L’audizione protetta nei casi di presunti abusi sessuali sui minori. Funzione e limiti.
A cura di Giovanni Battista Camerini *, Marco Pingitore **, Giovanni Lopez ***
1. Introduzione
Con il termine “audizione protetta” viene usualmente identificata l’escussione di un minore presunta vittima di maltrattamento o abusi sessuali nella fase dell’incidente probatorio che può essere richiesto nel corso delle indagini preliminari o udienza preliminare dal Pubblico Ministero o dall’indagato/imputato. L’incidente probatorio «rappresenta un’assunzione anticipata di una prova (art. 392 c.p.p.), quando vi siano ragioni di urgenza o ricorra il rischio di pregiudizio della prova se rinviata alla fase naturale del dibattimento» (Cirio et al., 2012).
L’audizione protetta comprende anche l’acquisizione di sommarie informazioni testimoniali (SIT). Come specificano le Linee Guida per l’ascolto del minore testimone della Questura di Roma (2011), da alcuni anni in Italia si sta diffondendo la cultura di effettuare in forma protetta anche questo primo ascolto di bambini o adolescenti presunte vittime di abuso sessuale e/o maltrattamento. In sintesi, invece di far condurre l’ascolto direttamente dal poliziotto o dal carabiniere in questura o in caserma o presso l’Ufficio del PM, il bambino o l’adolescente viene ascoltato in una struttura idonea da un esperto che svolge il ruolo di ausiliario di Polizia Giudiziaria.
Si raccomanda che l’audizione avvenga il più tempestivamente possibile, ovvero subito dopo l’avvenuta segnalazione. Tale modalità garantisce la tutela del bambino o adolescente nei termini sia di rendere l’ascolto il meno stressante possibile, sia di raccogliere la testimonianza secondo metodi e procedure efficaci e corrette, in modo che venga ridotto il numero delle interviste ed evitando fenomeni di rielaborazione e di contaminazione. Inoltre, trovandoci nella prima fase delle indagini, tale deposizione risulta a volte fondamentale per le Forze dell’Ordine per riconoscere i luoghi, le persone coinvolte nei fatti, ecc. e quindi per procedere nelle indagini. Per questo risulta ancora più utile che la raccolta delle informazioni sia condotta attraverso una modalità non suggestiva né inducente e tale da non turbare la serenità del bambino.
La raccolta della testimonianza minorile, in questo genere di casi, è molto complessa e dovrebbe seguire prassi ben strutturate e scientificamente valide. Così l’art. 7 della Carta di Noto (2011):
«Le dichiarazioni del minore vanno sempre assunte utilizzando protocolli d’intervista o metodiche ispirate alle indicazioni della letteratura scientifica, nella consapevolezza che ogni intervento sul minore, anche nel rispetto di tutti i canoni di ascolto previsti, causa modificazioni, alterazioni e anche perdita dell’originaria traccia mnestica. Le procedure d’intervista devono adeguarsi, nella forma e nell’articolazione delle domande alle competenze cognitive, alla capacità di comprensione linguistica (semantica, lessicale e sintattica), alla capacità di identificare il contesto nel quale l’evento autobiografico può essere avvenuto, alla capacità di discriminare tra eventi interni ed esterni, nonché al livello di maturità psico­affettiva del minore. Un particolare approfondimento dovrà essere effettuato in ordine all’abilità del minore di organizzare e riferire il ricordo in relazione alla complessità narrativa e semantica delle tematiche in discussione e all’eventuale presenza di influenze suggestive, interne o esterne, derivanti dall’interazione con adulti».
L’audizione protetta dovrebbe quindi soddisfare diverse esigenze:
1) secondo il principio di legalità, favorire l’acquisizione di testimonianze genuine, ovvero scevre da suggestioni, pressioni, induzioni o condizionamenti, secondo le regole del giusto processo e le disposizioni contemplate dall’articolo 8, comma 6 del Protocollo della Convenzione di New York ratificato l’11 marzo 2002 e dall’articolo 30, comma 4 della Convenzione di Lanzarote ratificata in data 19 gennaio 2010;
2) preservare il minore da rischi di vittimizzazione secondaria derivanti da interviste ripetute e/o eccessivamente intrusive, insistite ed affaticanti.
