de La Casa di Nilla
La tristissima vicenda di Parco Verde a Caivano (NA), che registra la morte di due bambini e sospetti abusi sessuali su essi ed altri, sta sollecitando l’intervento mediatico di psicologi e neuropsichiatri infantili, molti dei quali intenti a spiegare come riconoscere i segnali di traumatizzazione da abuso sessuale che i bambini manifesterebbero attraverso specifici comportamenti, disegni o test, non essendo spesso in grado di raccontarli a parole. Sebbene si possa ritenere che l’intento di questi esperti sia di aiutare le piccole e vulnerabili vittime ad uscire dal dramma che vivono, la modalità con cui propongono di pervenirvi contiene alcuni pericolosi bias metodologici, già in passato forieri di clamorosi errori giudiziari.
Emblematico, tra gli altri, l’esito della vicenda delle presunte violenze sessuali contro i bambini della scuola Rovere di Rignano Flaminio conclusosi, dopo anni di processi, con l’assoluzione in appello degli imputati ed una pressoché inevitabile vittimizzazione secondaria delle presunte vittime. Nondimeno, l’insistenza di psicologi e neuropsichiatri nel ricorrere a disegni, test ed indicatori comportamentali per pervenire alla rivelazione dell’abuso sessuale spesso induce i magistrati a formulare quesiti peritali volti a far “validare” l’ipotesi accusatoria proprio attraverso questi mezzi impropri.
L’inappropriatezza di un simile modus operandi è ben descritta dalla “Carta di Noto”, ovvero dalle Linee guida per l’esame del minore in caso di abuso sessuale, redatte da esperti appartenenti a diverse società scientifiche e coordinati dall’Istituto Superiore Internazionale di Scienze Criminali (ISISC).
All’articolo 11 della Carta di Noto si legge:

I test e i disegni non sono utilizzabili per trarre conclusioni sulla veridicità dell’abuso. Non esistono, ad oggi, strumenti o costrutti psicologici che, sulla base di teorie accettate dalla comunità scientifica di riferimento, consentano di discriminare un racconto veritiero da uno non veritiero, così come non esistono segnali psicologici, emotivi o comportamentali attendibilmente assumibili come rivelatori o “indicatori”’ di una vittimizzazione sessuale o della sua esclusione.

Tale assunto, ripreso da diversi altri documenti scientifici in materia di violenza sessuale contro bambini ed adolescenti, dovrebbe di per sé bastare in sede psicoforense ad indurre gli esperti ad approcciare il bambino-testimone con metodologie altre, facenti capo a specifici protocolli di intervista. Detti protocolli, quali la Step-Wise Interview, l’Intervista Cognitiva, il protocollo di intervista di Cheung e l’NICHD, muovono da un presupposto falsificazionista anziché verificazionista, ovvero non “utilizzano” il bambino come fonte di validazione di un’ipotesi giudiziaria, ma lo accolgono come portatore di un’esperienza propria che deve essere messo in condizioni di verbalizzare senza intenti o rischi suggestivi ai quali, per sua natura, sarebbe altresì fortemente vulnerabile.
Tuttavia l’accoglibilità in sede giudiziaria delle linee guida previste dalla Carta di Noto è oggetto di accesa controversia. La sentenza della Corte di Cassazione, Sez. III Penale, n. 46176/14, ricorda che l’inosservanza della Carta di Noto durante l’esame del bambino vittima di abusi sessuali non determina la nullità o l’inutilizzabilità della prova, né è motivo di inattendibilità delle dichiarazioni, sebbene possa tradursi in un vizio di motivazione. In sostanza, le linee guida non possono assumere particolare valenza in fase di assunzione estrinseca della prova, ma solo nella successiva fase di sua valutazione.
Pertanto, se la Cassazione consente il ricorso a metodiche di assunzione della prova testimoniale dei bambini non condivise da una considerevole ed autorevole parte della comunità scientifica, cosa dovrebbe spingere gli scettici o i detrattori della Carta di Noto a rivedere la validità di disegni, test ed indicatori comportamentali quali “testimonianze” di abusi sessuali subiti da piccole vittime? Loro stessi. Basterebbe, infatti, coinvolgere gli esperti in un esperimento di verifica della fondatezza dei loro assunti.
In sostanza, bisognerebbe sottoporre ad un campione di esperti l’esame alla cieca di due gruppi di test, disegni e descrizioni di comportamenti, appartenenti a bambini per i quali sia stato accertato l’abuso ed a bambini certamente non abusati. Laddove gli esperti, valutando indipendentemente l’uno dall’altro i materiali, dovessero attribuirli correttamente ai rispettivi autori, ciò dimostrerebbe “al di là di ogni ragionevole dubbio” la fondatezza scientifica e giuridica del ricorso a test, disegni e indicatori comportamentali quali “metodologia di validazione dell’abuso”.

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