Raccogliere la testimonianza di un minore presunta vittima di un abuso sessuale non è semplice e per niente scontato. L’esperto incaricato deve prestare estrema attenzione e cura in un momento molto delicato che può essere decisivo per la convalida delle accuse o, peggio, per la condanna del presunto abusante. Attenersi alle direttive scientifiche e giuridiche è una questione di etica e di morale. L’esperto dovrebbe evitare quanto il più possibile opinioni personali su ciò che ascolta e dovrebbe mettere da parte tutti i pregiudizi, forse l’aspetto più difficile. Evitare di porre domande suggestive e “chiuse” (closed questions), ma favorire le domande cosiddette “aperte” (open-ended questions) che favoriscano il racconto ilbero del testimone. Lo psicologo che pone le domande e conduce l’intervista non è tenuto a fornire pareri personali su quanto ascoltato. Egli è solo un “facilitatore” comunicativo, un “filtro” tra la Giustizia e la presunta vittima.
Probabili errori che l’esperto può commettere:
- Utilizzare le cosiddette domande suggestive (leading questions): si tratta di domande che contengono già la risposta. In pratica, in modo volente o nolente, si suggerisce al testimone la risposta.
- Utilizzare le cosiddette domande fuorvianti (misleading questions): si tratta di domande che contengono informazioni errate.
- Utilizzare le cosiddette domande “a coda”: si tratta di domande chiuse e suggestive. Esempio: “Mi hai appena detto che ti ha abbracciata, dopo ti ha anche toccato la spalla, vero?“
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