2. Setting dell’audizione protetta
L’escussione del minore dovrebbe avvenire in uno spazio neutro, un luogo che non corrisponda all’abitazione del minore né tantomeno ad una stanza/aula di un Tribunale, seppur predisposta nella maniera più accogliente possibile.
Lo spazio neutro dovrebbe essere collocato presso una struttura (pubblica o privata) specializzata ad hoc per questo genere di operazioni delicate. Nello specifico, da due stanze collegate da vetro-specchio unidirezionale o da monitor e da impianto di videoregistrazione a circuito chiuso. In una stanza viene collocato il minore con l’esperto per l’escussione; nell’altra stanza, nel caso dell’incidente probatorio, tutte le figure coinvolte, tra cui giudice, cancelliere, avvocati, consulenti tecnici di parte, indagato, collaboratori vari, agenti di polizia penitenziaria.
Da questa stanza è possibile vedere ed ascoltare il minore durante l’escussione, riducendo così al minimo il rischio di interferenza e contaminazione durante la narrazione.
Nella nostra pratica forense, riscontriamo spazi neutri arredati con molti giocattoli a disposizione del minore, disegni affissi alle pareti della stanza, tavoli e sedie per bambini, carta e pennarelli pronti per essere utilizzati.
L’idea sottostante a questa tipologia di arredamento è fornire massima disponibilità al minore nella fase di familiarizzazione per metterlo maggiormente a suo agio e ridurre eventuali stati di ansia dovuti all’imminente escussione.
Tuttavia il rischio è distrarre troppo il minore e soffermarsi troppo sulla fase di “gioco” iniziale con la concreta possibilità di far fatica a riportare il minore ad un livello di realtà (l’intervista). Impiegare, infatti, troppo tempo nella fase della costruzione del rapporto attraverso il gioco potrebbe essere, in taluni casi, controproducente.
Una stanza essenziale con un paio di divani, un tavolo e qualche sedia, senza la presenza di giochi e disegni, potrebbe già risultare sufficiente per l’obiettivo dell’incontro, anche perché si ridurrebbe il rischio che il minore possa autonomamente, durante l’escussione, prendere i giochi dagli scaffali e distrarsi.
Alla luce di questi aspetti, si potrebbe ipotizzare la fase del gioco iniziale e ambientazione in un’altra stanza diversa da quella utilizzata per l’escussione, così da mantenere differenziati gli spazi: in una stanza il minore attende l’audizione, avendo a disposizione giocattoli, carta e matite ecc.; nell’altra si effettua l’intervista.
3. Il ruolo dell’esperto nell’audizione protetta
Esiste un dibattito molto acceso sul profilo dell’esperto incaricato dal giudice ad escutere il minore. Quali competenze professionali deve possedere? Che cosa deve fare esattamente ed in che modo? Quali poteri ha?
Domande che aprono discussioni e confronti tra i vari addetti ai lavori, spesso senza trovare una soluzione condivisa.
Così cita l’art. 1.3 delle Linee Guida Nazionali – L’ascolto del minore testimone (2010):
«L’esperto coinvolto in un accertamento tecnico deve essere in grado di dimostrare la specifica competenza in tema, da intendersi sia come conoscenza delle fondamenta scientifiche delle diverse discipline coinvolte sia dei criteri di riferimento giuridici. Deve essere inoltre in grado di produrre notizia documentata sulla sua specifica esperienza in ambito forense, sul suo curriculum formativo nel settore e su quello scientifico, incluse le eventuali pubblicazioni sull’argomento».
Mentre per quanto riguarda il Codice di Procedura Penale, l’art. 498 co. 4 cita:
«L’esame testimoniale del minorenne è condotto dal presidente su domande e contestazioni proposte dalle parti. Nell’esame il presidente può avvalersi dell’ausilio di un familiare del minore o di un esperto in psicologia infantile. Il presidente, sentite le parti, se ritiene che l’esame diretto del minore non possa nuocere alla serenità del teste, dispone con ordinanza che la deposizione prosegua nelle forme previste dai commi precedenti. L’ordinanza può essere revocata nel corso dell’esame».
L’art. 35 comma c della legge 172/12 di ratifica della convenzione di Lanzarote indica la necessita che l’audizione sia condotta da un esperto, limitando però questo vincolo all’audizione condotta dal pubblico ministero in sede di SIT e non estendendola al giudice1. Quest’ultimo ha facoltà di esaminare direttamente il minore oppure «può avvalersi dell’ausilio di un familiare del minore o di un esperto in psicologia infantile».
La scelta di un familiare è caldamente sconsigliata dalla comunità scientifica, considerata l’influenza che potrebbe esercitare sul minore stesso. Prendiamo come esempio una madre che presenzi all’escussione del figlio in un caso in cui la rivelazione del presunto abuso sia avvenuta all’interno delle dinamiche conflittuali della coppia genitoriale separata legalmente e in disputa per ottenere l’affidamento della prole. Il rischio di un inquinamento della prova dichiarativa risulterebbe molto alto. Gulotta e Cutica (2009, p. 24) parlano di “SAID Syndrome” per indicare «quel fenomeno particolare delle accuse di abuso sessuale che un genitore fa all’altro all’interno o alla fine di una causa di divorzio, ossia quel fenomeno che accade quando la famiglia è disfunzionale».
La soluzione migliore sarebbe la sola presenza del minore nella stanza insieme all’esperto, senza alcun familiare. Potrebbe capitare che il minore richieda con insistenza la presenza della madre durante l’escussione, diritto che difficilmente potrebbe essergli negato. In questi casi occorrerebbe ridurre al minimo il rischio di interferenza, posizionando la madre in una parte della stanza in cui non viene direttamente a contatto visivo con il figlio e pregandola di rimanere in silenzio.
L’escussione diretta da parte del giudice è prevista dal codice di procedura penale anche se egli, solitamente, non possiede competenze specifiche in materia di psicologia della testimonianza minorile. E’ per questo motivo che risulterebbe indispensabile la figura di un esperto appositamente specializzata per la raccolta della testimonianza.
L’esperto, come riferito dalla norma, è individuato quale “esperto in psicologia infantile” o nei casi delle indagini preliminari “esperto in psicologia o psichiatria infantile”.
I termini “esperto in psicologia”, “esperto in psicologia infantile” “esperto in psichiatria infantile” lasciano adito alle più svariate interpretazioni, spesso fuorvianti. Premesso che l’unica figura preposta all’ascolto del minore dovrebbe essere uno psicologo o uno psichiatra/neuropsichiatra infantile, tuttavia la sola laurea in queste discipline non garantisce una competenza specifica in materia di psicologia della testimonianza che viene acquisita attraverso corsi, master e specializzazioni specifiche nella materia di oggetto.
Secondo Cavedon (2001, p. 475), addirittura, «non è sufficiente, né indispensabile una laurea in psicologia per interrogare correttamente un bambino, ci vuole una specifica formazione a farlo».
La figura del tecnico-psicologo risulta «fondamentale per la prova, che richiede una adeguata specializzazione della categorie degli esperti in un psicologia giuridica ed una loro stretta integrazione, anche culturale, con gli organi giudiziari» (Recchione, 2013, p. 18).
Per intenderci, la sola competenza clinica in psicologia, psichiatria o neuropsichiatra infantile non presuppone una conoscenza e specializzazione nell’utilizzo dei protocolli di intervista che, come vedremo in seguito, dovrebbero essere gli unici strumenti da utilizzare nelle audizioni del minore.
Uno psicologo (o un neuropsichiatra infantile), magari specializzato in psicoterapia, noto esperto nell’ambito clinico, potrebbe non possedere le competenze specifiche richieste in quest’ambito che, lo ricordiamo, è psico-forense.
Il professionista incaricato all’escussione del minore dovrebbe possedere una specializzazione in psicologia giuridica (psichiatria/neuropsichiatria infantile forense), nello specifico in psicologia della testimonianza minorile. Tale specializzazione risulta di gran lunga preferibile rispetto ad una generica competenza in tema di abusi all’infanzia, ad esempio presente in psicologi o psichiatri infantili appartenenti alle équipes specialistiche deputate dalle aziende sanitarie alla presa in carico clinica di minori vittime di violenze fisiche o sessuali. Qualora tali figure non posseggano una specifica preparazione all’ascolto testimoniale, sussiste il rischio che esse assumano con il minore un atteggiamento “verificazionista” rispetto all’ipotesi di abuso, contrario ai principi del giusto processo.
Capita spesso, tuttavia, che il giudice voglia presenziare nella stanza insieme al minore e all’esperto con il solo scopo di osservare oppure intervenendo con domande dirette al minore. Una procedura tecnicamente possibile, ma fortemente sconsigliata poiché potrebbe aumentare il rischio di interferenza e influenzamento durante l’audizione. Il giudice, previo pre-accordo, dovrebbe lasciare libertà di manovra all’esperto che è tenuto comunque a garantire un confronto con il suo committente nelle forme che illustreremo nel paragrafo successivo.
Di contro Carponi Schittar e Rossi (2012, p. 85) ritengono che «l’intervista del minore debba essere condotta dal giudice, sebbene, tale parere, non sia condiviso da molti giuristi o esperti in materia, che vorrebbero, invece, attribuire al perito il compito di formulare le domande al bambino». Gli autori sostengono che l’incidente probatorio debba avvenire all’interno dell’iter peritale, nella cosiddetta “perizia bifasica”.
4. Come si svolge l’audizione protetta
Premesso che la migliore prassi, come indicato nel paragrafo precedente, sia quella di utilizzare uno spazio neutro (due stanze più quella di accoglienza) per svolgere l’incidente probatorio, l’audizione dovrebbe avvenire in modo ben strutturato, seguendo delle linee guida chiare e già pianificate precedentemente all’arrivo del minore. L’improvvisazione dovrebbe lasciare spazio alla organizzazione di tempi e spazi. Infatti (Bull, 2012, p. 276) «le interviste non dovrebbero essere condotte senza un’adeguata pianificazione, i bisogni di un bambino, di ogni intervista e dell’intervistatore possono essere diversi da un’intervista ad un’altra».
4.1 L’arrivo del minore
L’arrivo differenziato del minore rispetto agli altri partecipanti consente di evitare la possibilità che egli possa incontrarsi con il presunto abusante e con gli altri soggetti.
Il minore si accomoda nella stanza di accoglienza. L’accoglienza dovrebbe essere gestita da un collaboratore dell’esperto che impedisca interferenze sul bambino e sia in grado di soddisfare eventuali esigenze e bisogni del minore (bere, riposare, andare in bagno ecc.).
4.2 L’arrivo del giudice e delle altre figure
Questo momento dovrebbe essere differenziato, come già esposto, rispetto all’arrivo del minore. Giudice, avvocati, consulenti ecc. si fanno accomodare nella stanza allestita con vetro-specchio (ove presente) e monitor. E’ importante che nessuna di queste figure entri in contatto casuale con il minore che continua a rimanere nell’altra stanza.
4.3 Regole pre-audizione
L’esperto incaricato dal giudice, ricevuto l’incarico (come ausiliario o perito qualora in seguito gli venga affidata anche la perizia psicologica), illustra al giudice ed ai presenti la propria metodologia:
conoscere solo alcune informazioni essenziali sul caso: nome ed età del minore, contesto ed epoca in cui si sarebbe verificato l’abuso e da chi sarebbe stato perpetrato;
entrare da solo nella stanza con il minore per svolgere l’audizione.
La conoscenza di poche informazioni essenziali dovrebbe garantire maggiore imparzialità e ridurre al minimo il rischio di un’eventuale tendenza al verificazionismo da parte dell’esperto, evitando così la costruzione di una propria ipotesi in merito alla sussistenza dell’accusa che potrebbe anche inconsapevolmente pregiudicare l’intera audizione (Balabio, 2014, p. 236).
L’utilizzo corretto dei protocolli di intervista dovrebbe essere più che sufficiente al fine di ottenere le informazioni necessarie e richieste dal giudice e dalle parti.
Come esposto, l’esperto dovrebbe essere messo nelle condizioni di escutere da solo il minore, senza la presenza di altre figure (familiare o giudice). Una volta ascoltato il minore sui presunti fatti, l’esperto fa ritorno nella stanza del giudice per chiedere se vi sia la necessità di ulteriori approfondimenti. E’ in tale fase che si potrà attuare la fase di controesame, confrontando il teste con eventuali contraddizioni o incoerenze del suo racconto.
Quindi, come si può evincere, sconsigliamo l’utilizzo di auricolari, citofoni e mezzi tecnologici in grado di collegare l’esperto con l’autorità giudiziaria. Questi ausili tecnici possono risultare fortemente condizionanti e rappresentare fonte di distrazione per tutte le figure presenti.
Così le linee guida CSM-Unicef “L’ascolto dei minorenni in ambito giudiziario” (art. 4.2, p. 72): «(…) Non è stato ritenuto adeguato il ricorso all’impianto citofonico e alle cuffie. “Guidare” l’intervistatore attraverso un contatto fonico continuo e diretto con le parti (che si trovano nella stanza separata) può infatti causare lo scollamento di chi intervista dal contesto relazionale dell’audizione».
Una delle migliori modalità sperimentate in concreto è apparsa quella di effettuare un esame “preliminare” che prescinde da indicazioni preventive delle parti, affidando, a chi conduce l’audizione, la prima esplorazione dei temi rilevanti. Segue la fase in cui alle parti deve essere assicurato, seppur attraverso la mediazione di un terzo, l’”accesso” alla fonte testimoniale. Chi conduce l’esame dovrà, quindi, raccogliere le indicazioni delle parti sui temi di prova che intendono esplorare in aggiunta: attraverso tale attività si attua, di fatto, il contraddittorio.
In sintesi:
l’esperto non conosce il caso ed escute il minore dopo aver acquisito solo informazioni minime ed indispensabili;
nessun utilizzo di ausili tecnici: l’esperto dopo aver escusso il minore, rientra nella stanza dell’autorità giudiziaria per chiedere se vi siano ulteriori domande da effettuare al minore.
4.4 L’escussione del minore
La raccolta della testimonianza del minore dovrebbe avvenire attraverso l’utilizzo dei protocolli di intervista codificati e suggeriti dalla comunità scientifica: NICHD, Step-Wise Interview, Intervista Cognitiva Modificata. L’incidente probatorio o l’acquisizione di informazioni testimoniali (SIT) non hanno alcuna finalità clinica, quindi l’esperto non deve colloquiare con il minore per ricavare dall’intervista “indicatori” relativi alle sue condizioni psicologiche.
In merito alla conduzione dell’intervista, così si esprimono le Linee Guida Nazionali sull’ascolto del minore testimone (art. 4.9): «Creare un buon rapporto con il minore è premessa per un’efficace comunicazione. L’empatia rappresenta una qualità dell’atteggiamento dell’intervistatore atta a favorire la comunicazione ma non può divenire strumento diagnostico preponderante in un contesto giudiziario».
Con questa precisazione si intende sottolineare che non è congruo invocare in questa sede l’applicazione di un “ascolto empatico”, qualificandolo come via “maestra” per pervenire ad una corretta assunzione della prova dichiarativa. L’ascolto dovrà invece essere il più possibile neutrale, cercando di massimizzare le informazioni e minimizzando lo stress.
Secondo Yuille, Cooper e Hervé (2009, p. 126):
«bisogna operare una netta distinzione tra colloqui terapeutici e interviste investigative. A colui che svolge un’intervista investigativa viene richiesto di essere obiettivo, di mantenere una posizione neutrale rispetto alle accuse sottoposte ad inchiesta. Al contrario, il terapeuta si occupa non della realtà storica delle accuse quanto della loro realtà soggettiva. Il terapeuta deve sentirsi libero di essere direttivo ed evocativo, l’intervistatore no».
L’obiettivo dell’audizione protetta è raccogliere tutte le informazioni possibili sui presunti fatti, senza indagare su altri episodi o evincere informazioni non inerenti al caso.
Compito dell’esperto è facilitare il racconto del minore, riducendo al minimo il rischio di suggestionarlo con domande induttive e cercando di evitare atteggiamenti preconcetti (bias) che potrebbero compromettere l’intera audizione.
A tal proposito, così Gulotta e Cutica (2009, p. 80): «La tendenza al verificazionismo implica che i professionisti che si occupano di abusi, se giudicano altamente probabile che dietro ogni denuncia si nasconda un abuso reale, allora tendano a sostenere che l’abuso si è verificato costruendo una sorta di barriere protettiva di fronte a controfatti».
L’esperto utilizza, in tutte le fasi dell’iter giudiziario, «protocolli di intervista standardizzati, secondo modelli semistrutturati disponibili nella letteratura specialistica internazionale» (Camerini, 2006, p. 758) e li adatta hic et nunc alle caratteristiche del minore.
Non a caso è prevista una prima fase di familiarizzazione in cui minore ed esperto si presentano e si conoscono, attraverso argomenti e domande “neutre” che nulla hanno a che fare con i presunti fatti.
Si pone spesso il problema di quali informazioni preliminari debbano essere fornite al minore.
Ciò dipenderà in primo luogo dalla sua età: se con un adolescente o un preadolescente occorre illustrare le qualifiche dell’intervistatore (oltre che del giudice) e dei soggetti che si trovano nell’altra stanza, con bambini più piccoli è preferibile evitare riferimenti precisi che rischiano di non essere compresi e di indurre confusione o spavento. Nel nostro codice non è previsto che il minore presti giuramento (se minore di anni 14); risulta tuttavia opportuno spiegare al minore che dovrà (Camerini e Lopez, 2008):
– dire la verità;
– raccontare solo quello che si ricorda,
e che sarà libero di:
– dire che non si ricorda;
– correggere l’intervistatore e domandargli chiarimenti.
Vanno assolutamente evitati riferimenti al ruolo del giudice (ad es., come persona che “aiuta i bambini” o “punisce quelli che hanno fatto male ai bambini”) nella misura in cui possono risultare induttivi fornendo una connotazione a priori delle azioni di cui si sollecita la narrazione.
I bambini più piccoli (Gulotta e Cutica, 2009, p. 192) «non sono abituati a parlare con estranei; è importante dedicare del tempo a discutere con il bambino di argomenti neutri».
Questa fase è utile ad entrambi per creare il rapporto, nello specifico al minore per ambientarsi e all’esperto per comprendere chi ha davanti e, quindi, regolare e pianificare l’intervista successiva.
Successivamente a questa prima fase di conoscenza, inizia la vera e propria raccolta delle informazioni sui presunti fatti con il primo racconto libero e le successive eventuali domande di approfondimento.
Soprattutto con i bambini più piccoli (Liberatore, 2014, p. 175) «è necessario contenere il più possibile anche il tempo dell’intervista e consentire in ogni caso pause e interruzioni laddove il bambino lo richieda o appaia affaticato o sofferente».
Una volta terminato il racconto e quando l’esperto ritiene che tutti i presunti fatti siano stati riferiti, il minore rimane nella stanza (preferibilmente, in base all’età, l’esperto viene sostituito da una figura neutra che fa compagnia al minore) per qualche minuto mentre l’esperto si reca nella stanza del giudice al fine di ricevere eventuali richieste di approfondimenti.
E’ importante, durante l’audizione, non utilizzare l’ausilio di bambole, pupazzi, disegni per facilitare il racconto sui presunti fatti. Questi strumenti lascerebbero troppo spazio ad interpretazioni difficilmente controllabili e obiettivamente verificabili. Sartori (2010, p. 158) sostiene che «elementi che, se anche possono essere utili in campo clinico, in ambito forense possono rivelarsi poco obiettivi e troppo ambigui».
L’esperto dovrebbe usare, al fine di raccogliere la denuncia o la testimonianza di un bambino «il canale verbale, cioè dovrebbe evitare non solo le bambole anatomicamente corrette, ma anche altri ausili che implicano interpretazioni (ad esempio disegni) proprio perché tale ascolto deve avere una ‘tenuta’ poi in sede di processo» (De Leo, Scali e Caso, 2005, p. 99).
L’utilizzo di ausili è stato anche contestato in una nota sentenza emessa da un GIP del Tribunale di Salerno (Reg. Sentenze n. 78/14):
«Sono stati impropriamente utilizzati bambolotti ed altri oggetti simbolici, con l’obiettivo di impegnare il minore in un gioco di ruoli fittizio, caratterizzato dal continuo scambio tra soggetti ed oggetti, senza considerare che, a quell’età, il piccolo F. non era assolutamente in grado di gestire i ripetuti passaggi dal piano simbolico a quello reale, né era capace di discriminare e interpretare le reazioni emotive attribuite al personaggio, non avendo alcuna padronanza della funzione riflessiva della teoria della mente (ossia della capacità di discriminare ed interpretare stati d’animo propri e altrui)».
Anche Mazzoni (2011, p. 118) sostiene che «i pupazzi vengono utilizzati come simboli di persone, situazioni e vissuti emozionali, con la conseguenza che a un certo punto diventa impossibile capire se il bambino si riferisce alla situazione fantastica di gioco (ad esempio il bambino brucia il drago) oppure a situazioni relativamente vissute».
In generale, si tenga sempre presente l’art. 3.10 delle Linee Guida Nazionali – L’ascolto del minore testimone (2010):
«Ogni accertamento tecnico sul minore dovrebbe rispettare le seguenti regole minime: a) ridurre il più possibile il numero delle audizioni; b) garantire che gli incontri avvengano con modi e luoghi tali da assicurare la serenità del minore; c) rendere espliciti al minore gli scopi del colloquio, tenuto conto dell’età e della capacità di comprensione; d) comunicare al minore che è libero di correggere l’intervistatore, che se una cosa non la ricorda non deve inventare la risposta ma può dire di non sapere o di non ricordare; e) audio e/o videoregistrare le interviste; f) nel caso di pluralità di esperti o osservatori fare ricorso, salvo che non sia possibile, allo specchio unidirezionale o ad altri strumenti di osservazione a distanza; g) adottare modalità poco “pressanti” di intervista ed evitare, in particolare, il ricorso a domande suggestive o che diano per scontata la sussistenza di fatto oggetto di indagine; h) le modalità d’intervista devono attenersi ai protocolli di buona pratica suggeriti dalla letteratura internazionale i) verificare le modalità in cui si sono svolte le interviste precedenti».
Tali accorgimenti dovrebbero essere assunti, ove possibile, in tutte le fasi di ascolto del minore, sia in corso di audizione protetta durante un incidente probatorio, sia in sede di raccolta delle sommarie informazioni testimoniali.
5. Conclusioni
Il codice di procedura penale non specifica le prassi da seguire durante l’incidente probatorio. Come visto, il solo articolo 498 co. 4 c.p.p. non può ritenersi sufficiente per stabilire cosa e come si dovrebbe fare. Tale vuoto normativo dà adito alla creazione di diverse prassi su come debba essere escusso un minore in questo genere di casi.
La metodologia presentata in questo lavoro prende spunto dall’esperienza personale e dal rispetto dei criteri scientifici sul tema degli abusi sessuali sui minori.
La tendenza di molti tribunali e giuristi sembra quella di dare sempre di più un peso minore al ruolo dell’esperto che di fatto, spesso, viene limitato nelle sue funzioni e relegato ad una non meglio precisata “assistenza psicologica” durante la fase dell’audizione. Infatti sono sempre più frequenti i casi in cui è il magistrato a condurre l’intervista affiancato dall’esperto che si limita ad osservare e ad intervenire quando interpellato.
Una prassi fortemente sconsigliata in cui il rischio di non comprendere effettivamente “chi deve fare cosa” potrebbe costituire un pregiudizio metodologico a danno dell’intera audizione, quindi del minore e dell’indagato.
Troppo spesso ci imbattiamo, in qualità di periti e consulenti tecnici di parte, in audizioni protette svolte senza seguire una prassi chiara e strutturata, in cui l’improvvisazione induce tutti i soggetti coinvolti a commettere errori, spesso irrimediabili.
L’audizione protetta dovrebbe essere affidata ad un esperto realmente competente nella raccolta della testimonianza del minore e «deve quindi conoscere ed avere esperienza delle tecniche e dei protocolli di intervista riconosciuti dalla comunità scientifica ed in linea con gli indirizzi della letteratura internazionale» (Sabatello e Russo, 2014, p. 226).
Non è più ammissibile nominare “esperti” che poco o nulla sanno di psicologia della testimonianza, ritenendo l’incontro con il minore uno pseudo-colloquio in cui comprendere e valutare eventuali traumi scaturiti dall’esperienza di abuso.
L’audizione protetta, così come prevista dalla normativa vigente, non sembra garantire sufficientemente il principio del contraddittorio. Le eventuali domande delle parti devono essere ammesse dal magistrato che successivamente le “gira” all’esperto. Un doppio passaggio che spesso produce la perdita di efficacia della domanda, specie se avanzata dalla difesa.
Il diritto al confronto viene così spesso intaccato ed ostacolato proprio in virtù della necessità di garantire la tutela del minore che non dovrebbe, secondo alcuni, essere sottoposto ad esame incrociato delle parti. Anche De Cataldo (2010, p. 165) si sofferma su questa criticità: «Nella migliore delle ipotesi, se al minore residua qualche energia comunicativa dopo esami spesso prolungati e psicologicamente ‘pesanti’ (e di rado avviene), la facoltà di interrogare si riduce alla consegna di domande scritte all’interrogante che le riformulerà al minore magari utilizzando altre parole, in sequenza diversa da quella richiesta».
Dunque l’incidente probatorio sembra essere esclusivamente nelle mani del giudice e dell’esperto. Una responsabilità importante che deve essere supportata necessariamente da una competenza ed un’esperienza adeguata. Come sostiene Mazzoni (2011, p. 122) «talvolta un’esperienza trentennale può semplicemente rappresentare trent’anni in cui si compiono sempre gli stessi errori».
Nonostante numerose sentenze della Corte Suprema ed una quantità considerevole di letteratura scientifica sull’argomento, tanto ancora si discute su quali siano le best practices dell’audizione protetta: soprattutto, su quali siano il ruolo e la funzioni effettive dell’esperto nominato dal giudice per l’escussione del minore. Quali siano, ad esempio, i suoi poteri, considerato che egli rappresenta una figura che dovrebbe garantire la tutela del minore, oltre a raccogliere la sua testimonianza. Ad esempio, l’esperto non sembra avere la facoltà di decidere di concludere l’audizione (prerogativa del giudice) nei casi in cui l’incidente probatorio venga protratto per un tempo molto lungo alla ricerca della “verità”, quando il minore appare visibilmente stanco. L’esperto, in questi casi, viene inesorabilmente ed automaticamente posizionato tra l’incudine ed il martello: da un lato deve rispondere alle esigenze del suo committente, dall’altro lato dovrebbe quantomeno rispondere ai bisogni del minore ed evitare il rischio di una vittimizzazione secondaria.
Probabilmente una maggiore chiarezza da un punto di vista normativo sul ruolo e sulle funzioni dell’esperto incaricato dal giudice ad escutere il minore potrebbe produrre una metodologia strutturata e condivisa, come viene auspicato dagli addetti ai lavori.
 
* Neuropsichiatra infantile e psichiatra, docente di Psichiatria Forense dell’età evolutiva nei master presso le Università di Padova, “Sapienza” (Roma) e Pontificia Salesiana (Mestre) – consigliere della Società di Psicologia Giuridica.
** Psicologo-Psicoterapeuta, Criminologo.
*** Psicologo-Psicoterapeuta, responsabile dell’Area di Psicologia de La casa di Nilla – Centro specialistico della Regione Calabria per la tutela e la protezione dell’infanzia e dell’adolescenza. Giudice onorario presso il Tribunale per i minorenni di Catanzaro.
 
Bibliografia
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